Cultura | Baukultur

Spirit of place e tutela delle fragilità

Spirit of place e tutela delle fragilità
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Turris Babel 121
Foto: Studio Mut | Turris Babel

Testo introduttivo del No. 121 del Turris Babel |  Ridisegnare Othmar Barth

Testo di Karin Dalla Torre / Traduzione Ex Libris Bz


In Zusammenarbeit mit der Architekturstiftung Südtirol / in collaborazione con la Fondazione Architettura Alto Adige.

 

 

Scrivo queste righe seduta su una sedia disegnata da Othmar Barth per l’Accademia Cusanus. La sedia, data in prestito a Klaus Kompatscher, funge da collegamento tra i due architetti. Un legame non casuale, che va ben oltre l’oggetto di design: con i loro progetti, entram-bi hanno creato luoghi e spazi per la vita e il lavoro di moltissime persone in Alto Adige. La casa in cui mi tro-vo, seduta sulla sedia di Barth, è di proprietà di Klaus Kompatscher. È stata eretta intorno al 1900 su proget-to dell’architetto viennese Julius Mayreder nel contesto dell’ampliamento urbanistico di via Cassa di Risparmio a Bolzano. Il piano prevedeva la creazione di nuove uni-tà abitative d’affitto, con spazi ampi e luminosi, luoghi dove vivere e pensare.
Molti edifici di Julius Mayreder, in Austria e a Bolzano, sono sottoposti a tutela. A oggi, in Alto Adige, un solo edificio di Othmar Barth e – fino ad oggi – nessuno di Klaus Kompatscher sono stati ritenuti meritevoli di vin-colo. Perché? È ipotizzabile un’evoluzione? Il mio contri-buto intende rispondere a queste domande e, ancor più, tematizzare il nostro rapporto, non sempre improntato all’apprezzamento, con l’architettura altoatesina del se-colo scorso.
Nella fitta rete di riferimenti storico-architettonici nella quale sono immersa, mi tornano in mente le parole di Othmar Barth in un’intervista a Paola Attaro del genna-io 2008 sul significato e sulla funzione dell’architettura: «È uno dei supporti alla vita della gente». (rivedere Barth wiedersehen, p. 29)
Questa frase non è solo emblematica della elegante mo-destia che tutti i suoi interlocutori ricordano di lui, ma nasconde anche una profonda verità. Othmar Barth spiega in poche parole perché ogni società dovrebbe interrogarsi sul proprio patrimonio urbanistico e sull’o-pera dei suoi architetti. Ogni edificio, sacro o civile, ri-specchia la società per la quale è stato costruito, il suo modo di affrontare la vita, i successi e gli insuccessi di un’epoca nella linea del tempo. Ogni progetto è un contesto di apprendimento.
L’anonima architettura dei masi storici dell’Alto Adi-ge, una peculiarità del nostro patrimonio tutelato, offre immediata visibilità alla strenua lotta per la sopravvi-venza, portata avanti da generazioni, in una natura e un paesaggio spesso avversi. Ma anche gli edifici degli anni cinquanta sono importanti testimonianze storiche. Ci parlano delle difficoltà e, in seguito, del benessere crescente degli anni del dopoguerra e della mentalità di quell’epoca. La nostra società non può permettersi di trascurare l’architettura moderna e tardo moderna, funzionalista e postmoderna, né a livello di tutela e di conservazione, né a livello di riflessione complessiva. È giunto il momento di rivolgere uno sguardo attento alle opere dell’intero XX secolo degne di conservazione e rilevanti in termini di tutela. Fin da ora e non soltanto quando raggiungeranno la soglia prevista dalla normati-va altoatesina per la tutela dei beni architettonici. È anzi auspicabile un abbassamento di tale soglia dagli attuali cinquanta a trent’anni.
Il confronto approfondito dell’intera società con gli edi-fici del passato, anche e in particolare con le opere più recenti, a partire dal dopoguerra, rafforza la consape-volezza della cultura architettonica presente e futura, elemento imprescindibile per progettare il futuro nella fragile bellezza del nostro paesaggio e del nostro patri-monio architettonico. È essenziale che il confronto non abbia luogo solo nelle aule e negli scritti accademici e sia capace di rompere gli schemi, non meno accademici, entro i quali si muovono le soprintendenze ai beni cul-turali. Si tratta, in entrambi i casi, di strumenti utili ed efficaci, ma è necessario che il dibattito tocchi anche il piano emotivo, coinvolgendo la società, le sue esigenze e i suoi sogni. Il nostro obiettivo deve essere aiutare tutti, e non solo gli addetti ai lavori, a sviluppare e affinare la sensibilità per il cosiddetto «spirit of place». Una vali-da attività di informazione e mediazione culturale ha potenzialità enormi, e a beneficiarne sarebbe la cultura edilizia nel suo complesso.

