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Alla scoperta dell’Altro

Marina Ergas ha vissuto per quasi 50 anni in Israele. Nelle scuole dell’Alto Adige racconta il conflitto israelo-palestinese, contro la discriminazione e l’intolleranza.
Marina Ergas
Foto: Marina Ergas

Marina Ergas, nasce a Milano in una famiglia di ebrei sefarditi. Nel 1967 decide di partire per andare a lavorare in un kibbutz in Israele: vuole aiutare a costruire il nuovo Stato ebraico e una società più giusta. I sei mesi di volontariato si trasformano in quasi 50 anni di vita fra Tel Aviv e Gerusalemme, alla ricerca di una soluzione giusta per tutte le parti. Nel 2015 torna a vivere in Italia e nel 2018 ha pubblicato un libro coinvolgente intitolato “L’Altro – una storia mediorientale”. Insieme a Alberto Stenico, Presidente dell’associazione bolzanina Antenna Cipmo-Centro per il dialogo e la pace in Medio Oriente, organizza serate informative e racconta la sua storia e il complicato conflitto israelo-palestinese nelle scuole dell’Alto Adige. Salto.bz l’ha intervistata:

 

salto.bz: Signora Ergas, ci parli del Suo libro „L’Altro – una storia mediorientale“. 

Marina Ergas: È una storia autobiografica basata sui miei rapporti con israeliani e palestinesi in oltre 40 anni di vita vissuta in Israele. La storia inizia nel 1967 quando mi sono trasferita in Israele per lavorare in un Kibbutz. Gran parte del libro però l’ho scritta vent’anni fa nel 1995 dopo l’attentato che portò alla morte di Yitzhak Rabin. Ero lì quando è successo, c’era una grande manifestazione a sostegno degli accordi di pace fra Israele e Palestina. Quell’attentato mise veramente in crisi il paese. L’ultima parte del libro l’ho scritta una volta tornata in Italia.

„L’Altro – una storia mediorientale“ è un racconto autobiografico basato sui miei rapporti con israeliani e palestinesi in oltre 40 anni di vita vissuta fra Tel Aviv e Gerusalemme. La storia inizia nel 1967 quando mi sono trasferita in Israele per lavorare in un Kibbutz

Come mai a suo tempo decise di partire da Milano per l’Israele, appena ventenne?

Vista la storia della mia famiglia, che aveva vissuto l’Olocausto in prima persona, sentivo il dovere di contribuire con il mio lavoro alla causa israeliana. E poi a vent’anni c’era un forte idealismo, volevo aiutare a costruire un mondo nuovo. Avevo idee socialiste e volevo costruire una società più giusta. Dovevo restare solo sei mesi, alla fine sono rimasta quasi 50 anni.

Qual è il messaggio principale di „L’Altro“?

Il mio messaggio è: il non relazionarsi in maniera corretta con l’altro, prima o poi porta inevitabilmente alla violenza e alla sopraffazione. Questo messaggio è sì frutto dell’esperienza mediorientale, però purtroppo è altrettanto vero qui in Europa, dove l’altro è l’ebreo, il Rom, l’africano ecc. Nel caso dell’Alto Adige, l’altro può essere anche l’italiano o il tedesco. Tutta la vita mi è stato inculcato che la cosa più importante per la propria identità sono le radici. Arrivata a 73 anni credo che questo non sia vero. Credo che la nostra identità sia individuale e che sia composta da tanti elementi e esperienze. Non bisogna sopravalutare l’importanza delle radici e del passato per l’identità del presente e del futuro. 

Il mio messaggio è: il non relazionarsi in maniera corretta con l’altro, prima o poi porta inevitabilmente alla violenza e alla sopraffazione

Nel suo libro dice: “Israele non ha dato realmente una soluzione al problema ebraico (…) non si può trovare soluzione a una terribile ingiustizia, commettendo un’altra ingiustizia”. Quindi dopo tanti anni ha lasciato Israele con una certa disillusione?

Sì, sono stanca della guerra. Ho lottato tutta la vita per un mondo più giusto per tutti, ma in Israele non si intravede una soluzione o almeno il tentativo di rimediare agli errori del passato. Con l’assassinio di Yitzhak Rabin il processo di pace si è completamente arrestato. Non c’è rispetto dell’altro, più di 4,5 milioni di palestinesi nella Cisgiordania e a Gaza e altri due milioni all’interno dello stato d’Israele non hanno i miei stessi diritti e io invece vorrei poterli guardare negli occhi da pari a pari, da individui liberi. 

Sono stanca della guerra. Ho lottato tutta la vita per un mondo più giusto per tutti, ma in Israele non si intravede una soluzione o almeno il tentativo di rimediare agli errori del passato

 

Purtroppo al mio rientro da Israele, nel 2015, ho trovato un clima politico molto peggiorato, che non mi sarei aspettata. Qui in Italia, essendo ebrea, ero di nuovo io „l’Altra“.

