Cultura | SALTO WEEKEND

Silvio solitario, triste y final

La prima parte del film “Loro” di Paolo Sorrentino ci mostra un premier crepuscolare, al bivio tra orge e – forse – estrema solitudine.
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Foto: JAMovie

Il nuovo film di Paolo Sorrentino – sospeso a metà tra un eventuale secondo tempo de “La grande bellezza”, una riscrittura de “Il divo” (al quale lo lega essenzialmente il tema politico) e ovviamente la seconda parte del titolo (“Loro 2” seguirà a breve l'antecedente) – rende incerto il giudizio, che infatti cerca altrove appigli, e non trovandoli naufraga.

L'inizio è visionario, cacotopico. Una pecora, apparentemente l'unica abitante di una lussuosissima villa sul mare, abbandona un prato impeccabile, perfetto, e si insinua in un ambiente gelido, la cui temperatura si abbassa in modo allarmante. La pecora candida bela e fissa il condizionatore che la raggela. Alla fine stramazza. Se è un simbolo, che cosa simboleggia? Senza cercare ulteriori indizi, è possibile già azzardare un'impressione complessiva: la prima parte di “Loro” non è tanto un film “su” Silvio Berlusconi, Berlusconi è solo lo sfondo sul quale il particolare cinema che ha in mente il regista prende forma, si dispiega, e assume i colori di un affresco in movimento, di una festa danzante (e qui non c'è nessuno che “vorrebbe farla fallire”, perché la festa deve anzi riuscire, ad ogni costo), come un vortice che ruota attorno al suo occhio calmo e vitreo: il potere o la sua immaginazione.

Lo scintillio dei corpi distrae dalla fatica di strisciare verso l'alto, per riuscire a fissare quell'occhio lasciandosi a propria volta guardare per poter “esistere”. È bravo Riccardo Scamarcio (che interpreta il piccolo faccendiere pugliese Sergio Morra), sono bravi anche gli altri attori a suggerire l'identificazione con i personaggi resi noti dal “circo mediatico” delle “Olgettine”, anzi delle “orgettine”, dei ministri poeti e ruffiani, alludendo a tutto il trash possibile riversatoci addosso in anni in cui il confine tra la pornografia e la politica si è assottigliato fino a diventare impalpabile. Sorrentino ce lo ricorda, ma siccome il suo intento non è “moralistico”, viene da chiedersi perché lo faccia, se non, come abbiamo detto, per far girare ancora una volta il proprio cinema su se stesso, sulle proprie predilezioni, le proprie ossessioni figurative. Del resto, il motore immobile di ogni cosa – colui il quale può essere chiamato LUI – fa la sua comparsa piuttosto tardi, nei panni di un'odalisca. Qui il grande circo postribolare e cocainomane si placa un po', emerge la relazione (in crisi) tra il Tycoon, interpretato benissimo da Toni Servillo, e la moglie (Elena Sofia Ricci). Una moglie disillusa, che legge le poesie di Iosif Brodskij e si annoia davanti alle stanche repliche vitalistiche dell'illustre coniuge. Il quale, ormai, indossa il proprio volto come una maschera, dà lezioni di post-verità al nipote (anche se pestiamo una merda, dobbiamo dire che non l'abbiamo pestata e che non la pesteremo mai) e quando occorre, invece che far uscire da un banale amplificatore la canzone giusta al momento giusto, convoca il cantante in carne e ossa, come certificato di onnipotenza.

I Berlusconiani – ne abbiamo tutti ancora qualcuno intorno a noi, anche se vivono ormai molto dissimulati – non hanno apprezzato. Tutto molto eccessivo, hanno detto. Certo non eufemistico, ma c'era da aspettarselo. Piuttosto, quale sarà adesso il vero e proprio tema del film dopo questa lunga introduzione, dopo l'assestamento dei fondali? Non si poteva tentare di strizzare la narrazione (evanescente e, come sempre in Sorrentino, sacrificata all'importanza dei dettagli) in una campata unica, senza pretendere che tornassimo al cinema per vederne il completamento? La tecnica utilizzata in “The young Pope” avrebbe suggerito la diluizione in una serie. Qualche frammento avrebbe potuto essere trattato in modo sequenziale, qualche figura essere estratta dal magma onnivoro e modellata con più contorno. Il titolo annuncia tale coralità, anche se resta la domanda: chi sono “loro”? Quelli che comandano? O chi si addensa davanti ai cancelli delle ville e dei panfili, a bordo dei motoscafi popolati di donne mezze nude e da cretini con il binocolo in mano? Ci sarà, piuttosto, una svolta intimistica? Ci sarà più solitudine, alla fine di tutto?

In un frammento del suo libro “Del pensar breve” (Adelphi), ha scritto Manlio Sgalambro: “Assieme a chi passerai i tuoi ultimi anni, alla compagna della tua vita, che ti ricorda nobile e fiero, che condivide con te le tue battaglie e gli anni di dolore, o a una compagna della morte, intesa solo a propiziarti una bella uscita?”. Mi sembra una bella epigrafe, ma ci vorrà più scavo, bisognerebbe lasciare sfiorire in una specie di vuoto mistico tutto ciò che ha risuonato nel mondo, in quel “mondo”. È immaginabile un Berlusconi crepuscolare e stanco, che si toglie la maschera, che rinuncia a se stesso e a chi lo blandisce? “Oppure andrai in un convento – continua Sgalambro – e nella pace della cella, nelle fughe dei colonnati che sembrano portarti non si sa dove, sprofonderai in non si sa quale rapporto con non si sa chi?”. E che ne sarà di “Loro”, a quel punto?