 


La Dichiarazione di Davos del 2018 esprime chiaramente perché la nostra società dovrebbe promuovere una cultu-ra architettonica di alto profilo: «High-quality Baukultur improves our sense of place. By enabling people to identify with their living spaces, it fosters an inclusive and cohesive society. Counteracts discrimination and radica-lization and promotes integration and civic awareness». Più lontana è l’epoca in cui è stato costruito un edifi-cio e più facile ci risulta apprezzarne il valore storico, architettonico, artistico ed etnico-culturale, sulla cui base definiamo il nostro modo di relazionarci a essa. È qui che entrano in gioco gli strumenti della tutela degli insiemi e del patrimonio culturale. Gli strumenti più efficaci sono però, da un lato, le emozioni condivise che ci trasmettono gli edifici storici e, dall’altro, un atteggia-mento attento e rispettoso nei loro confronti.
Laddove non vi sia ancora la distanza storica, valuta-re e decidere risulta più difficoltoso. È il caso di parte dell’architettura del XX secolo. La ricerca di una strate-gia e di una base decisionale non è tuttavia differibile. Il motivo principale risiede nella deteriorabilità degli edi-fici odierni, costruiti con materiali la cui durata media si aggira intorno ai trent’anni. Ma i materiali non sono l’unico problema. Ancora più doloroso è forse constatare la scarsa sensibilità dei nostri tempi, che mette a rischio gli edifici e ci porta ad autorizzare la demolizione di im-mobili dai numerosi pregi.
È proprio l’uso sconsiderato del maglio da demolizio-ne, assurto ai giorni nostri a vera e propria strategia, la maggior minaccia per gli edifici. Le scrupolose opere di ampliamento e riconversione, evidenziate dagli studi effettuati su edifici storici, sembrano avere perso la loro importanza. Eppure, la longevità delle strutture edili-zie rappresenta non da ultimo una strategia ecologica. Negli ultimi dieci anni, in Alto Adige sono andati persi molti edifici del XX secolo meritevoli di conservazione e in parte di tutela. Altri sono sfuggiti alle ruspe, vedendo tuttavia compromesse le loro qualità architettoniche in seguito a interventi di isolamento esterno e sostituzione degli infissi che ne hanno fortemente alterato l’aspetto. È giunto, per noi, il momento di puntare i riflettori sulle ottime prove dell’architettura altoatesina del secolo scor-so, con particolare riguardo al periodo dagli anni trenta agli anni ottanta e con il chiaro intento di conservarne le costruzioni e le tipologie edilizie più significative. Non sarà facile. Soprattutto gli edifici in stile razionalista incontreranno resistenze a livello politico. Proprio per que-sto è importante definire su una solida base scientifica e storico-architettonica criteri contenutistici e standard trasparenti per l’opinione pubblica. Altrettanto urgente è la sensibilizzazione dei responsabili politici: valorizza-zione, apprezzamento e una nuova cultura urbanistica passano attraverso la conoscenza. Un buon punto d’avvio in tal senso è offerto dalla pubblicazione «Lavori in cor-so. Die Bozner Freiheitsstraße», apparso nel 2020 presso La Fabbrica del Tempo / Die Zeitfabrik.

