Politica | Salto-Gespräch

“Mi manca l'odore dei boschi”

Martin Kucera, giornalista Rai a Genova, sulla Liguria laboratorio del centrodestra: “Hassliebe" tra degrado, alluvioni, fondali marini – e la nostalgia per il Sudtirolo.

Salto.bz: Da quando lavora al tg regionale della Liguria?
Martin Kucera: Ho cominciato nel 2012, con il classico percorso di precariato Rai: prima contratti molto brevi, poi più lunghi. Sono entrato in fascia “B”, con otto mesi di lavoro garantito all'anno, poi in fascia “A” e da quasi due anni sono nel cosiddetto “biennale”, che precede l'assunzione definitiva – articolo 18 permettendo. La strada del precariato un po' me la sono cercata, perché nel 2006 ho dato le dimissioni dalla tv di stato austriaca ORF, “licenziandomi” da Südtirol Heute a Bolzano. Dopo sei anni, come spesso nella mia vita, mi assale la voglia di cambiare tutto. Ho fatto qualche anno da freelance, collaborando con “Minet” e “Kulturzeit” su Rai Sender Bozen. E, piano piano, mi sono stabilito a Genova.

Com'è capitato a Genova?
Per ragioni molto personali: “al cuor non si comanda”. Nel 2008 è nata mia figlia qui, quindi ormai sono genovese adottivo. All'inizio facevo quasi il pendolare, 3-4 volte al mese salivo a Bolzano, dal 2007 al 2012. Se poi ti si apre una porta per lavorare a Genova, alla Rai, e hai figlia e moglie (allora ancora “solo” compagna)... sarebbe stato autolesionista dire di no.

Dalla realtà “speciale” del Sudtirolo è passato a quella di una “ordinaria” regione italiana. Come ha vissuto questo salto?
Sono realtà diverse sotto vari aspetti. Mi ha aiutato – prima di lavorare a Bolzano per ORF – trascorrere 11 anni “fuori” tra Berlino, Londra e Spagna. Sono sempre stato abbastanza abituato a viaggiare, a vivere in altri posti, molto spesso lasciando gli sviluppi personali e lavorativi non dico al caso, però vedendo un po' cosa succedeva. Dal lavapiatti al traduttore, all'interprete, alle inchieste telefoniche. Una vita molto varia, sinora, e ne sono ben contento.

Nel mestiere di giornalista, è stato influenzato dall'esperienza sudtirolese – ovvero dal suo essere bilingue, plurilingue?
“Bilingue” è sempre una parola molto forte. Noto ogni tanto, avendo lavorato prima solo col tedesco – a parte l'inglese e lo spagnolo ma non in ambito giornalistico – non ho la stessa capacità verbale scrivendo e parlando in italiano rispetto al tedesco. Sono quasi bilingue: sottolineo spesso e volentieri quel “quasi”. Devo sottolinearlo anche in redazione quando devo cercare una parola che per gli altri sembra banale e a me invece non lo sembra.

Sono quasi bilingue: sottolineo volentieri quel “quasi”. 

A livello di notizie, cosa caratterizza la realtà ligure?
Dal punto di vista giornalistico, senza entrare nell'ambito televisivo-radiofonico, le tematiche trattate sono evidentemente quelle di una città di seicentomila abitanti, con tutti i pregi e i difetti. Tanta cronaca nera: succede di più, statisticamente ci sono più possibilità di incidenti e, volendo essere cinici, di omicidi. C'è una grossa, rilevante problematica su tutta la Liguria (ma non solo) di infiltrazioni della malavita organizzata, storicamente soprattutto nel ponente ligure. Comuni sciolti per infiltrazioni mafiose della 'ndrangheta, come Bordighera e Ventimiglia, e più recentemente Lavagna – in questi giorni parte il processo verso un ex sindaco e assessore. C'è “tanta roba” per dirla in trentino. Poi sono capitato in un momento difficile: il primo anno in cui ho lavorato qui, nel 2013, ci fu il crollo della “torre piloti” nel porto di Genova. Quella vicenda l'ho vissuta lavorando – e sono cose che lasciano il segno.

