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Fenomenologia del Twenty

Aperto tre mesi fa, il grande centro commerciale di via Galilei incarna l’aspirazione di Bolzano a trasformarsi in un non-luogo.

Sognare i sogni degli altri

A causa della sua collocazione, della sua forma e della sua finalità, il Twenty ha qualcosa di onirico. Ovviamente non si tratta di sogni sofisticati: la pesca nel mare dell’inconscio assomiglia piuttosto allo strascico di una rete strappata, al setaccio sono acque poco profonde, ma la concezione degli acquisti che vi si pratica ambisce alla fatua consistenza dei mondi paralleli. Per chi ci arriva costeggiando con la macchina via Galilei, alla ricerca di un parcheggio gratuito nel ventre del centro commerciale, l’ingresso si dà come banale risucchio in una corsia di smistamento (prima di incontrare la merce, bisogna cominciare ad essere merce). Dal di fuori l’edificio è quasi invisibile, nascosto da un mosaico di giganteschi cartelli che potrebbero in teoria nascondere un’opera perennemente incompiuta, modulare, e perciò espandibile a piacimento. Una volta dentro, in ogni caso, si scopre che qualsiasi dimensione esterna è (o sarebbe) un controsenso: per affermare tutta la potenza di un non-luogo è necessario rinnegare lo stesso principio della varietà spaziale, attutirne ogni distrazione, persino la coloratura atmosferica, e puntare subito al cuore di desideri circolari e ricorsivi. Il Twenty è un altrove a portata di mano e tutti ci vanno per sognare i sogni degli altri (che poi, notoriamente, sono quelli più “nostri”).

Ciò che la periferia consente

Ma ciò che la periferia consente, le condizioni di possibilità che qui si sono date in modo scaltro al riparo dai dibattiti e dalle dispute che stanno da tempo paralizzando la scelta di edificare qualcosa di simile o speculare nella zona prospiciente la stazione ferroviaria, ha bisogno di una spiegazione storica e non solo vagamente etnologica. Abituata a interpretare se stessa come città di potenziale avanguardia, sul piano dell’evoluzione dei grandi centri commerciali (presenti da alcuni anni a sud e a nord della sua marca provinciale) Bolzano sconta piuttosto un ritardo striato da molti altri contenuti ideologici. Col tempo, cospicue porzioni della popolazione hanno cominciato a pensare di essere state sottratte a uno sviluppo necessario, anche se in realtà stiamo parlando di una vera e propria summa del superfluo. Per raccontare un tale mutamento occorrerebbero suggestioni narrative di ben altro spessore. Vengono per esempio in mente le pagine del bellissimo romanzo Au Bonheur des Dames di Émile Zola, in cui va in scena “le formidable expansion des grands magasins sous le Second Empire qui cause la ruine des petits commerces”. Non stupisce quindi che proprio qui, dove il piccolo e medio commercio coincide da un lato con i privilegi di pochi mercanti, collocati quasi tutti nelle vie del centro “tedesco”, e dall’altro con l’arrivo di negozi gestiti da stranieri, per adesso contenuti ai margini di questo stesso centro, la via di sviluppo mancante, quella battuta dalle grandi catene abituate a disegnare nuovi profili urbani, venga considerata anche come nuova opportunità di promozione sociale per il ceto massificato perlopiù residente oltre ponte Talvera.