Come ha trovato l’Italia al suo ritorno, nel 2015?

Purtroppo al mio rientro in Italia ho trovato un clima politico molto peggiorato, che non mi sarei aspettata. Qui in Italia, essendo ebrea, ero di nuovo io „l’Altra“. Mi è capitato di chiacchierare con gente molto civilizzata e carina, che mi ha raccontato che non mandavano il figlio in una determinata scuola perché „Lì c’è brutta gente“. Quando ho chiesto „Ma che tipo di brutta gente?“. Hanno risposto: „Ebrei“. In Italia e in tutta Europa c’è un ritorno di antisemitismo, razzismo, discriminazione verso tutti quelli che sono diversi, che va affrontato subito, iniziando dai giovani.

 La paura dell’altro è anche una mancanza di conoscenza dell’altro. Dire: „ognuno di loro è un potenziale terrorista“ non aiuta a risolvere la situazione, anzi, alimenta la reciproca ostilità

Lei è sopravvissuta per miracolo all’attentato all’aeroporto di Lod/Tel Aviv del 1972 e negli oltre 40 anni vissuti in Israele gli attentati facevano parte della quotidianità. Eppure lei riesce a vincere la paura e a chiedersi: „Chi è l’altro? Quello che organizza attentati o quello che non trova lavoro?“ 

Sì, è importantissimo differenziare e non fare di tutt’erba un fascio! Quando „gli arabi“ da gruppo generalizzato diventano singole persone, inizia un processo di de-demonizzazione. Questo vale per qualsiasi etnia, per qualsiasi gruppo che può essere percepito come „l’altro“.  

Ciò che ci riportano i media dopo gli attentati, è sempre solo una piccola fetta della realtà, vista da una determinata prospettiva, che spesso strumentalizza e alimenta la paura dell’altro. La vera realtà invece è molto più ampia e complessa. La paura dell’altro è anche una mancanza di conoscenza dell’altro. Dire: „ognuno di loro è un potenziale terrorista“ non aiuta a risolvere la situazione, anzi, alimenta la reciproca ostilità. Bisogna lavorare sulla reale conoscenza dell’altro, sulla differenziazione della realtà complessa. Io attraverso i social media, da un anno sto conversando con un profugo siriano in Turchia. I social media possono essere usati anche in positivo, come uno strumento di conoscenza dell’Altro.

 

Ho conosciuto Alberto Stenico di Antenna Cipmo e altri altoatesini. Parlando ci siamo resi conto che il modello di autonomia dell’Alto Adige poteva insegnare qualcosa, poteva essere un esempio di convivenza anche per la società israeliana

 

Nel libro c’è una scena dove lei incontra delle donne palestinesi che la invitano a partecipare a un picnic e si stupiscono quando Lei rivolge loro la parola in arabo, nella loro lingua. Quanto è importante la lingua come gesto di apertura verso l’altro? 

Io credo che l’uso della lingua dell’altro sia essenziale come segno di buona volontà. La mia conoscenza dell’arabo è molto limitata, però cerco comunque di rivolgermi a loro nella loro lingua come forma di rispetto. Se si parte dall’idea: “io parlo la mia lingua perché l’altro è giuridicamente obbligato a saperla”, già nasce un rapporto conflittuale che non è una buona base per un vero incontro con l’altro.

Vado a parlare nelle scuole perché per far fronte a razzismo e discriminazione è fondamentale parlare ai giovani.

 

Come è arrivata a parlare nelle scuole in Alto Adige?

Vado a parlare nelle scuole perché per far fronte a razzismo e discriminazione è fondamentale parlare ai giovani.

Gli ultimi anni in Israele facevo la guida turistica e ho conosciuto Alberto Stenico, presidente di Antenna Cipmo, il Centro per il dialogo e la pace in Medio Oriente. Nel suo gruppo a cui facevo da guida, c’erano anche molti altoatesini e parlando ci siamo resi conto che il modello di autonomia altoatesino poteva insegnare qualcosa, poteva essere un esempio di convivenza anche per la società israeliana. Con l’aiuto di Antenna Cipmo nel 2018 è stata poi organizzata una visita in Alto Adige per una delegazione di deputati ebrei e arabo-palestinesi del Knesset, il parlamento israeliano, per far conoscere loro il sistema di convivenza altoatesino. 

Dopodiché è nata l’idea di raccontare la mia esperienza in Medioriente nelle scuole italiane. E dopo l’incontro lo scorso 16 dicembre all’hotel Figl con Alberto Stenico e l’avvocato Arnaldo Loner, adesso mi è arrivato l’invito a parlare anche nelle scuole tedesche. Di questo sono molto contenta e onorata.