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La gioia di fare fatica

Cosa si prova e cosa si pensa durante i quarantadue km di una maratona? Ricordo lo sconforto del primo chilometro e la bella sensazione di non pensare a nulla.
marathon maratona
Foto: Pixabay

Negli ultimi anni la corsa è diventata un po' una moda e con la bella stagione i prati del Talvera di Bolzano si riempiono di corridori di tutte le età. Certi praticano questo sport per perdere peso o rimanere in forma.  Per quanto mi riguarda invece, che sia sull’altopiano del Salto, nel bosco di Monticolo o nella periferia di Bolzano, correre è l’attività che più preferisco ed è il mio modo personale di esplorare il territorio.

Visto che una corsa tira l’altra e che, essendo un po' allenata, volevo propormi una sfida, in un mattino soleggiato di fine gennaio ho deciso che quest’anno avrei corso una maratona. Per molti corridori è la sfida per eccellenza, la “madre” di tutte le gare di corsa, una distanza storica e leggendaria.  Significa mettere alla prova corpo e mente, esplorando cosa si provi di fronte a un grande sforzo. 

Avevo letto da poco un interessante libro di Manfred Mussner, maratoneta altoatesino che da diversi anni partecipa a competizioni in luoghi sperduti e dimenticati della terra, tra i quali ad esempio, alcune città dell’Afghanistan, del Kurdistan o in Corea del Nord. I suoi racconti colpiscono perché si percepisce che per lui correre in quelle città trascende la semplice gara, ma è un modo tutto personale per conoscere e scoprire mondi, interiori ed esteriori, molto distanti, ampliando il proprio orizzonte mentale.

Questo approccio io l’ho scoperto quando ho smesso di praticare sport a livello agonistico. Ricordo che, nel periodo in cui ho praticato atletica leggera agonisticamente, il correre come una forsennata attorno al campetto di atletica mi faceva sentire come un cavallo. I miei compagni di allenamenti prendevano in giro i calciatori che correvano come dei matti dietro un pallone ed io, senza dirlo ad alta voce, pensavo che fosse ancora più demenziale correre senza nemmeno inseguirlo, il pallone. Non riuscivo più a capire che senso avesse passare pomeriggi interi a massacrarsi di fatica per riuscire a percorrere un chilometro e mezzo in qualche secondo in meno. Nascosto sotto al fascino della grandiosità di superare i propri limiti, non vedevo altro che un triste bisogno narcisistico di primeggiare.  Certo gli/le atleti/e di professione che gareggiano hanno sempre un grandissimo fascino e la bellezza dei movimenti dei loro corpi scolpiti ha qualcosa di artistico ma, con questi pensieri come presupposto, almeno per me è stato un gran sollievo liberarmi dall’ansia delle gare e dei tempi. Accettarlo ha fatto sì che preparare e correre la maratona sia stata a suo modo anche divertente.

Ricordo però la sensazione un po' sconfortante che ho provato quando il mio orologio mi ha segnalato che avevo corso il primo chilometro.

Quanto all’esperienza in sè, per un certo aspetto sono dell’idea che i primi chilometri siano quelli psicologicamente più duri. L’estrema concentrazione e la presenza mentale con la quale si affronta l’inizio della gara fa sembrare, almeno a mio parere, che il tempo scorra pianissimo e che ogni momento di fatica sia dilatato. Ricordo però la sensazione un po' sconfortante che ho provato quando il mio orologio mi ha segnalato che avevo corso il primo chilometro. Appena il primo chilometro e avevo già un principio di fiato corto!

Molti si chiedono cosa passi per la testa durante tutti quei chilometri. Diversi corridori ultra raccontano di attimi di comprensione profonda et similia. Io, ad essere sincera, per la maggior parte del tempo ho avuto pensieri piuttosto banali, che rientravano quasi esclusivamente nelle categorie: “acqua”, “fatica” e “quanto manca”. Va però anche detto che, dopo un po', può succedere una cosa abbastanza singolare, ovvero che si inizi a non pensare proprio a niente. E questa non è una cosa che succede poi così spesso nella vita di tutti i giorni. Ovviamente ció è alternato a sensazioni di fatica e dolore intensi e mentre si corre mai ci si potrebbe immaginare di essere così incoscienti da voler tornare, nel futuro, a riprovare delle emozioni fisiche simili.  La gara poi si conclude, la stanchezza passa e la soddisfazione personale che resta è così totalizzante che toglie lo spazio e fa dimenticare quel che si è patito. Qui senz’altro entra in gioco il cosiddetto “Runner’s high”, lo sballo del corridore.  Del resto, se non si viene traumatizzati da uno sforzo simile ma se ne esce pure innamorati dall’esperienza, probabilmente è anche perché il ricordo che abbiamo di essa non è proprio oggettivo. Entro però anche in gioco, a mio parere, la sensazione di aver afferrato, seppure come intuizione vaga, che c’è qualcosa di fantastico nel fare fatica. La corsa richiede un rapporto davvero particolare con essa: ci sono mille altri sport che ti concedono attimi di un divertimento molto più immediato. Il mondo è pieno di cose più elaborate, più intense e più brillanti, mentre la corsa è stancante e a volte è pure terribilmente noiosa. Per lasciarsi affascinare da questa attività serve una grande dose di costanza e pazienza perché ci sarebbe sempre qualcosa di più entusiasmante da fare che stare a correre. le accetti però, piano piano ti accorgi che è un ottimo modo per liberarsi da tanti bisogni superflui: mentre corri i pensieri si dissolvono, ti assenti momentaneamente dalle tue preoccupazioni e quando torni sono sempre ridimensionate.

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Manfred Gasser Sa., 24.06.2023 - 11:52

Grazie per suoi pensieri, ma io la vedo un po diverso. La grande fatica, sia fisica che mentale, si fa nella preparazione di una maratona. Uscire di casa per correre 2 ore, anche se fuori piove, o ha gia a 38 gradi, con quella voce nel cervello, in tedesco "Schweinehund" che ti dice: ma cosa fai con questo tempo, stai qui sdraiato sul divano. La maratone poi, per me é puro divertimento, almeno i primi 35 chilometri penso a tutto e niente, mi godo il spettacolo intorno. Poi pero diventa dura, e proprio in quei momenti viene fuori quello che serve piu di tutto per correre 42 chilometri, la gioia di fare fatica, tanta fatica.

Sa., 24.06.2023 - 11:52 Permalink
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tutgutes brueder Sa., 24.06.2023 - 13:20

Qualche anno fà, ho partecipato alla famosissima maratona di NewYork. Arrivati in viaggio accompagnato, il giorno pregara, si tenne un briefing al quale erano invitati a partecipare tutti maratoneti italiani. A parlare anche Pizzolato, vincitore della gara nei anni novanta. Ricordo benissimo le sue parole: all’inizio contate le miglia che sono di meno, verso la fine contate i chilometri che sono più corti.”

Sa., 24.06.2023 - 13:20 Permalink