Tutti o nessuno

Disposte come in una torta nuziale a più strati, le candide superfici del Twenty sono collegate tra loro da scale mobili inagibili ai disabili muniti di carrozzina (si accontenteranno di ascensori di servizio), in primo luogo funzionali per contemplare da una prospettiva sempre più aerea il panorama concentrico di vetrine, ossia la tutt’altro che mistica rosa delle merci in offerta. È sempre interessante riflettere su ciò che si pensa, mentre il nastro sul quale poggiamo i piedi si avvolge incessantemente su se stesso al fine di spingerci dolcemente nella corrente. La pausa di passività che precede lo scatto verso il prossimo acquisto non è funzionale all’elaborazione di alcun proposito critico. Non essendo concepibile eversione all’imperativo del consumo che ci avvolge letteralmente da ogni lato, possiamo perciò dire che gli spostamenti all’interno dell’edificio hanno il solo e unico scopo di consentire ai negozi di riempirsi e svuotarsi, secondo il movimento sistolico e diastolico dell’auspicata circolazione monetaria. Per favorirne ancora di più l’efficienza, la suddivisione in reparti è scandita da ditte (o brand) solo in apparenza in concorrenza fra loro. L’indifferenza regna sovrana e niente, qui, può davvero ambire a scalare posizioni ai danni degli altri (il massimo di scelta possibile coincide con il non avere più scelta). L’impressione che alla fine tutto sia uguale corrisponde al trionfo di un meccanismo privo di inceppi. Ogni asperità individuale è diluita così nel genere, facendo agire il codice elementare dell’imitazione senza restrizioni di sorta. Chi, per bieche ragioni di marketing, ha parlato della nascita di un “nuovo punto d’incontro” in cui passare qualche piacevole ora si è dimenticato di citare l’aspetto più rilevante: in questo posto si può diventare solamente tutti o nessuno, perciò gli “incontri” – intesi come relazione tra i “diversi” – sono di fatto inconcepibili.

  

L’esperienza più tipica

Deduco l’esperienza più tipica dal racconto di un’amica che, come me, ci è capitata per curiosare. “Avevo bisogno di un piumino, il mio è vecchio di dieci anni, e così ho deciso di farmi un giro esplorativo da Decathlon”, esordisce. “Ho passato là una buona mezz’ora, non c’era nulla che mi piacesse davvero, cominciavo anche ad essere stanca. Poi ho visto una donna che indossava qualcosa che avrebbe potuto fare al caso mio e volevo chiederle dove l’aveva preso. Un attimo dopo, solo un attimo dopo mi sono accorta che in realtà quella donna ero io, quel piumino era il mio, riflesso in uno specchio lontano”. Proprio come nella logica del sogno, il desiderio di qualcosa che non ci appartiene rivela una piega della nostra coscienza assopita, e la distanza tra il soggetto che siamo e l’oggetto che vogliamo si annulla mediante la sovrapposizione dei reciproci contorni, anticipando con un misto di delusione e disincanto il momento del risveglio. Tra i tanti motti che non avremmo mai potuto leggere all’ingresso del Twenty (o magari sì, ché il marketing se ne infischia della coerenza), mi viene in mente un frammento disumano del filosofo Eraclito: “Rispetto a tutte le altre una sola cosa preferiscono i migliori: la gloria eterna rispetto alle cose caduche; i più invece pensano solo a saziarsi come bestie”. La trasvalutazione di tutti i valori è possibile solo se si conserva lo scontrino.  

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alfred frei Sa., 06.02.2016 - 17:51

si può provare a trasformare un non luogo in un luogo di discussione per poterlo
trasferire nel “ formidable expansion des grands magasins sous le Second Empire qui cause la ruine des petits commerces”. e cosi evitare di "pensare solo a saziarsi come le bestie" ?

Sa., 06.02.2016 - 17:51 Permalink
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Alfonse Zanardi Sa., 06.02.2016 - 20:10

Schöne Annäherung an das Thema, ich selbst bin immer wieder erstaunt wenn Menschen auf die Frage nach ihrer aktuellen Betätigung "Shoppen" zur Antwort geben.
Im übrigen scheint Di Luca als Redakteur zurück zu sein, oder?
Das wäre sehr erfreulich.

Sa., 06.02.2016 - 20:10 Permalink
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Massimo Mollica Mo., 08.02.2016 - 14:33

Quanta retorica! Chissà Lei dove va ad acquistare un televisore, o un frigorifero. Oppure una maglietta per andare a correre. Scommetto che la spesa alimentare la farà in centro, che è il luogo (in contrapposizione al non luogo), così si salva la coscienza. E com'è bello essere diversi dal popolino! Sentirsi i migliori...
Fosse per me si potrebbe chiudere tutti i "non luoghi", evitare i mercatini, fermare la produzione di prodotti insulsi alla Thun, bloccare il caos di chi non vive come noi. E pazienza se l'economia s'impoverisce...inizieremmo a pagare i professori con pacche sulle spalle!

