Cultura | salto afternoon

Mostre su tela in mostra

Con exhibition paintings Meranoarte ospita dipinti che sono mostre appese in uno spazio museale sovvertendo così il concetto stesso di esposizione d'arte contemporanea.
Paolo Chiasera Martin Pohl
Foto: kunstmeranoarte

Christiane Rekade, direttrice di Meranoarte, per exhibition paintings ha scelto le opere di sei artisti contemporanei accomunati da una ricerca pittorica volta a superare i canoni espositivi consolidati, le logiche di mercato, ma soprattutto interessati a mettere in discussione e reinventare le scelte curatoriali alla base di una mostra. Il titolo si rifà al lavoro di Paolo Chiasera che nei suoi quadri crea delle vere e proprie mostre dipinte su tela. Muovendosi tra le sale di Meranoarte incontriamo Charles Avery il quale, ironicamente, dipinge situazioni espositive che hanno luogo nel suo Museum of Art sull’isola immaginaria di Onomatopoeia. Il sudtirolese Martin Pohl, con spiccato gusto estetico, rappresenta fedelmente le architetture di reali spazi museali nei quali introduce superfici fittizie quali un pavimento ondulato rosso porpora. Lea von Wintzingerode in un’installazione sonora abbinata a un’esposizione di quadri indaga il mondo dietro le quinte dell’arte contemporanea. Il pubblico di Meranoarte si trova così immerso nell’opera diventando parte degli eventi rappresentati. Amelie von Wulffen propone sia alcuni dipinti – collage, in cui cita artisti e tecniche pittoriche del passato (Goya, Beckmann ndr.), sia un fumetto che racconta le fatiche (le giuste relazioni sociali, l’attenzione alla propria immagine) della vita quotidiana di un’artista. Celato dallo pseudonimo Dorothy Miller un artista volutamente ignoto ridipinge le copertine delle mostre che hanno reso famosa la pittura americana del dopoguerra, tutte quante curate dalla vera Dorothy Miller.

In occasione di due interviste abbiamo chiesto a Christiane Rekade e Paolo Chiasera di raccontarci la mostra dal loro punto di vista.

Salto.bz. Frau Rekade, sind sie in Südtirol und im Kunsthaus gut angekommen?

Christiane Rekade: Ich bin seit einem halben Jahr in Meran und habe mich in der Stadt und im Kunsthaus gut eingelebt. Seit September arbeite ich an der Ausstellung und jetzt, nach der Eröffnung, kann ich das Haus, seine Architektur und die Räume und ihre Besonderheiten und Schwierigkeiten besser verstehen.

Wie interpretieren sie exhibition paintings, wie würden sie dieses Ausstellungskonzept beschreiben?

Ich bin durch die exhibition paintings von Paolo Chiasera auf dieses Thema gestoßen. Daran habe ich etwas Neues erkannt, eine Geste mit der sich Künstlerinnen die Freiheit nehmen, eine Ausstellung so zu realisieren, wie sie es möchten. Die ausgestellten Werke entstanden von 2006 bis heute, das ist die Zeit der Wirtschaftskrise und eine Zeit eines immer schnelleren und schnelllebigeren Ausstellungsbetriebes, in der man schneller und mit weniger Geld Kunst produzieren musste. Die Bilder der Ausstellung sind in diesem Sinne emanzipatorisch und ein Versuch eine Alternative vorzuschlagen

Wir leben in einer Zeit kurzlebiger Bilder, hat gerade deshalb die Malerei in dieser Ausstellung einen besonderen Stellenwert?

Ja, ich denke, dass gerade die Malerei als Medium von diesen Künstlern gewählt wurde, mit dem Tempo zu tun hat. Im Internet, auf Blogs, kann man in kurzer Zeit sehr viele Ausstellungen fast auf der ganzen Welt sehen. Wenn man z.B mit Lea von Wintzingerode, die Jüngste der ausgestellten Künstlerinnen, spricht erfährt man, dass sie bewusst die Malerei ausgesucht hat, um dieser schnellen Konsumierbarkeit der Kunst entgegenzuwirken.

Wie ist es als Kuratorin mit Künstlerinnen zu arbeiten, die Kuratoren ihrer eigenen Werke sind?

Der Austausch mit den Künstlerinnen selber war nicht anders als sonst. Jedoch hat jede dieser gemalten Ausstellungen ihr eigenes Konzept, das erklärt werden kann, was mit sich bringt, dass die Ausstellung dicht an Konzepten ist.

Sie sprechen von Konzepten, sind diese exhibition paintings Konzeptkunst?

Das Konzept hat zwar eine wichtige Bedeutung, ich würde es aber nicht als reine Konzeptkunst bezeichnen. Es geht bei allen Künstlern auch um die Auseinandersetzung mit dem Medium und der Geschichte der Malerei.

Wollen sie dem Publikum von Salto ein Werk der Ausstellung erklären?

Ich denke, eine gute Ergänzung zu Chiaseras The Art of Conversation, das ja auf der Einladungskarte abgebildet ist, kann das Blumenstilleben von Amelie von Wulffen gesehen werden. Es stammt aus einer Werkgruppe von Bildern, in denen sie verschiedene Malstile altmeisterliche und moderne Techniken, Hobbymalerei und Kitsch nebeneinandersetzt. Das Stillleben habe ich in die Halle gehängt, weil es mehrere Gedankengänge reflektiert, und weil es hinterfragt was ein Stillleben eigentlich ist. In seinem Text in der Ausstellungspublikation beschreibt Antonio Grulli, dass ein Stillleben nichts Anderes ist, als die Anordnung von Objekten in einem Raum, was wiederum auf die Arbeit einer Kuratorin– auf das Ausstellungsmachen– sowie an den Inhalt der exhibition paintings verweist.

