Società | Volontariato lingue

Sentirsi veramente ‘a casa’

Per Alvaro Leoni e Sepp Kusstatscher l’esperienza del Volontariato delle lingue è stata all’insegna del Südtiroler Dialekt.
Avvertenza: Questo contributo è un messaggio promozionale e non rispecchia necessariamente l'opinione della redazione di SALTO.
Alvaro Leoni e Sepp Kusstatscher
Foto: Ivo Corrà

Un giovane bancario e un ex politico di lungo corso. Sono questi i protagonisti della quinta intervista del nostro breve ciclo dedicato al progetto Volontariato delle Lingue, o meglio "Voluntariat per les llengües" dato che ha preso il via nell’autunno 2010 e prende spunto da quanto già attuato già dal 2003 in Catalunya (Spagna), territorio bilingue catalano-castigliano. Ricordiamo che tale programma che è stato considerato nel 2005 dalla Commissione Europea come una delle "Best Practices" per l’apprendimento delle lingue.

 

In sintesi il progetto consiste nella formazione di "coppie linguistiche" costituite da un Volontario e un Apprendente, che dedicano alla conversazione nella lingua da praticare un numero prefissato di ore del proprio tempo libero, solitamente 1 ora settimanale per 10 settimane, da poter ripetere non più di due volte. I due soggetti si incontrano dove vogliono e quando vogliono con lo scopo condiviso di aiutare l’Apprendente ad acquisire fluidità e sicurezza nella lingua del Volontario, praticandola in situazioni colloquiali e informali, conoscendosi e arricchendosi reciprocamente.

Trasferendo e adattando tale progetto (con il sottotitolo "Ich gebe mein Deutsch weiter - Parliamoci in tedesco") alla realtà della nostra Provincia, ci si è posti l’obiettivo principale di promuovere l’uso della seconda lingua tedesco nelle relazioni interpersonali, facilitando uno spazio di comunicazione nel quale una persona, con conoscenze linguistiche anche minime, possa acquisire sicurezza e "sbloccarsi" dal punto di vista psicologico, utilizzandola in modo spontaneo nel quotidiano.

 

Ma ogni ‘incontro’, dicevamo, ha le sue caratteristiche specifiche, calibrando lingua e interazione sulla base dei reali protagonisti ed in particolare sulla personalità e le esigenze specifiche dell’apprendente.

 

Come siete venuti a conoscenza dell’esistenza del progetto Voluntariat per les llengües?

Kusstatscher: Ho visto la pubblicità in internet e ho pensato che si trattava di un’iniziativa molto interessante, per cui mi sono presentato ai responsabili ed ho cominciato. Precedentemente avevo già fatto un’esperienza di tandem, condividendo con una persona di madrelingua italiana il desiderio incrociato di perfezionare la nostra L2. Con il primo candidato con cui mi sono ritrovato ho avuto un grande successo. Lui, un insegnante di scuola elementare, si era presentato all’epoca già 5 o 6 volte all’esame di bilinguismo, senza successo. Durante i nostri incontri mi sono immaginato di essere un membro della commissione, facendo domande. Non abbiamo solo parlato ma anche programmato esercizi per iscritto, utilizzando anche le email. Alla fine lui è stato promosso e mi ha detto che all’esame gli hanno posto esattamente tutte le domande sulle quali ci eravamo esercitati.

Leoni: Anch’io penso di aver visto una pubblicità su un trafiletto laterale, in internet. E forse anche qualche insegna sugli autobus di linea. Nella banca in cui lavoro c’è stato un cambiamento e sono andato a lavorare con un consulente che copriva la zona della Pusteria e dell’Alta Val d’Isarco. Io in sostanza ero il suo assistente e lì era necessario parlare con i clienti non solo in Hochdeutsch ma anche in dialetto.

 

Quindi fin dall’inizio avete concordato di parlare in dialetto durante i vostri incontri?

Kusstatscher: Lui mi ha detto che quando parlava con le persone, loro vedevano subito che non era di madrelingua tedesca e allora subito si mettevano a parlare in italiano. Allora quindi abbiamo imparato subito qualche ‘parolaccia’ in dialetto, giusto per ‘bloccare’ negli interlocutori nel loro ‘passaggio’ all’italiano.

