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Foto: San Giovanni Trieste
Gesellschaft | Vorausgespuckt

Aggrappati alle istituzioni

Curare la “follia” è possibile solo disintegrando le istituzioni che ne congelano il profilo. Talvolta, però, sono proprio le istituzioni a prevenire danni maggiori.

Partiamo dall'antefatto. Alla fine di giugno di un anno fa, a Laives, un giovane dette – come si suol dire – in escandescenza. Lanciò sassi, bottiglie, ricorse persino a un bastone. Alla fine nove persone rimasero ferite e l'uomo – sempre come si suol dire – venne arrestato in flagranza di reato.

Lo stregone del villaggio mi ha ordinato di non parlare

Ma chi era questo uomo, a quali cause poté essere ricondotto – ultima volta che userò la locuzione come si suol dire – il suo insano gesto? Subito dopo il fermo, riportano le cronache, il ragazzo asserì di non voler rilasciare spiegazioni sull'accaduto perché “lo stregone del villaggio” gli avrebbe ordinato il silenzio. Si scoprirà poi che alla base di questa affermazione c'era una condizione di profondo disagio psichico (per il quale aveva del resto già ricevuto assistenza) afferente a un disturbo comunemente definito come “schizofrenia”, più specificatamente di tipo “allucinatorio”. Sfogliando il prezioso volume di Renato Piccione e Gianluigi Di Cesare (“Guida alla salute mentale. Per la conoscenza delle cure e dei servizi”, Edizioni alphabeta Verlag) leggiamo: «Allucinazione: è un'alterazione della percezione; il soggetto percepisce e vive come reali impressioni sensoriali inesistenti. Le allucinazioni possono riguardare tutti i sensi, ma quelle più frequenti sono quelle uditive. Il soggetto sente “voci” che provengono dall'esterno e che, spesso, hanno carattere di ingiunzione o di insulto». Questa storia ha adesso un provvisorio epilogo parzialmente positivo. Il tribunale di Bolzano, infatti, ha prosciolto l'uomo giudicandolo “non imputabile”, riconoscendo dunque il suo disturbo mentale e rinviandolo ad essere curato (ci immaginiamo e ci auguriamo nel quadro di un percorso assistenziale idoneo) al fine non solo di contenere la sua pericolosità o l'impedimento delle sue crisi, ma per consentirgli anche il recupero della salute mentale.

Il famoso mondo dei webeti

Ora, molti di quelli che hanno letto la notitzia del proscioglimento hanno reagito scagliandosi contro l'uomo e le istituzioni che, secondo loro, lo avrebbero indebitamente protetto. Ne offro tre campioni presi a caso, se ne potrebbero trovare a decine, omettendo il nome degli autori: “E la prossima volta ucciderà qualcuno, che schifo di giustizia è questa”; “In Nigeria sarebbe stato uguale??? Chiedo per un amico”; “Carcere a vita a queste persone altro che incapace di intendere e volere”. È chiaro, si tratta di interventi formulati da chi non ha alcuna cultura giuridica né, tantomeno, psichiatrica. È il famoso mondo dei “webeti”, gente che usa la tastiera non collegandola al cervello ma a una pancia nutrita di stereotipi e insofferenza spinta fino all'odio nei confronti di ogni marginalità, e per la quale il modello di riferimento politico e culturale oggi dominante propone una sola ricetta: la repressione e l'estensione del regime carcerario che era anche alla base dei vecchi manicomi.

Per poter affrontare la malattia occorre farla uscire dalle istituzioni

Scriveva Franco Basaglia, il padre di quella Legge 180 intesa a coniugare le parole “libertà” e “terapia” in un orizzonte di speranza e rinascita civile: «Per poter veramente affrontare la “malattia” dovremmo poterla incontrare fuori dalle istituzioni, intendendo con ciò non soltanto fuori dall'istituzione psichiatrica, ma fuori da ogni altra istituzione la cui funzione è quella di etichettare, codificare e fissare in ruoli congelati coloro che vi appartengono». Vasto programma, come si vede, talmente illuminato da risultare ancora largamente incompiuto. Sempre più accerchiati dai rappresentanti della comunità dell'ignoranza e dell'odio, ci siamo così ridotti a lodare proprio le istituzioni preposte, capaci – almeno stavolta – di rendersi conto del problema e di limitare un po' i danni.