Ambiente | Toblacher Gespräche

Gli alberi si parlano via internet

Ai colloqui di Dobbiaco nuove scoperte scientifiche sugli alberi: sono “sapienti”, comunicano e sono solidali fra di loro.
daniele-zovi-1.jpg
Foto: ©Daniele Zovi

In collaborazione con i Colloqui di Dobbiaco.

Sembra una fantasia presa in prestito da film di fantascienza come “Avatar” e invece sono fatti scientifici: gli alberi sono dotati di sensi e comunicano fra loro con una rete sotterranea di cui fanno parte tutte le piante del bosco.

Di questo parlerà Daniele Zovi ai colloqui di Dobbiaco che quest’anno si terranno dal 27 al 29 settembre.

Sicuramente sa di cosa parla Zovi: classe 1952, laureato in scienze forestali e 40 anni di servizio come Comandante del Corpo Forestale dello Stato del Friuli Venezia Giulia; dal 2011 al 2014 è stato anche membro della Commissione scientifica CITES presso il Ministero dell’Ambiente. Ha pubblicato numerosi articoli su riviste scientifiche e diversi libri, di cui i due più recenti sono:

“Alberi Sapienti Antiche Foreste” del 2018 e “L’Italia selvatica” del 2019 sul ritorno dei grandi predatori.

Salto.bz lo ha intervistato:

 

salto.bz: Signor Zovi, di cosa parlerà nel suo intervento ai colloqui di Dobbiaco?
Daniele Zovi: Mi è stato chiesto di parlare di alberi e di foreste e del fatto che gli alberi sanno fare molto di più di quello che crediamo. Innanzitutto devo fare una premessa: io parlo solo di cose comprovate dalla ricerca scientifica, non mi lascio andare a intuizioni o a una forma di sentimento new age. Dunque, come punto di partenza dobbiamo ricordarci che il 99% della biomassa, ossia di tutti gli esseri viventi, presenti sul pianeta terra, sono vegetali. Quindi la somma di tutti gli animali, dall’insetto all’uomo, non arriva all’1% della biomassa mondiale. E la vita di questo 1% dipende direttamente dall’altro 99% vegetale, perché le piante sono alla base di tutta la catena alimentare animale e umana e perché producono l’ossigeno che respiriamo. Queste cose bene o male le sappiamo. Quello che molti non sanno degli alberi, è che sono dotati di sensi come vista, tatto, olfatto, che comunicano tra di loro, che si aiutano a vicenda.

Concretamente che vuol dire?
Quando lei entra in un bosco in qualche modo intuisce che sta entrando in un mondo diverso da tutti gli altri perché percepisce un flusso di energia (nel senso fisico-scientifico) che collega tutti gli esseri viventi –vegetali e animali – di cui è composto quel bosco. Recentemente è stato accertato – per ora si trova solo nelle riviste scientifiche accademiche e non ancora nei libri di scuola – che tutte le piante sono collegate sotto terra da una rete formata da radici e da funghi che gli scienziati chiamano „internet vegetale“. Ogni pianta mantiene il suo apparato radicale autonomo e distaccato dalla pianta vicina, non si toccano fra loro. Il collegamento fra un apparato radicale e l’altro è formato dai filamenti sotterranei dei funghi, detti ife. Quello che vediamo in superficie è solo una piccolissima parte del fungo. La vera vita del fungo avviene sottoterra, dove le ife fungine formano appunto una rete sotterranea che collega fra loro tutte le piante del bosco. Questa rete ha due funzioni: da una parte avviene uno scambio di sostanze nutritive e dall’altra uno scambio di informazioni.

La cosa straordinaria in questo scambio di sostanze nutritive è che le piante più fortunate, quelle che hanno una grande chioma e riescono a produrre una grande quantità di zuccheri, tramite la rete sotterranea donano una parte di questi zuccheri alle piante sottoposte che sono meno fortunate in termini di esposizione solare e hanno una capacità di fotosintesi minore. C’è quindi un’effettiva rete di solidarietà fra le piante del bosco; gli alberi si aiutano fra loro e uno studio dell’Università di Vancouver in Canada ha dimostrato che questa solidarietà avviene anche fra specie di alberi diverse, cioè l’abete di Douglas aiuta i piccoli abeti ma anche le betulle.

La seconda funzione di questa rete internet vegetale è lo scambio di informazioni: quando una pianta viene attaccata dai parassiti, comunica il suo stato di stress alle altre piante circostanti. Oltre a comunicarlo attraverso la rete sotterranea, la chioma della pianta in difficoltà emette delle sostanze volatili per segnalare alle altre piante la presenza del parassita. Il fatto che le piante circostanti riescano a percepire queste sostanze volatili, significa che sono anche dotate di un olfatto.