Mo., 08.02.2016 - 14:33 Permalink
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Ferruccio Cumer Mo., 08.02.2016 - 15:33

Antwort auf von Massimo Mollica

Di Luca acquisterà televisori, t-shirt e alimentari dove gli pare, come tutti, anche nei megastore, ma magari sempre più spesso, scomparsi i tradizionali negozi e negozietti, si rivolgerà forse - come già fanno molti - ad Amazon o Alibaba ecc., che almeno hanno il vantaggio di concedere una scelta infinita, prezzi ragionevoli, pratiche commerciali correttissime e di evitarci di percorrere chilometri per trascorrere poi ore nel caos scintillante e stordente di un gigantesco centro acquisti: i quali centri nel giro non molti anni, piaccia o non piaccia, dovranno arrendersi, a quanto par di capire, di fronte al commercio online. Quindi non demonizziamo i centri acquisti in sé, per carità; ma veramente a Bolzano ne serve un altro, in pieno centro, con tutti i vantaggi ma anche gli svantaggi connessi?

Mo., 08.02.2016 - 15:33 Permalink
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Massimo Mollica Di., 09.02.2016 - 10:23

Antwort auf von Ferruccio Cumer

"non demonizziamo i centri acquisti in sé"? E cos'è altrimenti questo articolo se non una palese accusa al non luogo?
Per certe cose io mi rivolgo esclusivamente online. Ma non credo e non so quanto e quando questi centri commerciali spariranno (e con essi perderebbero il posto di lavoro parecchie persone...). Quindi, come dice Lei, non demonizziamo niente e nessuno, e già questo sarebbe un bel passo avanti, visto che qui non si parla del Kaufhaus ma del Twenty!
Invece alla domanda se serve (il Kaufhaus) le rispondo che nulla a questo mondo serve. Però:
a) si creano posti di lavoro (e lo so che non gliene frega nulla, visto che Lei un lavoro ce l'avrà già);
b) il comune avrebbe un saldo attivo di 70 milioni (settanta), e scusi se è poco...;
c) si ottengono strutture servizi con i soldi di un privato;
d) si da soldi alle imprese locali le quali danno lavoro a operai
e) si crea un offerta economia tale da attirare clienti esterni (Lei non sa quanta gente da Trento viene al Twenty!);
f) in sostanza si crea E C O N O M I A. che è quella parola brutta con al quale gira la nostra società. Con l'economia si pagano le tasse e con le tasse si tiene in piedi la sanità e la formazione scolastica. Oltre chiaramente allo stato sociale.

Concludo affermando che non mi interessa dove il Sig. Di Luca vada a fare i suoi acquisti. Il punto è che lo voglia o meno deve farli pure lui. Da questa cosa non scappa nessuno, per quanto intelligente uno sia.

Di., 09.02.2016 - 10:23 Permalink
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alfred frei Mo., 08.02.2016 - 16:22

der fiktive Uzustand (John Rawls)
.... zuerst kommt das Geschäft und in weiter Ferne bleibt die Gerechtigkeits- bzw. - Nützlichkeitstheorie (keine Zeit dafür);
am Ende der Wertschöpfungskette die bekannten negativen Folgen für die Menschen, die können aber in einer Volksbefragung über die künftige Ordnung (Entwicklung) der Stadt entscheiden, ohne zu wissen welchen Platz sie in dieser Ordnung einnehmen werden. Sie treffen eine Wahl, die konkreten
Folgen ihres Handelns für sie selbst bleiben, wie bei der Abstimmung, hinter einem Vorhang verborgen .....

