Società | Il caso

I giorni dell’abbandono

Harry, il migrante con gravi problemi psichici accusato di molestie sessuali quand’era all'ex Schenoni di Bressanone, si è tolto la vita in un Cpr. Ecco la sua storia.
Ragazzo
Foto: Antonio La Camera

Quello di Harry rappresenta l’ennesimo viaggio nella mala accoglienza italiana, e altoatesina in particolare, questa volta senza ritorno. Il ragazzo, un migrante arrivato dalla Nigeria dopo il tortuoso passaggio dalla Libia attraverso il Mediterraneo fino alle coste del nostro Paese, si è tolto la vita qualche giorno fa nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Restinco in provincia di Brindisi, gestito dalla cooperativa Auxilium, sulla quale molte ombre si sono già allungate in passato. Harry soffriva di gravi disturbi mentali, identificati da tempo, ma nel torpore dell’indifferenza diffusa, non era mai stato seguito a dovere.

 

La storia, dall’inizio

 

Nel 2017 Harry arriva al centro di accoglienza ex Lemayr di Bolzano, la struttura che allora ospitava oltre 100 profughi fra adulti e minori. Il Tribunale si occupa di accertare l’età del giovane nigeriano, sussistono dubbi sul fatto che sia maggiorenne. Vengono nel frattempo allertati i servizi psichiatrici perché Harry mostra da subito segni di aggressività, frequenta quindi il Centro di Salute Mentale e inizia una terapia farmacologica. Nel referto dell’ottobre del 2017 in cui viene segnalata la vulnerabilità psichica del ragazzo si legge che va trovata per lui una struttura idonea, un luogo abitato da altri coetanei e meno affollato. Sarà la prima delle sollecitazioni che verranno sistematicamente ignorate. Harry finisce nel centro di accoglienza straordinaria (CAS) di Bressanone, l’ex caserma Schenoni, a quel tempo gestita dalla coop Eos. Gli assistenti sociali valutano che il trasferimento in una struttura come l’ex Lemayr o in quella di Silandro nella sezione dei minori non è consigliabile visti i suoi problemi psichici.

Spunta un certificato di nascita, Harry viene dichiarato maggiorenne. Si richiede l’inserimento in uno Sprar così che il giovane migrante possa ricevere l’attenzione e le cure necessarie. Anche questa volta nulla si muove. Harry, sempre sotto terapia farmacologica, è incostante nell’assumere le medicine. Nel luglio del 2018 viene ricoverato con Tso (trattamento sanitario obbligatorio) nel reparto psichiatrico dell’ospedale di Bressanone dove viene sedato perché molto aggressivo. Trascorso qualche giorno viene dimesso, ma tornerà qualche ora più tardi in ospedale. I medici certificano che Harry aveva “sia un modo di pensare, sia di vivere le esperienze sia modalità comportamentali ancora immaturi e infantili, con in parte regressioni emozionali sino al livello di un bambino dell’età dell’infanzia”. Un bambino di 5 anni, per l’esattezza. Gli psichiatri riscontrano anche un leggero deficit di intelligenza e dicono che la permanenza nell’ex Schenoni può essere una soluzione solo temporanea. 

A novembre 2018 Harry viene denunciato da un’operatrice della struttura per molestie sessuali. Via Twitter il ministro dell’Interno Matteo Salvini griderà allo stupro, non importa se smentito dalla stessa operatrice, l’episodio finisce di diritto nel pot-pourri dell’indefessa propaganda leghista.

 

 

Harry viene arrestato e rinchiuso nel carcere di Bolzano. Il 30 novembre arriva la decisione negativa della Commissione sulla richiesta di asilo, ma il giovane inspiegabilmente non fa ricorso. Forse perché durante la detenzione non era stato informato di questa possibilità? È una delle domande rimaste inevase. Il giudice dispone una perizia psichiatrica, anche in questo caso nel referto viene evidenziato che l’età comportamentale di Harry è quella di un bambino. Uscito dal carcere il giovane finirà in strada per circa un mese, senza alcun documento in tasca. Un giorno le forze dell’ordine lo fermano, scatta il decreto di espulsione e Harry viene spedito nel Cpr di Restinco. La situazione peggiora, Harry è inquieto, alterna momenti di aggressività ad altri di scoramento e pianto. 

La Campagna “LasciateCIEntrare”, in cui è coinvolta anche Federica Dalla Pria, coordinatrice di Antenne Migranti - monitoraggio lungo la rotta del Brennero, segnala in più occasioni al Prefetto, all'Organizzazione internazionale per le migrazioni (IOM), al Garante nazionale e regionale dei detenuti, e all’UNHCR la condizione di vulnerabilità psichica e l’incompatibilità con il trattenimento del ragazzo nel Cpr.

 

 

Viene nominato un avvocato di fiducia che prepara i documenti necessari per il ricorso avverso la decisione della Commissione in merito alla domanda d’asilo. Durante le sue crisi Harry viene sedato, ma non è chiaro secondo quale terapia né quale prescrizione, non si procede del resto con alcuna valutazione psichiatrica nonostante le continue richieste in questo senso. Nessun medico all'interno del Cpr lo visiterà.

Nella notte fra l’1 e il 2 giugno Harry, trovandosi da solo in un momento in cui i compagni di cella si allontaneranno per la preghiera, si toglierà la vita. Aveva vent’anni. La Prefettura dispone la sepoltura, senza ulteriori accertamenti su ciò che è accaduto. Ma la campagna “LasciateCIEntrare” non molla. Chiede l’autopsia del corpo e gli esami tossicologici, e soprattutto “che vengano accertate le responsabilità di chi, pur essendo a conoscenza dello stato di grave disagio e sofferenza psichica, incompatibile con il trattenimento in un centro per i rimpatri, non ha tutelato i diritti e la vita di Harry”. Un esercizio di responsabilità da cui nemmeno l’Alto Adige può esimersi.