E la politica locale? In Alto Adige non si parla d'altro...
Inevitabile vi sia anche qui una forte presenza della politica. Soprattutto ultimamente, con il cambio avvenuto sia in ambito comunale che prima ancora a livello regionale, con il centrodestra al vertice sia della Città di Genova che della Regione Liguria.

Difatti, alle ultime elezioni amministrative, Genova e La Spezia cambiano colore politico. Lega e Forza Italia hanno strappato al centrosinistra due sue roccaforti, dopo decenni di dominio incontrastato. Quali ragioni per un cambiamento sin qui inimmaginabile?
Secondo me – e com'è giusto che sia in democrazia – è avvenuto un cambio fisiologico dopo molti anni di governo. Cambio dovuto anche al fatto che, tuttora, molte cose non vanno. Una serie di problemi storici, lavorativi soprattutto: Genova è una città fortemente industriale sin dagli anni sessanta-settanta. Italsider, Fincantieri, Ilva, Ansaldo... enormi aziende che hanno dato lavoro a mezza città sono tutte in difficoltà – a parte forse Fincantieri. L'Ilva è in un momento drammatico. Si sta chiudendo la vendita alla cordata che ha presentato l'offerta, che comprende il gruppo Marcegaglia, e si parla di 5mila esuberi in tutta Italia. C'è una forte tensione sociale-lavorativa a Genova. Cosa che dovrebbe rappresentare un terreno favorevole al centrosinistra, politicamente. Ma se non produci (o produci pochi) risultati concreti...

Il sindaco uscente Marco Doria (“Sinistra Ecologia Libertà”, SEL) fu uno dei protagonisti della stagione dei sindaci “arancioni”. Nel 2012 vinse dapprima le primarie contro le due candidate del PD – tra cui la ministra Pinotti – e l'elezione a primo cittadino. Ha fallito?
Doria era riconosciuto da tutti come una persona molto onesta, ma ha fatto fatica a gestire alcune problematiche. Ci sono state vertenze sindacali e manifestazioni molto forti, come i quattro giorni di scioperi selvaggi della AMT, l'azienda di trasporto pubblico, che hanno bloccato la città. Lì credo che il centrosinistra abbia fallito, nel dare l'idea di essere capace di risolvere questi problemi. Marco Bucci, il neosindaco di Genova, ha un approccio più manageriale, decisionista; se poi le scelte che farà saranno giuste o porteranno risultati... è impossibile stabilirlo ora. Di sicuro, e questo vale anche per la Regione, parecchi sindacalisti dicono “almeno si prende qualche decisione”, paradossalmente. Certe questioni sono più facili da affrontare adesso, forse perché le contrapposizioni sono più nette ideologicamente.

In Liguria è più facile affrontare certe questioni adesso, forse perché le contrapposizioni sono più nette ideologicamente.

E da ormai due anni Giovanni Toti (Forza Italia) è il governatore della Liguria.

Un po' rientra nel dna del centrodestra, e a volte fa il suo gioco: cioè quest'enorme “problema” della migrazione. In Italia è in atto un cambiamento importante. La migrazione è vista come un attacco all'identità degli italiani. Per certi versi è stato sdoganato un pensiero “fascista”, o perlomeno molto nazionalista. Uno sviluppo che mi lascia assai perplesso.

In vista dell'imminente appuntamento elettorale, l'Austria ha minacciato di alzare le barricate al Brennero, giudicando insufficienti i controlli tra Bolzano e il valico. In Francia le elezioni ci sono già state – così come i respingimenti al confine di Ventimiglia.
La Francia sin dall'inizio ha fatto muro pressoché totale: non lasciar passare nessuno. Due estati fa ai “Balzi Rossi” a Ventimiglia, centinaia di profughi ammassati sul confine con la Francia si rifiutarono di restare in Italia. Volevano passare la frontiera, e la situazione divenne particolarmente delicata: lì c'è il mare, molti non sapevano nuotare. La polizia alla fine sgomberò. Resta il fenomeno dei cosiddetti passeur, i quali dietro lauto compenso si offrono di accompagnare la gente oltreconfine attraverso le colline. C'è chi cammina lungo la ferrovia, e ci sono un sacco di morti investiti dai treni. Come una ragazza sedicenne, poco tempo fa. Roba brutta, che non vorremmo mai vedere. Sono persone disperate.