Mo., 08.02.2016 - 16:22 Permalink
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alfred frei Di., 09.02.2016 - 11:17

D'accordo Massimo, passiamo dai “rendering di Benko” al “catering delle idee”, senza demonizzare nessuno, s'intende. Se nulla a questo mondo serve, una cosa comunque la salviamo: la necessità di un confronto sulle cose; o no ?. Seguendo la sua scaletta >
a) proviamo a verificare quanti posti di lavoro si creano e quanti si perdono; nel commercio non esiste la moltiplicazione dei pani e dei pesci o il nulla si crea e nulla si distrugge;
b) e c) sul saldo attivo (70 milioni) e sulle strutture dei servizi con i soldi dei privati siamo ancora in attesa di un necessario esame costi-benefici dell'intera operazione, che forse il Commissario, dott. Penta, fornirà ancora prima del referendum;
d) con i soldi alle imprese locali si apre una domanda: perche nell'aggiornamento del progetto è stata inserita una clausola al riguardo, forse non fidarsi è meglio ?
e) si tratta di un sacrosanto invito alla Kaufhaus-Signa tutto da sottoscrivere : vediamo che tipo di offerta strutturale e di prezzi si tratta e quale di conseguenza sarà il ritorno sui “clienti esterni”;
f) l'ECONOMIA con la quale gira la nostra società mi pare abbia bisogno di essere fortemente rivista se non vogliamo finire tutti sotto il carro di un liberalismo sfrenato che sempre di più si sta rilevando una specie di vaso di Pandora, che dopo la sua apertura il mondo divenne un luogo desolato ed inospitale simile ad un deserto.
Riflettiamo insieme Massimo, che uniti siamo forti.

Di., 09.02.2016 - 11:17 Permalink
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Massimo Mollica Di., 09.02.2016 - 13:46

Antwort auf von alfred frei

La ringrazio per avermi risposto. Il problema però io credo non sono le idee bensì una visione del mondo differente tra Lei e me. Potrei infatti dirLe che non è quantificabile un saldo dei posti di lavoro. Però possiamo dire che realtà come Innsbruck e Trento non se la passano poi così male. C'è un articolo su SALTO dove si afferma che il Twenty non abbia penalizzato le zone limitrofe (http://www.salto.bz/article/05022016/il-twenty-penalizza-di-piu-il-cent…). E comunque, creando un ulteriore luogo di commercio, nasce finalmente un' alternativa a chi vuole aprire un'attività centralmente, senza sottostare alle richieste assurde dei proprietari dei negozi, vera piaga di questa città. Sul punto b) e c) invece non transigo. O ci si fida dei tecnici comunali oppure mandiamoli tutti a casa. (io personalmente mi fido). Sul punto e) ammetto che sia un'incognita. Di certo però EATALY non esiste nelle zone limitrofe e sarebbe una cosa esclusiva. Ma è sul punto f) che veramente si palesa questa visione differente del mondo tra Lei e me. Lei mi parla di liberismo e io parlo di una semplice riqualificazione a spese di un privato di una piccola parte della città. Una città, tra l'altro, in cui sono presenti sostanzialmente 3 famiglie, e vi sono tante, troppe opere incompiute, ma di cui nessuno dice nulla (in compenso "Benko compra cose"). A tutti sta bene così. Cosa centra il liberismo con una mera riqualificazione? Che fa il pari con il suo amico Scolari che rivendica la "città slow". Qui c'è gente che lavora 8 ore chiusa in un ufficio, che si alza la mattina, che porta a scuola i figli e li va a riprendere. Che magari sbarca il lunario e sogna di scappare. Certo questa non è la vita migliore ma è migliore di parecchie vite di esseri umani nel mondo. E se un giorno decidessimo di fare ciò che ci pare, se vincesse veramente l'anarchia totale, allora quel giorno non esisterebbe più l'assistenza ospedaliera e la formazione scolastica, oltre che il welfare. E tante altre cose....