Nach welchem Prinzip wurden die Werke in den Räumlichkeiten des Kunsthauses ausgestellt?

Es war mir wichtig, dass die Künstlerinnen und deren Arbeiten gemischt werden und in Dialog zueinander treten. Wenn man Werke immer wieder trifft, hat man mehr Zeit darüber nachzudenken. Ich glaube, dass es im Fall einer Sammelausstellung den Bildern gut tut gegenübergestellt zu werden. Als Beispiel kann ich die fast leeren, hellen Räume von Martin Pohl in Gegenüberstellung zu den vollen Räumen Paolo Chiaseras, genauso wie die Werke von Charles Avery und Lea von Wintzingerode, die beide auf unterschiedliche Weise das Publikum beschreiben nennen.

Salto.bz. Signor Chiasera, Exhibition Paintings è il titolo di un suo ciclo di opere, di cosa si tratta?

Paolo Chiasera: Si tratta di una possibilità per interpretare il contenuto della mostra, ossia l’incontro di varie opere all’interno di una stanza o di un paesaggio, attraverso il codice della pittura. Intendo dire non costruendo necessariamente la mostra con i lavori fisici, ma delegando la produzione di questo immaginario al gesto pittorico.

Sta dicendo che attraverso il dipinto si esprime quello che avviene all’interno di un’esposizione?

Immagini di avere un’idea per un’esposizione in cui vorrebbe mostrare Van Gogh, Magritte e Picasso. Quest’idea di per sé ha già un valore, poi seguono difficoltà e limitazioni legate alla reperibilità dell’opera, limiti di budget per cui non è possibile prendere in prestito un determinato dipinto. Tale perdita può sì essere talvolta positiva, ma perché venire a patti col reale se, un po’ come fa un fisico teorico, si può lavorare in modo speculativo?

Quando è iniziato questo suo percorso?

A partire dal 2010 con un’attenzione, direi maniacale, per il dettaglio ho iniziato a ricreare la vera produzione di una mostra, per cui procedevo con la scelta delle opere e della conformazione dei luoghi di esposizione, attenendomi a un principio di realtà. Così da pittore mi sono ritrovato a essere un curatore, come quando con la direttrice di Meranoarte mi sono ritrovato a discutere del contenuto del quadro, di quella mostra su tela, vestendo i panni di un artista che parlava come un curatore ma agiva da artista. Questa condizione ibrida è fonte di grande libertà.

Nelle sue scelte curatoriali lavora da solo o anche in squadra?

La selezione delle opere può essere frutto del mio lavoro, altre volte mi avvalgo della cooperazione di altri curatori, in quei casi si crea una conversazione che fa sì che l’immagine dipinta abbia una complessità maggiore. Pensiamo al quadro antico che era frutto del pensiero di scienziati, teologi, alchimisti che convergevano alla costruzione di un’immagine complessa come ad esempio un’immagine religiosa.

Secondo lei è utile prendersi del tempo per capire l’arte contemporanea e la sua complessità?

Lo trovo un buon modo per passare il tempo, non c’è ragione per non approfondire qualcosa. D’altronde è il capitalista che non approfondisce, che deve assimilare e far fruttare subito le cose. È più interessante avere un atteggiamento critico facendo un passo in dietro per capire un fenomeno. Il giornalista di un quotidiano locale a commento della mostra si lamentava del fatto di non aver capito tutto, beato lui che di solito capisce per intero tutti i significati insiti in una mostra d’arte e nelle opere esposte.

Mi può descrivere il dipinto The Art of Conversation e cosa rappresenta?

Il quadro rappresenta il National Assembly Building dell’architetto Louis Kahn che fa da sfondo all’immagine di una sezione prospettica del salotto della casa estiva di Albert Einstein. L’exhibition painting consente di unire questi due luoghi perché con la mostra dipinta io e il co - curatore Andreas Schlegel volevamo riferirci all’incontro tra Rabindranath Tagore (primavera bengalese ndr.) e Albert Einstein. Abbiamo selezionato l’artista bengalese Naeem Mohaiemen, la prima visione del suo video intitolato United Red Army ha luogo sul dipinto  per cui Riccardo Previdi ha studiato uno schermo da proiezione.

Le opere esposte nei suoi dipinti quindi non si possono comprare?

Io produco l’opera dei vari co artisti che collaborano all’exhibition painting, ma abbiamo tutti rinunciato al possesso dell’opera mantenendone l’uso. Questo collage potrebbe sì essere fatto al computer, ma solo fino a un certo punto, perché c’è una qualità nella materia pittorica che uno schermo non può restituire. Qui mi riferisco ai miei studi presso la Columbia University con Vittorio Gallese dove ho appreso le correlazioni tra arte e neuroni specchio e l’empatia generata da un’immagine dipinta.

Lei è definito artista concettuale, è d’accordo, e per lei cosa significa arte concettuale?

Per Aristotele la concettualità nasce nel momento in cui si riconosce ciò che è comune tra cose differenti, in questo senso sono concettuale. Se invece per concettuale si intende la continuazione delle esperienze artistiche degli anni ’60 non mi riconosco in questa definizione.

Come è stata la sua esperienza a Merano?

Ho origini familiari a Merano, per me la città è un po’ ciò che Combray era per Proust, la mia madeleine sono stati vari etti di speck sudtirolese.