I flussi migratori sono calati?
Sì, con gli sviluppi post-Minniti. Però oramai nel tessuto sociale è molto radicata questa avversione alla presenza dei centri d'accoglienza, siano CAS (Centri di accoglienza straordinaria) o SPRAR, pur nettamente diversi. Cosa che per esempio in Alto Adige non ho notato così fortemente: lì c'è la volontà – sia da parte politica che della popolazione – di accettare una determinata presenza di rifugiati, offrirgli subito un'integrazione attraverso corsi di italiano o tedesco, piccoli lavori. Qui è un'utopia. C'è volontariato, molta gente ci lavora in modo convinto. Ma l'Akzeptanz nella popolazione è poca... per i cosiddetti “fascisti da tastiera” è sin troppo facile twittare due frasi cattive.

In Alto Adige c'è la volontà – sia da parte politica che della popolazione – di accettare una determinata presenza di rifugiati. Qui è un'utopia.

Anche a Bolzano la retorica del degrado ha preso decisamente piede...
Due anni fa ho fatto una serie di servizi sul degrado a Genova, a livello di tenuta della città. È evidentemente ben più pesante, il problema, rispetto a Bolzano – per quanto possa sapere di Bolzano, visto che ci salgo tre volte l'anno. È la coscienza della gente a fare la differenza. Se penso alla raccolta differenziata... spesso nei bidoni dell'umido o del vetro trovi di quelle cose che ti domandi “perché lo fanno?”. Ci sono isole ecologiche gratuite, perché buttare un televisore in mezzo a una strada? È un mix: da una parte a livello amministrativo le cose non hanno funzionato a dovere, sinora, ma dall'altra parte è la coscienza della gente a mancare.

La Liguria, come tutta la penisola, quest'estate ha vissuto un vero e proprio “boom” nel settore turistico. E intanto le Cinque Terre introducono il numero chiuso.
Il turismo quest'anno ha fatto numeri sicuramente positivi in Liguria. Ma essendo appena tornato dalla Sicilia (ed è un mio cavallo di battaglia storico) faccio fatica a tollerare che quasi tutte le spiagge siano “occupate” dagli stabilimenti balneari. Una spiaggia preferisco vederla libera, magari con venti-trenta ombrelloni, e chi vuole se li prenda. È troppo bello quand'è tenuto così com'è, e possibilmente pulito. Poi negli anni sessanta-settanta, attorno a ogni borgo storico sulla costa della Liguria, hanno costruito troppo. E gli si ritorce contro.

Da metà settembre a dicembre convivi ogni volta con questa preoccupazione, questa paura, delle piogge torrenziali. Vorresti stare in un altro posto.

Nella notte tra sabato e domenica scorsi, 9 e 10 settembre, un temporale ha flagellato Livorno provocando 8 vittime. L'esondazione del Rio Maggiore, torrente tombato che attraversa la città toscana, ha riportato alla memoria le alluvioni del 2011 a Genova, alle Cinque Terre e in provincia di Massa e Carrara, nonché quella del 2014 sempre nel genovese. La costa del Mar Ligure dovrà abituarsi a questi fenomeni?
A parte l'aggravante della conformazione geologica della regione - che è complicata dalla presenza delle montagne subito dietro al mare – c'è una miriade di rivi piccolissimi che non portano acqua, ma s'ingrossano a ogni pioggia improvvisa, la cui frequenza è effettivamente cambiata. L'uomo, a cominciare dal fascismo, ha “tombato” ovvero coperto il rio Bisagno a Genova. E un fiume, se è coperto, o prevedi una piena incredibile, oppure come facevano gli anziani, lasci che ogni tanto si sfoghi, non ci sono alternative. Negli anni sessanta e settanta Genova è stata devastata, in ogni luogo possibile hanno costruito delle strutture, dei condomini. È inevitabile che crei problemi. Il 70% dei rivi genovesi sono coperti. E saltano di tanto in tanto. Purtroppo non sarà stata l'ultima alluvione che ha colpito Genova.

