Politica | Il personaggio

Elly, la Hoffnungsträgerin

L’europarlamentare uscente Schlein porta all’Ost West club di Merano la personale visione del Vecchio continente e il suo prezioso bagaglio di “appartenenze incomplete”.
Elly Schlein
Foto: upi

Dall’aula del Parlamento europeo all’Ost West club di Merano il passo è breve quando la passione politica è un propellente inesauribile. È questo il caso di Elly Schlein, eurodeputata uscente eletta nelle liste del Pd e poi approdata al progetto civatiano di Possibile, che qualche sera fa, nella città del Passirio, ha portato, estranea al fragore propagandistico delle imminenti elezioni comunitarie, la sua personalissima fotografia dell’Europa.

Separati in casa


Politico di razza e Hoffnungsträgerin, portatrice di speranza, come l’ha definita il moderatore della serata, Gabriele Di Luca, evocando Alex Langer, Schlein torna sui motivi che l’hanno convinta a non ricandidarsi per un secondo mandato a Bruxelles. “Speravo in un processo diverso per la formazione delle liste”, dice con rammarico. Fallito il progetto di una alchemica alleanza fra Verdi e le costellazioni della sinistra (causa il rifiuto dei primi) per le europee Schlein ha infatti deciso di non contribuire alla frammentazione in atto schierandosi, “avrei dovuto spaccare mondi che lavorano insieme”, aveva detto in una recente intervista rilasciata a Il manifesto.

 

 

Per la 34enne europarlamentare “la lotta per la giustizia ambientalista si fa insieme a quella sociale. Ci sono state in questi mesi tante piazze spontanee, da Riace a Catania, da Milano a Roma, gli stessi Fridays for future sono stati il lampante esempio di un ritorno alla mobilitazione. Ecco, a tutte queste persone non possiamo chiedere se si sentano più ecologiste o più progressiste, non ha senso schiacciarsi su una posizione piuttosto che sull’altra. Occorreva un progetto unitario che puntasse a ridurre le disuguaglianze, alla democratizzazione delle strutture europee e che investisse su una transizione ecologica dell’economia”.

Scene da una legislatura


Nel circuito europeo c’era poi un’altra esigenza con cui fare i conti: levare gli scudi contro il rigurgito nazionalista. “Da qualche anno la cosiddetta ‘Internazionale dei nazionalisti’ si stava organizzando, con la sua retorica di muri e intolleranze - chiosa l’esponente di Possibile -. Orbán, Le Pen, Salvini si atteggiano da grandi amici ma l’idillio durerebbe poco viste le contraddizioni che li dividono, l’Italia sta dalla parte sbagliata del muro. Ho detto: ’Come ci opponiamo a tutto questo?’ Chiedevo unità e coerenza, ma non è servito”. La soluzione, propone Schlein, è la creazione del cosiddetto terzo spazio, dove far confluire chi non sta con l’establishment ma nemmeno con gli strenui difensori dei confini nazionali, “guardandoci dagli europeisti di facciata come Macron che al Consiglio europeo avrebbe potuto sostenere la riforma del regolamento di Dublino e non l’ha fatto. Linea peraltro adottata anche dalla Merkel”, puntualizza Schlein.

Passi falsi e buoni propositi


Il faro è l’agenda 2030 (il programma sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU) con i suoi 17 nuovi obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, fra i quali la riduzione delle disuguaglianze su scala globale - uno dei temi su cui Elly Schlein insiste di più -, il contrasto alla corruzione e all’evasione ed elusione fiscale, la lotta alla povertà.