Questo cosa significa per il nostro rapporto con gli alberi?
Sapere che gli alberi hanno dei sensi, che comunicano fra loro e si aiutano a vicenda, cambia molto il nostro modo di vedere gli alberi. Invece di vederli solo come oggetti ornamentali iniziamo a percepirli come esseri complessi, dotati di sensibilità e capacità di relazione. Io spero che questo cambi anche il nostro atteggiamento nei loro confronti. Spesso durante le mie conferenze la gente mi dice stupita: „ma allora gli alberi ci somigliano!“. E infatti è così: tutta la vita sulla terra è nata miliardi di anni fa da un filamento chiamato „protovirus“, che ha cominciato a duplicarsi. Quindi noi condividiamo un antenato comune non solo con l’orango ma anche col faggio e con l’abete.

Alla luce di tutto questo, cosa ci dice degli incendi che hanno devastato o tuttora devastano Siberia, Amazzonia, Indonesia ecc.?
Il nostro rapporto con i boschi va rivisto. Non perché non si possano più tagliare, ma perché noi siamo progettati per vivere mangiando o animali o piante. Vegetariani o non vegetariani, le piante sono comunque la nostra base di sussistenza sia per il cibo, sia per l’aria che respiriamo. Gli alberi assorbono l’anidride carbonica e la imprigionano. Dobbiamo quindi limitare l’uso del legno come combustibile e aumentarne l’uso nei manufatti, nei pavimenti, nella costruzione delle case. Se noi in Italia costruissimo dieci volte di più case di legno, potremmo liberare superfici di bosco che potrebbero ospitare nuovi boschi in crescita, che catturano una quantità di anidride carbonica molto superiore rispetto al bosco maturo. Per questo ci vogliono grandi scelte da parte della politica, solo così ci si può orientare verso un diverso uso dei materiali favorendo l’uso del legno, e preferibilmente del legno nazionale.

Attualmente non è così?
No, il nostro paradosso è che in Italia siamo abbastanza ricchi di boschi, ma continuiamo a importare grandi quantità di legno. Questo è un problema strutturale perché siamo arretrati nelle tecniche di trasformazione del legname rispetto a, per esempio, l’Austria, che si è specializzata nella lavorazione del legname senza che per questo sia diminuita la superficie boschiva del paese, che tuttora è una delle nazioni più forestali d’Europa. Questo dimostra che si possono mantenere entrambi gli obiettivi: avere grandi foreste e utilizzare più legname.

Parlando di gestione della foresta in Italia: quasi un anno fa, il 29 ottobre, c’è stata la tempesta del secolo che ha distrutto grandi aree di bosco in Trentino-Alto Adige e Veneto. Secondo Lei come è stata gestita l’emergenza e quali sono i prossimi passi?
In Italia, da questa parte delle Alpi, nessuno aveva mai visto un fenomeno del genere. Non è registrato negli annali della storia, è una novità assoluta e questo ovviamente ci deve fare ragionare sul motivo per cui ora avvengono questi cataclismi. Nonostante il fenomeno sia totalmente nuovo, le due province autonome di Trento e Bolzano hanno reagito prontamente e in maniera ordinata, catalogando le superfici colpite, mettendo subito in atto il recupero del legname, che continua tuttora. Si è dovuto ricorrere all’aiuto di mano d’opera finlandese, slovena, austriaca, svizzera perché ci sono da recuperare qualcosa tipo 16 milioni di metri cubi di tronchi caduti a terra, che equivalgono a quello che normalmente tagliamo in decine di anni.

Qual è l’urgenza del recupero degli alberi caduti?
È molto urgente recuperarli per due motivi: uno economico perché il legname a terra si decompone e perde velocemente valore; già ne ha perso molto a causa del meccanismo di domanda e offerta, vista la quantità di legname disponibile dopo la tempesta. Ma il secondo motivo per recuperare il prima possibile il legname a terra è ancora più importante: l’attacco di un parassita, il bostrico, che vive tra la corteccia e il legno. Questi coleotteri riescono a fare tre cicli riproduttivi in un anno con conseguenze devastanti: dopo aver colonizzato tutti i tronchi a terra, aggrediscono le piante ancora in piedi sopravvissute alla tempesta. Il professor Andrea Battisti, entomologo dell’università di Padova, ha calcolato che se non si recuperano entro due anni i tronchi a terra, la perdita di alberi causata dai parassiti sarà numericamente superiore ai danni causati dal vento. Quindi l’urgenza sta nel cercare di recuperare il più legname possibile, per limitare lo sviluppo dei parassiti.

Questo allora sarebbe un buon momento storico per partire con una diversa gestione del legname e delle foreste?
Esattamente. Noi dobbiamo imparare da questa lezione e capire che le foreste con alberi tutti della stessa specie e tutti della stessa età sono più fragili. In tutto il nord e nord-est d’Italia noi nei secoli abbiamo piantato e privilegiato l’abete rosso perché è un albero „facile“ che cresce rapidamente e rende bene a livello economico. Così abbiamo creato foreste pure, con tutti alberi della stessa specie. Ma i boschi naturali, le foreste vergini non sono così. Sono ricche di biodiversità, composte da specie miste e da alberi di tutte le età, dai 500 anni a uno. Questa biodiversità garantisce una maggiore resistenza all’attacco di parassiti, funghi, perturbazioni e schianti di neve perché ogni specie ha un punto debole diverso: l’abete è più soggetto a danni da neve e vento, il faggio molto meno. Quindi in una foresta mista magari un tipo di albero è indebolito per cause climatiche e viene attaccato dai parassiti, le altre specie no, perché i parassiti normalmente sono molto specializzati.
Quindi è importante che la foresta che andremo a ricostituire lì dove ci sono stati questi grandi danni, sia una foresta mista. La formula vincente è la biodiversità.

