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Quel giorno

Il 2 agosto 1980 è la data della strage di Bologna. Paolo Morando presenta domani a Bolzano il libro con le recenti risultanze processuali. Eccone il prologo.
strage di bologna
Foto: Wikipedia

Domani (mercoledì 1 febbraio) al Pippo Stage di Bolzano, con inizio alle ore 18, il giornalista Paolo Morando (Domani, Il T) dialogherà assieme a Sonia Zanotti, vicepresidente dell'associazione famigliari delle vittime, a proposito del suo ultimo libro appena uscito per Feltrinelli "La strage di Bologna. Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito". Di seguito ecco il prologo scritto dallo stesso autore.

Nel 1980 le notizie non correvano in tempo reale, come invece avviene oggi grazie a internet, social e telefonini. Chi scrive, allora dodicenne, apprese così della strage alla stazione di Bologna circa tre quarti d’ora dopo l’esplosione, attraverso la radio: avvenne durante la trasmissione della hit parade dei 33 giri, che andava in onda ogni sabato su Radiodue Rai a partire dalle 11. La classifica (la “top ten”) veniva svelata a partire dal decimo posto, e poi su su a salire: di ogni album veniva proposto un brano, quasi sempre il più celebre, fino al numero uno. Era estate, la scuola era finita e a quell’ora, ogni sabato, accendevo la radio e mi piazzavo lì con i miei quadernini, per appuntarmi tutte le posizioni. Idem con quelle dei 45 giri, sempre su Radiodue, i primi dieci il venerdì alle 12.45 e i “dischi caldi” (dalla ventesima all’undicesima posizione) alla stessa ora di domenica. Quella era l’estate di canzoni come Luna di Gianni Togni, Non so che darei di Alan Sorrenti, Stella stai di Umberto Tozzi e Olympic Games di Miguel Bosé, nell’anno delle Olimpiadi di Mosca boicottate dagli Stati Uniti e da altri 64 Paesi, tra i quali Cina, Giappone, Germania Ovest e Canada.

Quella era l’estate di canzoni come Luna di Gianni Togni, Non so che darei di Alan Sorrenti, Stella stai di Umberto Tozzi e Olympic Games di Miguel Bosé

Erano le prime quattro della hit dei singoli di quella settimana, davanti a Il tempo se ne va di Adriano Celentano, con al sesto posto Kobra della Rettore, che avrebbe conteso proprio a Bosé la vittoria al Festivalbar, a colpi di monetine nei jukebox. Ma nelle retrovie dei dischi caldi, arrembante, si stava facendo spazio una nuova canzone, appena uscita: era Amico di Renato Zero, entrata di colpo al tredicesimo posto. Quella new entry, che sarebbe stata annunciata domenica 3 agosto nei “dischi caldi”, accompagnava la grande novità dei 33 giri, benché la classifica trasmessa quel sabato 2 agosto fosse pressoché immutata rispetto alla settimana precedente: al terzo posto figurava ancora Bosé, con l’album Miguel, poi a seguire Tozzi dell’omonimo Umberto, Galaxy degli arcigni e spaziali Rockets e Nero a metà di Pino Daniele, mentre Duke dei Genesis scalzava dal settimo posto Un po’ artista un po’ no di Celentano, scivolato all’ottavo. E a chiudere la classifica erano sempre Uffà! Uffà! di Edoardo Bennato e Una giornata uggiosa di Lucio Battisti. Il colpo di scena era proprio in vetta, dove dopo due mesi l’altro disco di quell’anno di Bennato, Sono solo canzonette, uscito giusto un mese dopo Uffà! Uffà! (una cosa mai vista prima: pareva uno scherzo, tanto che il musicista napoletano lo pubblicò l’1 aprile), doveva lasciare il primo posto all’album Tregua, appunto di Renato Zero. E anche nella top ten dei 45 giri, come mi ero diligentemente appuntato il giorno prima, c’era stato uno scambio di posizioni in testa alla classifica: Luna, tormentone dell’estate, aveva finalmente 2 sopravanzato lo sdolcinato Sorrenti di quegli anni, figlio delle stelle lontano anni luce dalla magia del primo album Aria.