Orbán, Le Pen, Salvini si atteggiano da grandi amici ma l’idillio durerebbe poco viste le contraddizioni che li dividono, l’Italia sta dalla parte sbagliata del muro

“L’Europa di grande ambizione federalista immaginata da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni con il Manifesto di Ventotene non si è ancora realizzata ma deve continuare a ispirarci. Quale paese può pensare di affrontare da solo i flussi migratori o la questione del cambiamento climatico?”. Va da sé che quello dell’immigrazione è forse il tema più divisivo, il regolamento di Dublino, ovvero il sistema d’asilo europeo che stabilisce l’assegnazione dei migranti al Paese di primo arrivo (e quindi di fatto quasi esclusivamente Italia, Grecia e Spagna) è un “provvedimento ipocrita, 6 paesi su 28 non possono accollarsi da soli l’80% delle richieste di asilo, è contro il principio di solidarietà dell’Unione”.

La riforma di Dublino, di cui Elly Schlein è relatrice per il suo gruppo S&d (Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici), tra le altre cose andava a eliminare proprio il criterio del primo ingresso a favore di un meccanismo automatico di ricollocamento dei migranti con un sistema di quote stabilite in base a pil e popolazione. La proposta era stata votata dai due terzi del Parlamento europeo, con il il fronte progressista e ecologista che è riuscito a “convincere liberali e gran parte dei popolari a salire sul carro, una delle più grandi soddisfazioni di questo mandato - afferma l’eurodeputata -, l’Unione fa la forza, altrimenti siamo condannati all’irrilevanza”.

Quale paese può pensare di affrontare da solo i flussi migratori o la questione del cambiamento climatico?

La riforma era stata poi bocciata a Lussemburgo in un vertice dei ministri dell’Interno europei a giugno 2018. “La Lega non ha mai partecipato a nessuna delle 22 riunioni di negoziato convocate nel corso di due anni, eppure Salvini parla tutti i giorni di sicurezza. Il punto è che sulla volontà di cambiare il regolamento di Dublino hanno prevalso gli egoismi nazionali, resta il fatto che c’è bisogno di vie legali e sicure per l’accesso dei migranti a tutti gli Stati europei”. Nota dolente la tendenza dei media “a banalizzare il processo decisionale europeo, anche attraverso la retorica dei ‘grigi burocrati’, io li ho cercati in questi 5 anni ma non li ho trovati”. 

About Elly


In principio fu l’avventura delle idee. “Non ho mai cercato l’impegno politico ma non mi sentivo rappresentata e allora ho deciso di mettere in pausa le mie aspirazioni da regista per fare parte di quel cambiamento che avrei voluto vedere nella società”, racconta di sé Schlein tornando alle origini. È nata a Lugano da mamma senese e papà americano, il nonno paterno dalla Galizia emigrò negli Stati Uniti. Tutte queste “appartenenze incomplete hanno segnato il mio modo di essere, di crescere e di vivere”, spiega. In Svizzera l’arcinoto pregiudizio contro gli italiani non la risparmia (“ma è stata una buona palestra”), a scuola conosce tanti ragazzi che scappavano dai Balcani per la guerra, “mi sono resa conto di come eravamo tutti fondamentalmente uguali nelle nostre differenze”. Decide poi di tornare in Italia, a Bologna, per iscriversi al Dams che lascerà per Giurisprudenza.

 

 

Nel 2008 segue da volontaria, a Chicago, la campagna elettorale di Barack Obama in corsa per la presidenza contro John McCain. “In quel momento epocale c’era in gioco molto più della sola amministrazione americana”. Nel 2012 ritorna nella città dell’Illinois a formare i nuovi volontari per la rielezione di Obama, che stavolta dovrà vedersela con Mitt Romney. “La capacità di Obama è stata quella di riuscire a mettere insieme un’umanità così diversificata intorno alla sua idea di Paese, certo le aspettative erano troppo alte per soddisfarle tutte”. Al Parlamento europeo arriva nel 2014 dove lavora soprattutto sui temi dei diritti, della giustizia fiscale, dell’immigrazione, della conversione ecologica, della lotta alla corruzione e alle mafie “che si approfittano del mercato unico molto di più rispetto alle nostre imprese, nel completo silenzio dei governi europei”.
Con la fine del mandato all'europarlamento l’impegno non si esaurisce, promette Schlein, “molto c’è da fare in Italia, è una sfida per me ma anche per tutti noi”.