L'alluvione di Genova ha insegnato qualcosa? O l'Italia non impara mai la lezione?
Ha insegnato sotto due punti di vista. Bisogna dare atto al governo Renzi di aver stanziato tanti fondi per completare la copertura del torrente Bisagno e avviare i lavori per il canale scolmatore del rio Fereggiano, che nel 2011 causò 6 morti. Si è mosso qualcosa anche in termini di protezione civile e piani di emergenza. Non si può muovere evidentemente niente a livello di costruzioni esistenti. Dovresti, drasticamente detto, abbattere il 30% della città – un piano irrealizzabile. Rimarrà un rischio con il quale confrontarsi ogni volta che arriva l'autunno. Tornavo da Bolzano sabato scorso: alle 2 cominciava l'allerta a Genova e io sono arrivato alle 3, giusto in tempo per evitarmi la grossa pioggia. Da metà settembre a dicembre convivi ogni volta con questa preoccupazione, questa paura. Vorresti essere in un altro posto in quei mesi. Vivo a Sestri Ponente sul torrente Molinassi, che nel 2010 straripò causando un morto. Me lo ricordo, sembrava come una guerra, era spaventoso.

Come ha reagito la popolazione difronte a queste calamità?
La pancia della gente reagisce a ogni alluvione accusando i politici di turno. Se ci fosse un'altra alluvione, accuserebbero la nuova giunta sia regionale che comunale. La politica avrebbe potuto fare molto di più e molto prima, ma in sostanza sono peccati che paghiamo dalle generazioni precedenti, credo.

Si può imputare, tutto questo, alla mancanza di sensibilità ambientale?
La tematica ambientale di per se è scomparsa dal dibattito politico italiano. Lo scrive a chiare lettere persino un insospettabile e ormai datato esponente del PD come Walter Veltroni, e ha ragione. Se un partito si definisce di centrosinistra – visto che i Verdi non sono mai stati particolarmente forti in termini di voti – ma non ha sull'agenda una preoccupazione così prioritaria per l'Italia, ovvero una posizione forte, precisa, elaborata riguardo all'ambiente, allora destra e sinistra sono davvero interscambiabili.

Il momento culmine del M5S come possibile soluzione ai mali della politica italiana, a livello di percezione popolare, in Liguria è passato da tempo.

Rientra anche questo tra i fallimenti del Movimento 5 Stelle?
Il Movimento è visto ormai, non dico come parte dell'establishment politico, ma “un partito come un altro”, che pur di prendere voti dice tutto e il contrario. Sia a livello ideologico – si pensi alle brutture sull'immigrazione – sia a livello di percezione. Per esempio, tre giorni dopo l'alluvione del 2014, Beppe Grillo passò in scooter a fare la passerella ma la gente lo insultò. Il momento culmine del M5S come possibile soluzione ai mali della politica italiana, a livello di percezione popolare, in Liguria è passato da tempo. Poi, prenderanno sicuramente un sacco di voti, ma alle comunali a Genova non hanno brillato. C'è il discorso, non del tutto campato in aria, che non ci tenessero in modo particolare a vincere, perché al pari di Roma è quasi una città ingovernabile, dove raccogli pochi consensi: le problematiche resteranno lì per anni, fai solo brutte figure e ti si ritorce contro a livello nazionale – in questo momento il loro obiettivo primario. Da quel punto di vista il quadro è abbastanza cupo.

