Società | Maltempo

Nel ventre del disastro

Il fotoreportage di Walter Donegà sulla zona di Carezza devastata dal nubifragio è diventato virale. “Volevo vedere con i miei occhi e ho trovato uno scenario di guerra”.
Walter Donegà
Foto: Walter Donegà

“Mi trovavo al lavoro, ho intercettato in rete una foto di Carezza con tutti quegli alberi riversati a terra, caduti come birilli, e sono voluto andare a vedere con i miei occhi cosa fosse successo”.

È il 31 ottobre, due giorni dopo la furiosa ondata di maltempo che si è abbattuta sull’Alto Adige. Sono circa le 12 e Walter Donegà, programmatore informatico di professione, ex speaker radio, voce delle audiofiabe per bambini pubblicate sul più noto sito dedicato, e fotografo (pluripremiato e con una mostra già alle spalle a Bolzano) per passione, prende il suo drone e si mette in macchina per cercare di raggiungere Nova Levante.

Si ferma due tornanti prima del lago di Carezza dove la strada, piena di detriti, si interrompe. Ha appena 20 minuti di autonomia la batteria del drone che Donegà pilota sopra un panorama devastato, da mozzare il fiato, già corto di per sé.

Le foto mi hanno dato notorietà, è vero, ma non sono un fotografo professionista e non mi spaccio come tale. Non ho mai venduto i miei lavori né certamente l’ho fatto in questa occasione, è una questione di etica, non potrei lucrare da una disgrazia

 

Si tiene in disparte, Walter, non vuole intralciare il lavoro dei soccorritori che stanno tentando di liberare la via dagli alberi divelti.

Sul suo sito ha caricato più di 15mila scatti, molti dei quali effettuati proprio con il drone, testimonianza visiva delle escursioni in montagna che ama fare insieme alla moglie, Alessandra Fella. L’esperienza, insomma, non gli fa difetto.

Il tempo in quel momento concede clemenza, il drone vola basso per non rischiare di ostacolare gli elicotteri che sorvolano la zona e scatta quelle fotografie aree che in questi giorni stanno spopolando sui social - oltre 3.500 condivisioni su Facebook, più di 4mila like su Instagram - e che sono state pubblicate su gran parte dei quotidiani locali. “Le foto mi hanno dato notorietà, è vero, ma non sono un fotografo professionista e non mi spaccio come tale. Non ho mai venduto i miei lavori - dice Walter a salto.bz - né certamente l’ho fatto in questa occasione, è una questione di etica, non potrei lucrare da una disgrazia”.

 

 

Ed è un paesaggio desolante quello che si trova davanti quel giorno. “Una cosa mai vista prima, uno scenario di guerra se non fosse che io la guerra non l’ho mai vista. È stato impressionante distinguere questi alberi altissimi non spezzati ma sradicati dal suolo, le zolle di terra rivoltate, mi ha colpito il fatto che ci fossero così poche radici ad ancorare alberi così grandi. Questa maestosità che si è dovuta inchinare alla forza della natura ti fa sentire davvero piccolo e impotente”. Lo sconforto per un’inconsolabile bellezza sfregiata, “un luogo completamente cambiato nelle sue sembianze che le nostre generazioni non potranno più vedere tornare come prima della catastrofe climatica”, lascia spazio a un mea culpa collettivo, a quell’effetto farfalla, tante volte evocato, con il suo gravoso equipaggiamento di conseguenze. 

 

 

Evidentemente l’aspetto turistico prevale su tutto, anche su una tragedia di questa portata. Da un lato lo capisco ma no lo trovo corretto. Nascondere le ferite non serve, mostrarle aiuta a capire quanto può essere fragile il nostro mondo e conseguentemente avere sempre maggiore rispetto per l’ambiente

“Ancora non mi spiego perché la stampa nazionale sia stata così assente nel riportare quanto successo sul territorio altoatesino”, nota infine Donegà che non risparmia anche critiche “in house”: “Mi sono stupito del ‘rumoroso’ silenzio dei molti account ufficiali Instagram della nostra provincia, dall’IDM alle varie associazioni turistiche. Personalmente trovo triste che in un social di foto non abbiano postato un solo scatto per mostrare il disastro o speso una parola sull’accaduto, se non per ringraziare chi si è impegnato per portare aiuti, un po’ poco mi pare. Evidentemente l’aspetto turistico prevale su tutto, anche su una tragedia di questa portata. Da un lato lo capisco ma non lo trovo corretto. Nascondere le ferite non serve, mostrarle aiuta a capire quanto può essere fragile il nostro mondo e conseguentemente avere sempre maggiore rispetto per l’ambiente”.