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Un referendum sul niente?

Un duro comunicato della SVP Wirtschaft stronca i quesiti CGIL sul lavoro che hanno superato l'esame della Consulta. Margheri: “Voucher e Jobs Act? Un fallimento”.
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Foto: web

Si accende il dibattito sui “referendum popolari per il lavoro”, meglio noti come i “referendum sul Jobs-Act” voluti dalla CGIL, il principale sindacato italiano. La CGIL ha raccolto oltre tre milioni di firme attorno a tre quesiti: due di questi sono stati ammessi dalla Corte costituzionale, mentre il più importante – quello sulle modifiche introdotte dal governo Renzi all'articolo 18 – non ha superato il vaglio della Corte. Promossi invece i quesiti referendari sui cd. “voucher” – i “buoni lavoro” introdotti nel 2003 per retribuire prestazioni saltuarie – e quello (decisamente complicato) sugli appalti. Un comunicato dell'ala economica della SVP boccia l'intera consultazione.

La discussione sul diritto del lavoro in Italia subisce come sempre il peso delle ideologie”, scrive Josef Tschöll, portavoce della “SVP Economia”. Secondo l'esponente della Stella Alpina, va spiegato che il sindacato CGIL chiede “un referendum per niente”. “Il sindacato comunista vorrebbe riportarci indietro sull'allentamento delle tutele dal licenziamento, arrivato dopo anni di discussioni” spiega Tschöll, “pur sapendo che l'articolo 18 ha creato quel mercato del lavoro rigido che è essenzialmente tra le cause di una così alta disoccupazione giovanile, e ha scoraggiato qualsiasi imprenditore dall'investire in Italia. Va ringraziata la Corte costituzionale per aver bocciato il quesito fazioso della CGIL su questo punto”.

Ammessi invece i quesiti sui “voucher” e la “responsabilità solidale negli appalti”: “Una cancellazione o modifica della normativa in tali settori è del tutto priva di senso e non necessaria” argomenta il portavoce della SVP Wirtschaft: “Con il decreto correttivo sul Jobs Act è stato ampiamente limitato l'utilizzo dei voucher – e legato a una registrazione preventiva presso l'ispettorato del lavoro. Gli organi di controllo esercitano già ora le proprie funzioni contro eventuali abusi”. Prosegue Tschöll: “Tale possibilità, unita al tetto massimo annuale di 2000 euro per ogni committenza e 7000 euro complessivi per il lavoratore sono più che sufficienti. Secondo i dati forniti dall'INPS, la stessa CGIL ha utilizzato voucher per una cifra totale di 650mila euro in un anno – nessuna azienda arriva a queste cifre”. Per la SVP “chiedere ora un ritorno alla regolamentazione dei voucher introdotta dalla legge Biagi è pura ipocrisia: nessuno ha combattuto la riforma del giuslavorista ucciso dalle Brigate Rosse più di questi ideologi rossi”.

In Germania esistono i „400 Euro-Minijobs“ (dal 2013 passati a 450 euro, ndr) e nessuno si sogna di cancellare questo sistema funzionante (anche se non è esattamente così, ndr). Chi chiede modifiche in Sudtirolo, sappia che da noi nonostante i voucher sono aumentati i contratti di lavoro a tempo indeterminato”, sottolinea Tschöll. “I voucher vengono utilizzati secondo il loro scopo: per pagare il lavoro occasionale senza grossa burocrazia ed evitare il lavoro nero”. Ancora meno senso, per l'ala economica della Volkspartei, ha tenere un referendum sugli appalti. Se proprio fossero necessarie modifiche al diritto del lavoro, allora Tschöll propone di cancellare la procedura elettronica per l'autolicenziamento del lavoratore e riformare al più presto la normativa “repressiva e burocratica” sulla sicurezza sul lavoro”. Su quest'ultimo punto, la SVP Wirtschaft chiede che il presidente della Commissione lavoro al Senato Maurizio Sacconi e il senatore SVP Hans Berger s'impegnino all'approvazione del disegno di legge già elaborato in materia.

Boom di voucher – non dell'economia

Alla SVP risponde a tono l'esponente di “Sinistra Italiana” Guido Margheri, tra i più impegnati a Bolzano sul fronte della raccolta firme per i referendum della CGIL: “A parte il fatto che il Muro di Berlino è caduto da oltre 25 anni, è la presa di posizione della SVP a essere fondata su slogan ideologici che occultato i problemi sollevati dai referendum della CGIL, che un merito ce l'hanno: senza di essi non si parlerebbe del lavoro. Non a caso si sorvola sul fatto che la CGIL abbia presentato insieme ai referendum un'organica riforma del lavoro, la Carta dei Diritti”. Secondo Margheri, a differenza di quanto sostiene la SVP Wirtschaft, il Jobs Act avrebbe clamorosamente fallito i suoi obiettivi: “L'occupazione non è aumentata e il cd. contratto a tutele crescenti – foraggiato da ben 20 miliardi di incentivi sotto forma di sgravi fiscali – dopo il boom iniziale non ha diminuito la precarietà delle condizioni di lavoro. La domanda interna si è ulteriormente depressa: il “modello Sudtirolo” tiene (nonostante l'incremento del disagio sociale nelle aree urbane) solo grazie agli investimenti pubblici provinciali”.

Sui referendum ammessi dalla Consulta, Margheri precisa: “I voucher erano nati per regolamentare il lavoro occasionale e accessorio di studenti e pensionati (raccolta delle mele, pulizia del giardino), oppure prestazioni lavorative accessorie come le ripetizioni o lavoretti da parte di disoccupati o inoccupati. Si trattava di far emergere una quota di lavoro nero. Davano diritto a remunerazione modeste e a una piccola quota previdenziale, ma non a tutele come malattia, maternità, disoccupazione, assegni familiari. Dal 2008 fino al Jobs Act fu estesa la platea dei voucher, che potevano essere impiegati praticamente in tutti i settori produttivi, elevando il tetto delle retribuzioni annue a 7000 euro. Risultato? I buoni sono passati da mezzo milione nel 2008 a 114 milioni nel novembre 2016, circa un terzo della nuova occupazione creata nello stesso periodo”. Un precariato legalizzato che non avrebbe diminuito il lavoro nero, bensì dequalificato una quota importante di nuovo lavoro.

“L'ultimo referendum – conclude Margheri – riguarda la cd. responsabilità solidale negli appalti. E desta scandalo solo perché i costi delle illegalità dovuti a subappalti fallimentari non ricadranno più su lavoratori e lavoratrici, ma sulle imprese che hanno vinto la gara e hanno responsabilità dell'appalto e dei subappalti”.