 


Essenziale per diffondere questa conoscenza e indurre l’auspicato cambio di prospettiva è un’efficace rete di sinergie, coordinata dalle esperte e dagli esperti delle università di Innsbruck e Trento, dalla piattaforma Pa-trimonio culturale e produzione culturale dell’Univer-sità di Bolzano, dai musei, dall’Ordine degli Architetti, dalla Fondazione Architettura Alto Adige, dalla Soprin-tendenza ai beni culturali e l’Ufficio provinciale per la tutela dei monumenti. Un ulteriore obiettivo deve essere il coinvolgimento nel dibattito di investitori, progettisti e mediatori politici. È insomma necessario conquistare una nuova attenta consapevolezza, improntata alla cura e al rispetto, verso l’architettura del Novecento, in parti-colare laddove si realizzano progetti di riqualificazione e ampliamento.
Alcuni strumenti sono già disponibili, altri andranno sviluppati quanto prima.
la nascita della Casa dell’Architettura con archivio proposta dall’Ordine e dalla Fondazione rappresenterebbe un importante e necessario tassello in questo percorso. La struttura si posizionerebbe infatti come punto di ri-ferimento per la storia dell’architettura, andando a integrare il patrimonio dell’Archivio provinciale, che già gestisce il lascito Barth e gli archivi Delugan e Sachs. Anche in questo campo è importante puntare sulle sinergie. Oggi si impone anzitutto la necessità di una panoramica soddisfacente del patrimonio architettonico del XX seco-lo in Alto Adige, ma anche di linee guida che forniscano criteri chiari per valutare se un edificio sia meritevole di conservazione o addirittura di tutela o se, al contra-rio, sia sufficiente documentarne lo stato originario. Ad esempio, dove si collocherebbe in questa scala il Trade Center (la vecchia Camera di commercio) di Bolzano, progettato da Antonello Marastoni negli anni settanta, di cui è stata autorizzata la demolizione?
Non si sta suggerendo di elaborare una strategia comple-tamente nuova ma piuttosto di partire insieme dall’otti-mo lavoro già svolto dall’Ordine degli Architetti, dalla Fondazione Architettura e dalla Soprintendenza provin-ciale. Ne è un esempio il «Censimento nazionale delle architetture italiane del secondo Novecento. Regione Trentino-Alto Adige. Aggiornamento e ampliamento (ottobre 2019)», redatto dalle tre istituzioni in collabora-zione con l’Università di Trento e con la Soprintendenza ai Beni culturali e l’Ordine degli Architetti del Trentino. Un’ulteriore risorsa è rappresentata dall’archivio digitale arch.atlas, la cui fruizione andrebbe tuttavia estesa a un pubblico più ampio.
Tra le novità c’è il progetto «Bauinventar Südtirol» (inventario edilizio dell’Alto Adige) della Soprintendenza ai Beni culturali che, prendendo le mosse da un progetto pilota condotto nel 2020 nei comuni di Sluderno e Glo-renza, verrà esteso dapprima agli altri comuni della Val Venosta e in seguito a tutti i 116 comuni dell’Alto Adige. Il progetto prevede la rilevazione e catalogazione stan-dardizzata, da parte di un team di esperte e di esperti, di tutte le tipologie di edifici ritenute significative fino ai nostri giorni. Nel 2021 è in programma una cataloga-zione speciale delle tipologie edilizie in collaborazione con la Sovrintendenza ai beni culturali.
La banca dati sarà in futuro un utile strumento per la messa a punto dei piani di tutela degli insiemi da parte dei comuni altoatesini. Il progetto consentirà inoltre di individuare gli immobili meritevoli di tutela. Obiettivo primario rimane tuttavia l’elaborazione di una panora-mica scientificamente valida. In breve: la costruzione della conoscenza.
Sfruttiamo gli strumenti che abbiamo a disposizione: la figura professionale delle esperte e degli esperti di cultura edilizia nelle commissioni comunali, prevista dalla legge provinciale «Territorio e paesaggio», dovreb-be emergere quale figura chiave nel contesto della programmazione urbanistica e della tutela del paesaggio a livello territoriale. La creazione di una rete di esperte e di esperti, che fruirà di misure formative continue, è un presupposto importante a garanzia di interventi edilizi accurati e di qualità e di una gestione adeguata del pa-trimonio urbanistico sottoposto a tutela degli insiemi o a vincolo monumentale.

