Politica | L'intervista

“Raduno neonazi, insopportabile visione”

Il presidente Kompatscher sulla manifestazione neonazista a Budapest, il viaggio ad Auschwitz e il valore del simbolo, la retorica scivolosa e quella vergogna profonda.
Arno Kompatscher
Foto: upi

salto.bz: Presidente Kompatscher, all’evento neo-nazista che riunisce annualmente in Ungheria rappresentanti dell’estrema destra europea allo scopo di commemorare i soldati delle SS morti durante l’assedio di Budapest, stavolta c’era anche il consigliere comunale bolzanino di CasaPound, Andrea Bonazza. Che effetto le fanno le immagini di questi pellegrinaggi - compiuti peraltro anche da un membro delle istituzioni locali - a maggior ragione di fronte al ricordo vivo della sua recente visita ai campi di sterminio di Auschwitz e Birkenau?

Arno Kompatscher: Mi mancano davvero le parole, o meglio quelle che potrei trovare non sono tutte esprimibili pubblicamente. Considero una tragedia non solo il fatto che molta gente neghi ancora inequivocabili fatti storici ma anche che vengano addirittura elogiati i criminali che hanno compiuto indicibili barbarie. Trovo insopportabili le immagini di quel raduno e sì, sono ancora più intollerabili dopo aver visto con i miei occhi i lager di Auschwitz e Birkenau. Manifestazioni come quella di Budapest sono uno schiaffo a tutte quelle persone che credono fermamente nei valori dell’umanità, valori che dovrebbero essere incastonati nelle fondamenta di una società civile. 

Come descriverebbe il suo “viaggio della memoria”?

Sin da ragazzo, quando ero uno studente delle superiori, mi sono interessato alla storia, soprattutto contemporanea. Avendo letto, come del resto tantissimi altri, i testi di Primo Levi, di Anne Frank, oltre che saggi e manuali di storia, era da tempo che volevo andare di persona a vedere i luoghi simbolo dell’Olocausto. E per quanto ci si prepari a una prova del genere varcare fisicamente quel cancello è un’altra cosa. È una esperienza che mi ha lasciato senza fiato, specie in alcuni frangenti. Non è retorica dire che si torna a casa cambiati, diversi. Trovarsi di fronte quell’apparato mostruoso di sterminio, una pianificazione industriale di quel tipo, lascia sgomenti, ammutoliti. 

Manifestazioni come quella di Budapest sono uno schiaffo a tutte quelle persone che credono fermamente nei valori dell’umanità, valori che dovrebbero essere incastonati nelle fondamenta di una società civile

Lei è il primo governatore del Sudtirolo ad aver finora messo piede in veste ufficiale nel luogo che per antonomasia è sinonimo della Shoah. Un gesto dall’alto valore simbolico, il suo.

In occasione dei 75 anni dalla liberazione del lager nazista di Auschwitz volevo essere presente come Landeshauptmann per dare un messaggio molto chiaro, quello della necessità di tenere viva la memoria di quanto accaduto e di dire “mai più”. Ricordare è un dovere ancora più urgente oggi che ondate nazionaliste, xenofobe, razziste stanno attraversando l’Europa. Il fatto che certe ideologie trovino oggi nuovi spazi di espressione è deplorevole, tutta la società dovrebbe occuparsi di questo tema in modo molto serio.

 

 

Qual era il suo sentimento dominante visitando i lager?

Uno di profonda vergogna. Non dobbiamo dimenticare che in Alto Adige oltre alle vittime - gli ebrei ma anche tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle la soppressione fascista e nazionalsocialista - ci sono stati carnefici e complici. Come rappresentante istituzionale e della società che mi ha eletto al vertice di queste istituzioni, ma anche come essere umano, sento forte l’impulso di chiedere scusa, lo reputo doveroso, e so che questo non piace a tutti.  

Il messaggio che lancia è “mai più”, ma che senso ha dire queste due parole “e poi vendere armi, portare la guerra nel mondo, negare i diritti ai rifugiati?”, si sono chiesti la filosofa Donatella Di Cesare e lo scrittore Wlodek Goldkorn. Lei a questo come risponderebbe?

Hanno ragione. Penso all’esempio a me familiare della società altoatesina odierna dove, come in altre realtà, germogliano e si propagano piccoli atteggiamenti discriminatori. È vero, dire “mai più” è troppo facile, ma mi chiedo dov’è il coraggio della società civile quando c’è da opporsi ogni volta che si manifesta un gesto, un atto detestabile contro qualcuno? Dico a tutti noi, giovani generazioni comprese: non giriamo la testa dall’altra parte, siamo consapevoli che odio e discriminazioni sono all’ordine del giorno, come quelle contro i migranti, per esempio, o l’Islam tout court.

Come rappresentante istituzionale e della società che mi ha eletto al vertice di queste istituzioni, ma anche come essere umano, sento forte l’impulso di chiedere scusa, lo reputo doveroso, e so che questo non piace a tutti

L’antisemitismo si è trasformato, evoluto, ma a suo avviso è ancora la matrice di ogni stereotipo razzista? 

Pur esistendo varie forme di razzismo basato su differenze culturali, etniche, e non solo, l’antisemitismo resta un “emblema” anche perché ha origini molto lontane, ed è collegato a periodi bui della religione cristiana, e qui naturalmente va scissa la Chiesa in quanto tale dalla fede. Oggi l’antisemitismo serpeggia in tutte le società europee ed è spesso camuffato da atto di difesa nei confronti dei palestinesi, ma un conto è essere solidali con un popolo, e lo sono anche io, beninteso, e un altro è essere antisemiti. Il problema è che il confine è labile in certe persone. 

“È l’odio l’emergenza di questo Paese”, dice la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, è dello stesso parere?

Partiamo da un fatto scientificamente e statisticamente provato: in Europa non siamo mai stati così bene come adesso, in termini di occupazione o aspettativa di vita. Nel Vecchio continente non si muore di fame, anche se indubbiamente ci sono delle situazioni di profondo disagio. Nonostante questa diffusa agiatezza si assiste però a un incremento dell’odio, alla ricerca spasmodica del capro espiatorio di turno. Spesso quando si fanno determinate valutazioni si considera solo il benessere materiale, il Pil, il reddito, il patrimonio e non il benessere dell’anima, della società, i rapporti fra le persone, il sentirsi parte di una comunità, tutte cose, queste ultime, venute ormai meno. E se mancano queste “soddisfazioni umane”, di cui si ha innegabilmente bisogno, allora si è portati a emarginare l’altro, finanche a maltrattarlo. E per chi si sente escluso è più facile cadere nelle trappole ideologiche di certi abili affabulatori.

 
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Karl Trojer Gio, 02/13/2020 - 16:30

Wer heute noch dem Nazionalsozialismus und dem Faschismus huldigt, der hat nicht verstanden was "Freiheit" bedeutet. Freiheit bedarf des andauernden Bemühens um ihren Erhalt und sie hat das Recht, jene zu bändigen, die sie missbrauchen. Dem Landeshauptmann Kompatscher Dank für seine klaren Worte !

Gio, 02/13/2020 - 16:30 Collegamento permanente