Chronik | L'intervista

“A Beirut, scampati al disastro”

Dietmar Überbacher, 43enne altoatesino, sull’esplosione che ha devastato il porto della capitale libanese. “Ero a casa con mia moglie e i bimbi, noi illesi per miracolo”.
Dietmar Überbacher
Foto: Dietmar Überbacher

Erano circa le 18 (17 ora italiana) del 4 agosto, e Dietmar Überbacher, appena rientrato dal lavoro, si trovava a casa con la moglie Beatrice e i due figli piccoli quando “una specie di tuono” è rimbombato nelle strade di Beirut. “In quel momento - racconta il 43enne altoatesino originario di Rasa, frazione di Naz-Sciaves, che dal 2012 lavora nell’ambito della cooperazione Italiana nella capitale del Libano - non avevo realizzato cosa stesse accadendo, ma Beatrice, che è libanese e ha già purtroppo vissuto situazioni difficili, come durante la guerra civile, ha avuto l’istinto di reagire immediatamente, ha chiuso le imposte e si è allontanata dalle finestre”. Dopo diversi secondi è arrivata la seconda, violenta esplosione. “Un boato terribile. Il nostro palazzo ha iniziato a vibrare - dice Dietmar -, i vetri delle finestre sono andati in frantumi, sembrava un terremoto”. E invece, stando alle prime ricostruzioni, a saltare in aria è stato un deposito contenente oltre 2.700 tonnellate di nitrato di ammonio (ma c’è chi la pensa diversamente). Oltre 150 sono i morti e 5mila i feriti. Il cuore pulsante del Libano, il porto di Beirut, è stato devastato e sono andati parzialmente distrutti i tre ospedali principali. 300mila, secondo le stime, sono le persone rimaste senza una casa.

 

salto.bz: Dietmar, dopo la seconda esplosione quale pensiero le ha attraversato la mente?

Dietmar Überbacher: Ho pensato a un attentato. Forse una bomba era esplosa vicino casa. Il botto è stato fortissimo. Ci siamo sorpresi quando poi abbiamo scoperto che la deflagrazione era avvenuta a quasi due km di distanza dalla nostra abitazione. Abbiamo avuto fortuna, siamo rimasti totalmente illesi ed è quello che conta. Le schegge non ci hanno raggiunto, ma se invece ci fossimo trovati in un altro punto della casa ce la saremmo vista molto brutta. Nel nostro quartiere, Mar Mikhael (in italiano San Michele), non c’è forse un edificio che non sia stato colpito. È quasi un miracolo che non ci siamo fatti niente e che anche fra i nostri conoscenti nessuno sia rimasto ferito in modo grave. Non avevo mai vissuto un’esperienza del genere, ero molto confuso, disorientato, volevo uscire subito da casa con i bambini, anche così come eravamo in quel momento, a piedi nudi, purché ci allontanassimo in fretta. È stata ancora una volta mia moglie che con grande lucidità ci ha tranquillizzato, ha pensato ai passaporti, a raccogliere insieme a noi il minimo indispensabile, qualche vestito, e in cinque minuti eravamo fuori.

Le schegge non ci hanno raggiunto, ma se invece ci fossimo trovati in un altro punto della casa ce la saremmo vista molto brutta

Che scenario vi siete trovati davanti a quel punto?

Passato lo spavento iniziale per le strade di Beirut si avvertiva una grande tristezza, ma oltre ai cuori spezzati per i morti e per un Paese che da troppo tempo è tormentato, ha cominciato a farsi largo un sentimento di rabbia e frustrazione fra la gente. Sembra che le brutte notizie per questo popolo non finiscano mai. E l’apice è stato quest’ultimo evento che ha piegato la città. Ora le persone pretendono spiegazioni, che sia fatta giustizia, vogliono un cambiamento nella gestione politica del Paese.

Sui social media intanto si diffondono le teorie più disparate sull’esplosione.

Personalmente non sono un grande appassionato di cospirazioni. Finché non si hanno maggiori informazioni non si può stabilire cosa sia effettivamente successo.

 

Come farà Beirut a sopravvivere senza il suo porto? E il Libano - già provato peraltro dalla forte instabilità politica - senza possibilità di scambi commerciali con i vicini?

La capitale e il Paese intero sono in ginocchio, ragion per cui in questo momento gli aiuti da parte della comunità internazionale sono indispensabili. Peraltro quest’anno, a marzo, il Libano è entrato ufficialmente in default. Per la prima volta nella sua storia. La situazione economica è dunque disastrosa, aggravata dal lockdown per il coronavirus. Già prima dell’esplosione la gente non ce la faceva più, e questo è stato un ulteriore, durissimo colpo.

Non avevo mai vissuto un’esperienza del genere, ero molto confuso, disorientato, volevo uscire subito da casa con i bambini, anche così come eravamo in quel momento, a piedi nudi, purché ci allontanassimo in fretta. È stata ancora una volta mia moglie che con grande lucidità ci ha tranquillizzato...

Una decisa mobilitazione da parte di alcuni Paesi, Italia compresa, c’è già stata.

È così. Dall’Italia, per esempio, in questi giorni sono arrivati diversi esperti per valutare i potenziali pericoli chimici, tecnici per calcolare i danni strutturali causati dall’esplosione, ma anche medici e psicologi. Anche il nostro ufficio ha già predisposto diversi progetti di emergenza. Certo si dovrà anche fare i conti con la sostenibilità a lungo termine di tutti i vari interventi. Quello che ho notato, comunque, è la fortissima solidarietà dei libanesi. Gran parte degli sfollati saranno infatti assorbiti dal tessuto sociale. Noi stessi, che nella tragedia, lo ripeto, siamo stati estremamente fortunati, abbiamo incontrato tante persone che ci hanno aperto le porte della loro casa. Noi ci siamo rifugiati dai genitori di Beatrice, alla periferia di Beirut, e successivamente nella nostra casa in montagna a Bsharre, a due ore di macchina dalla capitale dove torneremo nei prossimi giorni per sistemare l’appartamento, ma non sappiamo quando potremo tornare ad abitarci.

 

Ha intenzione di restare in Libano?

Per il momento sì, ma in un futuro non troppo lontano vorremmo trasferisci altrove. Anche mia moglie desidera allontanarsi per un certo periodo dal suo Paese. Per uno che lavora nel mondo della cooperazione, poi, non restare in uno stesso posto definitivamente è quasi naturale.

La prossima meta?

Ho voglia di tornare in Europa, il Libano è un paese interessante, molto dinamico ma per certi versi è esattamente l’opposto dell’Alto Adige, nel bene e nel male. Beirut è una città grande, caotica, ma anche piena di vita, il nostro quartiere, per esempio, trabocca di bar e ristoranti, e la gente normalmente è sempre in giro. Avendo due figli piccoli, vorrei per loro più spazi pubblici. E poi lo devo dire, mi manca la mia famiglia altoatesina, la natura e la pace della mia terra.