Cultura | Bolzano

“Non è una competizione”

Martha Verdorfer risponde alle polemiche sulla Collina dei Saggi senza sagge: “Le donne non devono dimostrare nulla. In futuro meno personaggi e più memoria collettiva”.
Martha Verdorfer
Foto: Christoph Tauber

È tempo di pensare alle donne”: poche parole, pronunciate lo scorso 25 aprile dalla storica Martha Verdorfer nel corso della cerimonia di piantumazione dell'albero dedicato a Franz Innerhofer sulla “Collina dei Saggi” – uno spazio del parco Firmian che celebra alcune personalità significative per la storia bolzanina e non solo, tutte rigorosamente maschili – sono bastate ad aprire nella città capoluogo una nuova polemica sui nomi. Questa volta, però, non c'entra la toponomastica monolingue, ma il genere di queste denominazioni. Nove alberi intitolati a nove uomini sono sostenibili? A giudicare dalla replica del sindaco di Bolzano Renzo Caramaschi, parrebbe di sì: “Lì ci sono pezzi da novanta, abbiamo un beato, due fucilati dai nazisti, personaggi enormi della cultura”.

salto.bz: Si immaginava queste reazioni?

Martha Verdorfer: No, è strano. Non è la prima volta che faccio questo tipo di affermazioni. Spesso vado con i ragazzi o con altri gruppi lì dove sorgeva il lager di Bolzano, in via Resia: un altro luogo della memoria in cui però si ricorda un gruppo di persone – comprese quindi anche le donne. Ma sulla lapide davanti alla chiesa di Pio X c'è una scritta che recita “Qui soffrirono gli uomini...” e la traduzione in tedesco è Männer e non Menschen. L'ho fatto notare, ma non so come mai questa volta poche parole pronunciate alla fine di un discorso abbiano avuto tutta quest'eco, però mi sta bene. È il momento di discutere di questo.

 

A Bolzano si è aperto un dibattito, in effetti.

Vorrei dire una cosa, a tal proposito. Su questa “Collina dei saggi” ci sono stata per la prima volta poco tempo fa – spesso ci passavo in bici ma senza fermarmi. E mi è piaciuta. Rappresenta una nuova forma di memoria, per l'Alto Adige: tra queste figure, infatti, solo alcune hanno direttamente a che fare con il nostro territorio, come Mayr-Nusser, Longon, Innerhofer... ma Claudio Abbado o Kapuściński rappresentano una memoria europea, se non universale. Penso sia anche il futuro della memoria, senza concentrarsi esclusivamente su una realtà locale: il mondo cambia, si connette, e il locale non è più così distinto dal resto.

Quindi nulla di personale contro la Collina?

Assolutamente no, e anzi, proprio perché ho apprezzato questa scelta, mi ha stupìto ancora di più che non ci fosse nemmeno una donna. È un progetto molto aperto, si potrebbero scegliere molti nomi di donne. Da scrittrici, a giornaliste, ad artiste... Da una parte vedo quindi uno sviluppo, verso nuove forme di memoria che vanno nella giusta direzione, e che non sono più divise tra gruppi linguistici. Dall'altra parte noto questa cecità nei confronti delle donne.

La replica del sindaco Caramaschi è stata abbastanza netta. Come si spiega tale resistenza nel riconoscere l'evidenza?

La risposta del sindaco non è stata molto diplomatica, la sua reazione ha messo ancora più benzina sul fuoco. Una reazione spontanea, che dimostra la poca sensibilità. Ma Caramaschi è una persona intelligente, se ci avesse pensato un attimo di più, forse, sarebbe stato più attento. D'altra parte vorrei aggiungere una cosa.

Prego.

Non apprezzo questa forma di competizione, del tipo “noi donne abbiamo tanti nomi quanto voi uomini”. Le donne non devono dimostrare niente. Credo inoltre che tutta questa memoria “personale” vada ripensata. Per esempio, tutte le conquiste delle donne dell'ultimo secolo sono state lotte collettive, diritti che le donne hanno ottenuto insieme. La collettività è un valore importante, sarà ancora più importante nel futuro per confrontarci con le nuove sfide. Non possiamo più agire come singoli bensì come gruppi, come collettivi.

Non apprezzo questa forma di competizione, del tipo “noi donne abbiamo tanti nomi quanto voi uomini”. Le donne non devono dimostrare niente. Credo inoltre che tutta questa memoria “personale” vada ripensata. Le conquiste delle donne dell'ultimo secolo sono state lotte collettive.

Questo modo di guardare alla storia attraverso figure eroiche non è forse proprio “maschile”?

Il discorso delle donne ci aiuterà a definire nuove forme e nuove strade, e forse prima o poi cambierà tutta la memoria storica: non ricorderemo più questi singoli grandi personaggi, ma andremo nella direzione di una memoria culturale collettiva.

 

Tornando alla Collina, tra i nomi che sono emersi negli ultimi giorni, quali secondo lei sono i più “urgenti”?

Mi sono meravigliata dei molti nomi usciti in poco tempo. Poi chiaro che io abbia le mie preferenze, Andreina Emeri è una persona importantissima, così come lo sono – per me, come storica – tutte le donne della Resistenza. Per altre persone ci sono sicuramente altri nomi, artiste, scrittrici... Ci sono sempre valori che non possono definire da soli un intero gruppo.

Non è una gara, insomma.

Non lo è. Certo, la memoria “per personaggi” aveva la sua legittimità, anch'io ho fatto parte del dibattito sui disertori, sui sinti e rom, sui gruppi marginalizzati che hanno il diritto di essere ricordati con facce e nomi. È importante dare un volto, una concretezza. Ma d'altro canto non è sempre possibile avere questi nomi, queste facce. Bisogna pensare anche in altre direzioni.

Ironia della sorte, questa discussione sta avvenendo proprio nei giorni in cui Bolzano intitola ufficialmente il ponte pedociclabile sull'Isarco ad Alexander Langer. Un nome che in passato fu oggetto di infinite discussioni (e divisioni).

Reputo la discussione l'elemento più importante. Il dibattito fa riflettere, quello conta e cambia il modo di pensare. Una volta piantato l'albero, una volta intitolato il ponte, la gente passa e solo ogni tanto, forse, qualcuno si fermerà e si domanderà chi era questo Alexander Langer. Funziona così. E forse è bene così.