In questo ecosistema che è il bosco, quanto sono importanti i grandi predatori?
Le foreste italiane negli ultimi 100 anni sono quasi raddoppiate di superficie e questo ha favorito il ritorno dei grandi predatori. Fra questi anche il lupo, che è stato salvato dall’estinzione con una legge del 1970; a suo tempo erano rimasti pochi esemplari nell’appennino del centro Italia e ora assistiamo al suo ritorno nelle zone alpine. Questi ritorni vanno visti come elemento equilibratore dell’ecosistema. In queste zone i cervi e i camosci sono aumentati a dismisura e creano non pochi problemi. Per esempio la foresta di Paneveggio vicino alle Pale di San Martino sta assistendo all’annullamento della rinnovazione di abete bianco e di sorbo degli uccellatori brucato al suolo dai cervi. Nella foresta del Cansiglio in provincia di Belluno, un bosco di faggio tutelato da secoli, tutte le nuove piante sono brucate dai cervi, tanto da aver dovuto recintare vaste aree per garantire la continuità di questa foresta storica. L’arrivo del lupo regola e riequilibra questo eccesso di ungulati. Inoltre per il lupo ci sono forme di mitigazione: per gli ovini si possono utilizzare recinti elettrici e cani da guardiania; per i bovini è un po’ più complicato ma si può comunque risolvere, come dimostra la situazione in Svizzera, dove si è riuscito a tutelare sia gli allevatori, sia i lupi.

E comunque per quanto riguarda il lupo non parliamo di un’invasione di massa, perché un branco di lupi e costituito dai cinque ai sette esemplari e ogni branco ha un suo territorio fisso e delimitato. La mortalità dei cuccioli nel primo anno di vita è altissima, al 50%, e i nuovi esemplari che arrivano vengono allontanati dai lupi “residenti”. Quindi la presenza del lupo in un determinato territorio non può aumentare a dismisura e quelli che dicono di aver visto 50 lupi raccontano storie fantasiose con secondi fini.

L’altro “problema” che adesso va tanto di moda è quello degli orsi: io credo che l’uomo possa e debba trovare un equilibrio dinamico. Ci sono tra i 50-60 orsi fra Trentino-Alto Adige, Veneto e Lombardia. Com’è possibile che l’ottava potenza mondiale economica non riesca a prendere cento ettari di bosco, recintarli per bene e inserire lì quei 3 o 4 esemplari di orsi problematici? Il fucile dev’essere l’ultima risorsa, usato solo laddove bisogna proteggere la vita dell’uomo.

Il tema dei colloqui di Dobbiaco di quest’anno è stato scelto già a gennaio ma poi si è dimostrato attualissimo, visti i drammatici incendi in giro per il mondo. Cosa risponde a chi sostiene che tutti questi cataclismi sono semplicemente una normale ciclicità della natura, che non c’è da preoccuparsi perché è la natura che si autoregola?
Gli rispondo che in linea di massima potrebbe anche essere vero che la natura si autoregola, ma in questa autoregolazione ci va di mezzo la specie umana. Magari è vero che la natura si regola, gli animali si spostano, le piante ricrescono, da una parte si perdono territori a causa della desertificazione, dall’altra si conquistano altri spazi con lo scioglimento dei ghiacciai. Ma chi ci rimette di più è l’uomo: la gran parte dell’umanità vive in pianura o al livello del mare. Se il livello del mare aumenta di dieci centimetri ci saranno centinaia di milioni di esseri umani che dovranno abbandonare le loro case e trovare nuovi spazi. Ci saranno milioni di persone che dovranno abbandonare le zone desertificate e andranno in cerca di aree più fertili e questo problema non si risolve costruendo muri contro i migranti.

Ed è altrettanto assurdo investire miliardi in soldi e ricerche nel tentativo di colonizzare pianeti inabitabili come Marte, provando a sviluppare dei capannoni pressurizzati per poter vivere in un'atmosfera inospitale con 150 gradi sopra o sotto lo zero, quando quei soldi e quelle risorse intellettuali potrebbero essere investite per tutelare il nostro pianeta che è già perfettamente abitabile. 

Bild
Profile picture for user Karl Trojer
Karl Trojer Mar, 09/17/2019 - 10:50

Grazie die questa relazione sorprendente ed importante. Si´, la scienza deve porrsi delle priorità ! L´investire per vivere male ed in pochi su Marte, non può prevalere sulla protezione e rigenerazione del nostro pianeta Terra !!!

Mar, 09/17/2019 - 10:50 Collegamento permanente