Di., 09.02.2016 - 13:46 Permalink
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Ferruccio Cumer Di., 09.02.2016 - 20:04

Antwort auf von Massimo Mollica

"Qui c'è gente che lavora 8 ore chiusa in un ufficio, che si alza la mattina, che porta a scuola i figli e li va a riprendere. Che magari sbarca il lunario e sogna di scappare. Certo questa non è la vita migliore ma è migliore di parecchie vite di esseri umani nel mondo." Se non è la vita migliore vediamo allora almeno di migliorarla, in modo che la gente non pensi di scappare proprio dalla città in cui si vive meglio in Italia (ci sarà almeno una parte di vero in queste ricerche demografiche...); cosa che può avvenire solo grazie alla creazione, favorita dall’impostazione fornita dalla scuola, di posti di lavoro orientati alle professioni del futuro (quelle basate sulla conoscenza e sull’aggiornamento, soprattutto nel campo dell’e-technology e dell’i-technology , campo in cui la LUB sta lavorando bene e in cui i posti di lavoro sono in continua crescita); grazie alla tutela delle professioni tradizionali che danno reddito, contatti umani e soddisfazione personale, come l'artigianato; grazie al turismo, agli effetti del quale possedere uno, due o tre centri acquisti può fare più male che bene, perché appiattisce l’immagine che la città si era faticosamente procacciata sin dai tempi del sindaco Perathoner, un secolo fa, e alla quale stava ritornando; grazie all’intrattenimento “alto”nel campo dello spettacolo - e non grazie all'edilizia, che non può espandersi all'infinito e crea sì lavoro – per qualche mese o qualche anno al massimo - ma anche edifici superflui se non inutili o dannosi, e nemmeno grazie al commercio, trainato dalla creazione di falsi bisogni e basata sul culto del cattivo gusto, commercio al quale in ogni caso provvederà sempre più il web. Più che Kaufhäuser a Bolzano occorrerebbero più cultura, più tempo libero, più verde dove manca, più bellezza, più rapporti col mondo (evviva l'aeroporto - ecco dove investire), più apertura, più calore umano, meno traffico, meno inquinamento, meno rumore in Centro. Si parla di una “zona degradata” a Bolzano Centro da riqualificare: ma favorire l'afflusso di centinaia di auto nei parcheggi previsti significa degradare, non riqualificare (a parte il fatto che i bolzanini, spero, sanno bene che cos'è nel sentire comune mondiale un quartiere degradato, e quello si cui si parla non lo è). In che cosa consisterebbero i vantaggi del progetto Kaufhaus per gli abitanti? Siamo così certi che i prezzi delle merci essenziali e vitali calerebbero? Si tratta di un'ipotesi tutta da verificare. E poi d'accordo, i famosi 70 milioni potrebbero essere utilissimi, magari proprio per attenuare i lati negativi del progetto Benko che spero tutti vedano, accanto a quelli positivi - che i più onesti (io, ad esempio) riconoscono; ma esistono progetti in questa direzione? Sorgerà, fra qualche mese, un'amministrazione che sappia utilizzarli in questo senso e non disperderli malamente? Dei tecnici comunali mi fido anch’io, come posso però fidarmi anche della scelte di sindaco e consiglieri che ancora non esistono? Per concludere, credo che i due schieramenti dovrebbero poter contare su una pronunciamento preciso del nuovo Comune in fieri sull’uso previsto per la somma introitata, e solo poi assumere una decisione definitiva sul progetto, soprattutto se si tiene conto che il progetto stesso Kaufhaus era stato bocciato, una sera del luglio 2015, da una votazione del Consiglio Comunale sulla cui validità non è ancora stata fatta completa chiarezza.

Di., 09.02.2016 - 20:04 Permalink
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alfred frei Mi., 10.02.2016 - 09:09

Grazie sig. Cumer, il suo contributo offre la possibilità per proseguire un confronto sereno e approfondito, culturalmente valido, sul tema. La premessa per consentire alle persone di scegliere nel referendum con giudizio, senza pregiudizio.

Mi., 10.02.2016 - 09:09 Permalink