 

La riuscita ristrutturazione dell’Accademia Cusanus di Othmar Barth a Bressanone dimostra quali risultati si possano raggiungere unendo le forze. La decisione, nel 2018, di porre l’immobile sotto tutela venne accolta inizialmente con sconcerto da proprietari e progettisti. Anche l’opinione pubblica reagì dapprima con stupo-re. Un edificio degli anni sessanta? Sì, e la decisione si basava su argomenti solidi. Nel 2016 la Provincia au-tonoma di Bolzano ha infatti acquisito per l’Archivio provinciale il lascito di Othmar Barth comprensivo di tutti i modelli architettonici, assicurando così la conservazione di questa importante fonte di conoscenza. Attingendo al vasto e prezioso archivio di Barth, l’archi-tetto Matteo Scagnol ha potuto elaborare un intervento di ristrutturazione e ampliamento di qualità e rispet-toso della struttura. Tutti i presenti alla cerimonia di riapertura al pubblico dopo la ristrutturazione, hanno colto la profonda opera di valorizzazione dell’edificio: lo «spirit of place», il genius loci, è stato senza dubbio rafforzato dagli interventi attenti e nel contempo co-raggiosi di Scagnol sulle parti esistenti e dalla qualità architettonica degli elementi nuovi. L’esempio dell’Accademia Cusanus è utile anche a illu-strare, dal punto di vista tecnico, quali fattori concorra-no a giustificare il vincolo monumentale di un edificio della seconda metà del XX secolo. Nel caso dell’Accade-mia questi fattori sono molteplici. Al valore storico-ar-chitettonico dell’edificio quale esempio di stile tardo mo-derno, confermato dal prestigio della figura di Barth come architetto e docente universitario a Innsbruck, si unisce il valore artistico delle opere di Martin Rainer ospitate dalla struttura. Al tempo stesso, l’Accademia Cusanus è simbolo delle politiche educative e della ge-nerale apertura culturale dei tardi anni sessanta («im-parare in piazza»). Proprio qui, peraltro, nell’atmosfera speciale della Cusano, il 27 agosto 1969 il poeta N. C. Kaser pronunciò la sua irriverente orazione, nella quale attaccava le ingombranti «vacche sacre» della letteratura sudtirolese. Il ricordo del «discorso brissinese» confe-risce dunque rilevanza all’Accademia anche in termini storico-culturali. La decisione di tutelare l’immobile ap-pare insomma più che motivata.
I lavori di risanamento hanno messo in luce le carenze strutturali dell’edificio, un problema che si ripresenterà anche in altri progetti di conservazione di stabili risa-lenti allo stesso periodo. Ma il progetto ha altresì dimo-strato che le difficoltà si possono superare senza arrecare danno alla struttura.
I presenti all’inaugurazione, dopo avere preso posto sul-le sedie di Barth, hanno senza dubbio percepito il fasci-no particolare che solo un continuum architettonico sa emanare, un fascino capace di potenziare il «sense of place» distintivo dell’alta cultura edilizia. Un luogo dove vivere e imparare o, come preferiva dire Othmar Barth, un «supporto alla vita della gente».

 

 

B I B L I O G R A F I A

Davos Declaration 2018. Towards a high-quality Baukultur for Europe. Hannes Obermair, Fabrizio Miori, Maurizio Pacchiani (Hg.):

Lavori in corso. Die Bozner Freiheitsstraße. La Fabbrica del Tempo / Die Zeitfabrik, Bozen 2020.

No. 120 del Turris Babel |  Riscoprire Othmar Barth

rivedere Barth wiedersehen, Turrisbabeledition 2011: 13 fotografi hanno visitato 20 opere di Othmar Barth. Acquistabile presso l'office della Fondazione Architettura Alto Adige.