 

Oggi non saprei dire a che punto, quel sabato 2 agosto, la hit parade dei 33 giri venne interrotta: visti gli orari forse verso le 11.15, quindi dopo appena un paio di canzoni, quando si era all’ottava o settima posizione, ma magari accadde più avanti, chissà. Sta di fatto che il brano in quel momento in onda sfumò di colpo e probabilmente partì la sigla del giornale radio, un’edizione flash, ma non ne sarei certo: magari ad annunciarlo fu solo la voce di uno speaker. Di sicuro, questo lo ricordo bene, venne data la notizia di un’esplosione da poco avvenuta alla stazione dei treni di Bologna e che maggiori particolari sarebbero stati resi noti al più presto nelle successive edizioni. Che però, durante quella travagliata hit parade, non ci sarebbero state. Nel ricordo sopravvive anche un dettaglio: il giornalista diceva che quell’esplosione era probabilmente avvenuta per un guasto nel locale caldaie, o qualcosa del genere, ma davvero io dodicenne sentii quella frase? Davvero venne pronunciata? O più probabilmente fui io a inglobarla successivamente nel ricordo di quella mattina, dopo aver letto sui giornali (e anni dopo in tanti libri) che quella era stata la primissima ipotesi? La questione non è banale, perché attiene in generale alla dimensione della memoria, di quella individuale e di quella collettiva. Che poi, trattandosi di un evento così tragico come la strage di Bologna, dovrebbe essere la memoria del Paese. Ma è una memoria che va costantemente sollecitata, perché ormai tanti anni sono passati, oltre 42: cinque in più di quelli, per dire, che dividono la vittoria azzurra ai campionati mondiali di calcio di Spagna ’82 dalla fine della Seconda guerra mondiale. Se ci si pensa è un po’ straniante, no? Eppure quella bomba del 2 agosto 1980 fa parte delle nostre vite: tutti più o meno ricordiamo dove eravamo quando arrivò la notizia. Come quando le Brigate Rosse sequestrarono Aldo Moro. O, più recentemente, per le Torri gemelle.

 

Ma da quel 2 agosto due generazioni abbondanti si sono già succedute. E per chi è nato dopo, quella lapide con tutti i nomi delle vittime – lì in stazione, dove nella sala d’aspetto avvenne l’esplosione – rischia di assomigliare sempre più alle tante che punteggiano borghi e paesi soprattutto dell’Appennino tosco-emiliano. E che ricordano altri eccidi, più lontani nel tempo: ci si ferma davanti, si legge qualcosa, poi si passa oltre. Ma quelle erano stragi in tempo di guerra. Chi nel 1980 c’era, oggi fatica a ricordare del tutto che nell’Italia di allora, in tempo di pace, le bombe esplodevano ancora numerose, altroché. Ma senza fare morti, come avveniva invece fino a pochi anni prima. Ed esplodevano in giornate punteggiate dalle azioni che il terrorismo di sinistra dispiegava in tutta Italia, mietendo di continuo vittime. Sarà per questo che oggi, di quegli attentati che precedettero la strage di Bologna, quasi nessuno conserva 3 più la memoria. Mentre allora qualcuno s’era accorto eccome di che cosa stava accadendo, che qualcuno stava dichiarando una sua guerra: isolato e inascoltato, venne fatto fuori.

Chi nel 1980 c’era, oggi fatica a ricordare del tutto che nell’Italia di allora, in tempo di pace, le bombe esplodevano ancora numerose, altroché.

Era il magistrato Mario Amato: alla sua memoria è dedicato questo libro. Vi troverete, per sommi capi, le ragioni delle condanne di Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, dei Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) e di Luigi Ciavardini, di Terza Posizione (ma ai Nar organico), da tempo passate in giudicato. Negli ultimi anni sono però arrivate due altre inchieste, che in primo grado si sono concluse con altrettanti ergastoli: a Gilberto Cavallini, pure lui dei Nar (sentenza del 9 gennaio 2020), e a Paolo Bellini, legato ad Avanguardia Nazionale ma, come si vedrà, anche a molto altro. Quest’ultima è la sentenza più recente, del 6 aprile 2022. Ovviamente si tratta di vicende giudiziarie ancora aperte, ma che comunque consentono di svolgere qualche riflessione più ampia. Le risultanze del processo Cavallini impongono, infatti, di riconsiderare l’auto-narrazione – da più parti negli anni accolta e rilanciata – dei Nar come gruppo “spontaneista”, cioè del tutto slegato da strumentalizzazioni e alieno ad ogni compromesso con pezzi dello Stato. Mentre dal processo Bellini sono emersi elementi in grado di dare una risposta agli interrogativi sui retroscena dell’attentato: organizzatori, finanziatori, mandanti. Di questi due ultimi dibattimenti, ma con ampi rimandi ai procedimenti precedenti, si parlerà nel dettaglio nella prima parte del libro. Nella seconda leggerete invece di una vicenda poco nota legata alla strage di Bologna: ai terroristi, alle vittime, ai loro familiari. Francesco Guccini la definirebbe una “piccola storia ignobile”