Cosa le manca del Sudtirolo – e cosa no?
Mi mancano tante cose: non avessi famiglia qui forse ci farei un pensierino al ritorno, per varie ragioni. Come esempio classico, d'estate da bambino ero sempre a Siusi, e quando passo adesso attraverso i boschi altoatesini, mi rendo conto che l'odore dei boschi è una cosa rimasta talmente dentro, come le montagne, anche se le ho frequentate poco. Siamo come animali: più si invecchia e più ci si avvicina verso la fine, più l'animale tende a tornare ai luoghi che ha frequentato. Altre cose non mi mancano: non mi mancano i litigi linguistici e non mi manca la toponomastica, un argomento che mi appassiona molto poco, anche se capisco le ragioni che ci stanno dietro. Mi mancano la famiglia, gli amici, la qualità della vita: per andare alla Rai a Bolzano, da “pigro” facevo otto minuti a piedi, da “sportivo” erano due minuti in bici. Ora, per recarmi al lavoro da Sestri Ponente sino agli studi Rai mi faccio delle code in macchina o in moto... perdo ore della mia vita nel traffico.

Non mi mancano i litigi linguistici e non mi manca la toponomastica, un argomento che mi appassiona molto poco.

E pensare che Genova è sorvolata da un groviglio di autostrade.
E se succede qualcosa al ponte Morandi sul torrente Polcevera? È l'unica strada che collega l'est all'ovest. Ero sempre contrario alla tangenziale detta “Gronda”, ma se ipotizzo la chiusura di questo ponte, Genova è completamente ferma – e non solo lei, ma tutta la Liguria. È complessa la situazione, non ci sono come in altri posti soluzioni facili. È quello che manca a livello generale: la volontà di affrontare problemi complessi con soluzioni complesse, anziché andare avanti a slogan e battute a effetto. L'Italia è in un momentaccio.

Cosa le piace di Genova?
Mi affascina il carattere. Sono scontrosi, sono più montanari come carattere, ma una volta che li conosci è gente molto viva, molto creativa. E poi c'è questo centro storico favoloso, un patrimonio architettonico e culturale che non ha niente da invidiare a Firenze, secondo me. Ma se lo sono venduti male, sempre per quel carattere abbastanza scontroso, poco incline ad aprirsi al turismo. Palazzo San Giorgio, sede dell'autorità portuale, è un gioiello. Da laico ammiro le vecchie chiese. Palazzo Ducale è rinato solo dopo il 1992 post-Colombiadi: prima era quasi in disuso, ora è una macchina da guerra culturale. Altra cosa della Liguria in generale che mi affascina – nonostante la costa deturpata dall'edilizia – è il mare. Sarà per il “santuario dei cetacei”, ma con la maschera sott'acqua trovi un acquario come non ho visto da nessun altra parte d'Italia. Una fauna marina, saraghi, orate, polpi, acciughe – buonissime anche fritte. Posti stupendi. È un po' un amore odio, il mio, Hassliebe.

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Karl Trojer Dom, 09/17/2017 - 09:58

Lieber Martin, einen herzlichen Gruß aus Terlan nach Genova ! (Ich finde, dass Namen nicht übersetzt werden sollten..:) . Dein Interview habe ich sehr genossen, Dein Heimweh kann ich gut verstehen, leben wir in Südtirol doch wirklich, in vieler Hinsicht, in einem "gelobten Land". Wenn´s einem gut geht, hat man mehr Chancen und damit Verantwortung fürs Gemeinwohl zu wirken, und das wäre unsere "einheimische" Aufgabe. Frieden ist möglich, wenn gegenseitiger Respekt und Wertschätzung der Verschiedenheiten zur Grundhaltung werden, sonst erdrückt usn die Angst vor dem Fremden... Plärrer wird es immer und überall geben, der Lust auf Leben und auf friedfertige Gemeinschaft haben sie nichts entgegenzusetzen... nit lugg lossen !

Dom, 09/17/2017 - 09:58 Collegamento permanente