Leoni: Io sono diventato papà da poco e ci tengo molto che anche la mia bambina parli il tedesco e quindi ho chiesto a lui come si dice ad esempio ‘paletta’. Oppure ’se cadi ti fai male’.

 

Lei Leoni padroneggiava già il tedesco standard?

Leoni: Sì, ho studiato in Germania ed ho il patentino A. Però trovavo sempre strano che ogni volta che iniziavo a parlare in Hochdeutsch mi rispondevano in italiano.

 

Ci voleva insomma un sistema per abbattere questa membrana…

Leoni: Sì ed ha funzionato. Ora anche al telefono quando sentono che parlo in tedesco mi rispondono sempre in tedesco.

 

Questa cosa funzionerebbe così bene anche se ad apprendere fosse qualcuno che non conosce così bene il tedesco standard?

Leoni: Senz’altro è meglio avere una buona base. Anche se in realtà il dialetto è più semplice perché permette di bypassare la grammatica.

 

D’altronde pare che sia è proprio questo il motivo per cui i sudtirolesi preferiscono parlare in italiano piuttosto che in Hochdeutch.

Kusstatscher: Sì, hanno difficoltà nel parlare una perfetta lingua standard.

Leoni: In ogni caso devo confermare che ha funzionato. Forse anche perché noi siamo stati particolarmente costanti e dopo il primo ciclo subito ne abbiamo fatto un secondo, proseguendo il percorso.

 

Lei Kusstatscher negli altri precedenti ‘incontri’ aveva sempre parlato lingua standard?

Kusstatscher: Tendenzialmente sì. Per 2 cicli ho fatto il percorso anche con un siciliano, che durante la settimana studiava tutti i giorni, guardava la TV, leggeva libroni. Compiendo un vera e propria full immersion e facendo passi in avanti davvero enormi. Ed anche lui dopo un po’ mi ha detto che voleva essere in grado anche di parlare con la gente che incontrava per strada, parlando delle cose più semplici.

 

Il fatto di mettersi a disposizione per questa forma di volontariato in qualche modo era la risposta ad una sua esigenza personale oppure per lei si è  trattato di un puro spirito di servizio?

Kusstatscher: Avevo senz’altro un’intenzione politica. Se potevo dare un sostegno lo facevo volentieri, sono pensionato, ho tempo e quindi…

 

È un’esperienza che consiglierebbe anche ad altre persone di madrelingua tedesca?

Kusstatscher: Certo. Anche se vedo che altri preferiscono forse fare altre cose.

 

E lei Leoni questa esperienza la consiglierebbe?

Leoni: Senz’altro. Oltre ad imparare una serie di termini che ormai mi porto dietro, devo dire che ho guadagnato molto anche in termini di sicurezza. Soprattutto nel propormi…

Kusstatscher: E nel non aver paura di fare errori, questo secondo me è davvero molto importante.

 

Con gli errori come facevate? Li correggevate?

Kusstatcher: Certo, era il mio compito quello di interrompere e correggere. Naturalmente è dagli errori che si impara. Se tu non parli non fai errori. E gli errori invece devi farli per poter imparare.

 

Era solo una questione di lingua o anche di padroneggiare per lo meno gli elementi case di un’altra cultura. E quindi di sentirsi in qualche modo cittadini più completi di questa terra?

Leoni: Sì, forse sì. Quella era la mia volontà. Io vengo da Vipiteno, un paese prevalentemente di lingua tedesca. Io avevo un papà di lingua tedesca che però a casa, sbagliando, non mi ha mai parlato in tedesco. Negli anni questa cosa mi ha fatto un po’ soffrire, perché mi sentivo chiuso nella comunità italiana, intravedendo un po’ come una barriera, che in qualche modo dovevo abbattere. Ed ora sono contento e quasi entusiasta.

Kusstatscher: Confermo, penso che sia proprio così. D’altronde ho incontrato altri casi in qualche modo simili. Come quello dell’impiegato napoletano della biglietteria della stazione, che voleva sentirsi un po’ di più in Alto Adige. A Leoni in realtà mancava proprio solo l’ultimo passaggio…