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Politica | Avvenne domani

"Schwarze faccetta"

Guerre fasciste e antisemitismo. Quando la storia riscopre persone e verità dimenticate.

Ci sono parecchi ottimi motivi per procurarsi e leggere l'ultimo numero monografico dedicato dall'Associazione Storia e Regione al tema della partecipazione degli altoatesini e dei trentini alle guerre fasciste di Etiopia e Spagna. Il primo, quello ovvio, è che si tratta di un approfondimento molto ben curato da Andrea Di Michele, che firma anche il saggio introduttivo, con una ricca messe di dati, con molte storie individuali raccontate in modo accattivante e assai leggibile. Un'altra ragione, non meno rilevante, è che questo saggio ci restituisce un'immagine diversa della storia altoatesina e trentina tra le due guerre, non schiacciata perennemente sul conflitto etnico interno, ma proiettata alla ricerca dei destini individuali di molte persone che si trovarono a vivere vicende diverse, in molti casi opposte, lontane, per certi versi, dai clichès abituali. Il caso emblematico, come ci racconta Di Michele, è quello della guerra di Etiopia, che il caso vuole sia stata annunciata ufficialmente da Benito Mussolini, nell'estate del 1935, proprio durante un suo breve soggiorno in Alto Adige, al termine di un Consiglio dei ministri tenuto proprio nell'allora sede della Prefettura, che oggi ospita la presidenza della Giunta provinciale.

Partirono in tanti, allora, e tra di essi molti sudtirolesi assai poco convinti di dover partecipare a un'avventura coloniale per la quale non poteva certo provare l'afflato patriottico che animava gli altri "coloniali" italiani. Da qui l'altissimo numero dei disertori, che andarono ad impinguare, in Austria, in Svizzera e in Germania soprattutto, le file già robuste di coloro che erano espatriati per sfuggire alle attenzioni della polizia fascista. Vi furono persino alcuni casi di diserzione sul campo,  con il passaggio nei ranghi della resistenza etiopica ed abissina. Vi furono però anche coloro che a quella guerra parteciparono con slancio ed impegno, perdendo la vita quegli altopiani selvaggi. Ancor più intricata, se possibile, la storia della partecipazione regionale alla guerra di Spagna. Qui altoatesini  e trentini si ritrovarono divisi su due fronti. Da un lato i "volontari" arruolati con la camicia nera e di fronte quelli accorsi a far parte delle Brigate Internazionali.

Su tutti costoro, senza distinzione di lingua e di matrice ideologica, calò, nel dopoguerra, un ingiustificato oblio. I combattenti per la causa fascista furono dimenticati in ossequio al principio secondo il quale la dittatura non aveva potuto contare su un vero sostegno popolare. Una mannaia storica calata con ancora maggior violenza in un Sudtirolo nel quale sarebbe stata bestemmia ammettere che Mussolini avesse potuto suscitare, sia pur per poco e per pochi, genuini entusiasmi. Gli altri gli antifascisti che la sinistra e il comunismo in particolare avevano attratto nella propria orbita, furono anch'essi dimenticati per motivi eguali ed opposti. Nel clima di anticomunismo viscerale della guerra fredda non c'era spazio per ricordare i loro nomi e i loro volti.

Non sono vicende di grandi masse, dunque, quelle che il numero monografico di Storia e Regione ci racconta. Si tratta piuttosto di recuperare, seguendo il filo di storie individuali, rilette magari scoprendo i diari  scritti, tenuti nascosti, mai pubblicati ed ora riemerse alla luce una realtà non opposta a quella della storiografia consolidata e ufficiale, ma semplicemente più varia e più ricca. Più vicina, verrebbe da dire, al mondo vero.

È una lezione che, nei giorni scorsi, è tornata di attualità grazie anche alle belle parole pronunciate dal Presidente Arno Kompatscher in occasione della cerimonia con la quale è stata rievocata la persecuzione ebraica in Alto Adige. "Tra di noi - ha detto - ci sono state vittime ma anche carnefici". Federico Steinhaus, storico esponente della comunità ebraica di Merano ha detto di aver atteso parole del genere per decenni. Kompatscher, però, ha detto anche un'altra cosa non meno importante: "l'antisemitismo, nel Tirolo - ha affermato -, è un passaggio con il quale non abbiamo mai fatto veramente i conti". Parole sagge. Anche qui una lettura accomodante delle vicende storiche ha fatto passare nell'opinione pubblica il racconto di un antisemitismo calato dall'alto da parte delle due dittature fascista e nazista. Ben diversa la realtà, documentata peraltro, anche in questo caso, da numerose recenti indagini storiche. Un antisemitismo, sicuramente diverso da quello di matrice razziale introdotto alla fine degli anni 30 dal fascismo e ancor di più da quello estremo che portò il nazismo ha immaginare ed eseguire il crimine supremo della Shoah, ha permeato di sé praticamente da sempre  la cultura popolare di queste terre. Basti pensare, come ci ha raccontato una recente monografia sul turismo nel Tirolo asburgico edita dal Museo Storico di Trento, che, agli inizi del novecento, esistevano persino delle guide per viaggiatori che volessero soggiornare unicamente in luoghi del tutto privi di ogni presenza ebraica. Tra queste località "judenfrei" era nominato, abbastanza curiosamente, il sobborgo bolzanino di Rencio. Retaggi di uno stigma antico, in varia misura alimentato anche dalla religione, che però furono essenziali perché la persecuzione fascista in olocausto nazista trovassero un fertile terreno in cui affondare le loro terribili radici.