Economia | Intervista

Novità sul fronte previdenziale

Alfred Ebner (CGIL) racconta le principali tematiche da affrontare per migliorare il sistema previdenziale italiano e presenta alcune soluzioni proposte da CGIL e sindacati.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Alfred Ebner
Foto: Alfred Ebner

Il sistema pensionistico rappresenta da anni uno dei punti più controversi del sistema economico e fiscale italiano. Le scelte degli ultimi governi hanno conferito ulteriore instabilità e incertezza. Diversi tavoli e commissioni sono aperti in questo momento per varare delle modifiche all’attuale sistema pensionistico. Abbiamo incontrato Alfred Ebner, membro del direttivo CGIL-AGB ed ex segretario confederale per parlare delle priorità dei sindacati in questo campo.

 

Ebner, quali sono i suoi ruoli in CGIL in merito alla tematica “pensioni”?
La tematica sicuramente mi riguarda molto da vicino, in quanto io stesso sono un pensionato. Ma il motivo del mio interesse per il tema delle pensioni è più generale. Il sistema previdenziale non riguarda, infatti, solo gli anziani: anzi, riguarda fortemente i giovani, che oggi versano contributi sociali con i quali si pagano le pensioni degli anziani. Il guaio per loro è di non avere alcuna certezza – anzi, nessuna garanzia – sull’ammontare della propria pensione. Per questo, la tematica previdenziale è molto sentita sia tra gli anziani, che tra i giovani.

Quali sono le tematiche più importanti che devono essere affrontate per migliorare il nostro sistema previdenziale?
Fondamentalmente si contano sulle dita di una mano.

Stabilità e sostenibilità del sistema pensionistico. Un buon sistema previdenziale dovrebbe essere stabile nel tempo e sostenibile economicamente. Il primo punto critico riguarda le continue modifiche del sistema pensionistico negli anni, che hanno creato incertezze pesanti, impedendo al cittadino di sapere con esattezza quando potrà andare in quiescenza e quanto alta sarà la sua pensione. Nel sistema contributivo l’ammontare è legato anche all’andamento del PIL e all’età di uscita, che lo rende incerto. D’altro canto, il sistema per essere stabile nel tempo dovrà essere indubbiamente sostenibile dal punto di vista economico. Quello che i sindacati suggeriscono da diverso tempo è la necessità di una maggiore trasparenza, stabilità e sostenibilità nel tempo.

Più flessibilità in uscita. Il tema di una nuova e più equa flessibilità in uscita è una priorità sociale ed economica. Questa necessità nasce dal fatto che l’età pensionabile in Italia sia la più alta in tutta Europa. 67 anni sono infatti sicuramente un’età molto elevata per andare in pensione. La proposta di CGIL è di lasciare più flessibilità in uscita: occorre consentire alle persone di andare in pensione a partire da 62 anni di età o con 41 anni di contributi ma scollegati tra di loro.

Un sistema più equo. Il sistema attuale sfavorisce principalmente tre categorie:

In primo luogo, i giovani: al giorno d’oggi, a causa di un’alta disoccupazione e precarietà giovanile, i contributi versati dai giovani sono sicuramente piuttosto ridotti. Questo non rappresentava un grosso problema quando il sistema previdenziale era basato su un sistema retributivo, ma lo è diventato con l’avvento del sistema contributivo. In tale sistema, è impossibile recuperare gli anni di contributi “persi” a causa di disoccupazione o precariato. Non è quindi accettabile che tali giovani un domani si trovino a dover vivere di stenti con una pensione per nulla dignitosa. In merito, la CGIL propone di uscire dalla logica assicurativa del contributivo e di re-inserire un minimo di solidarietà nel sistema. È indispensabile trovare un meccanismo per cui sarà garantito un importo minimo per chi va in pensione. Pensiamo a un sistema che possa stabilire una soglia minima di garanzia legata ovviamente al numero di anni lavorati.

In secondo luogo, il sistema pensionistico sfavorisce le donne. Nel 2020 purtroppo la donna in Italia lavora ancora con stipendi nettamente inferiori a quelli dell’uomo e, in aggiunta, si fa carico anche dei lavori domestici, dell’educazione dei figli e della cura degli anziani. Eurostat conferma che l'importo delle pensioni delle donne italiane sia di un terzo inferiore rispetto a quelle degli uomini. Un dato gravissimo. Nonostante la quantità di ore lavorative sia quindi (in genere) più alta di quella dell’altro sesso, la donna guadagna di meno e ottiene quindi anche una pensione più bassa. C’è quindi l’estrema necessità che queste attività extra-lavorative siano almeno parzialmente riconosciute in modo da riuscire ad anticipare l’uscita delle donne dal lavoro e di migliorare la prestazione previdenziale.

Infine, la disuguaglianza del sistema riguarda i cosiddetti lavori gravosi e usuranti. Vi è infatti una grossa disparità tra le condizioni ed esigenze fisiche di un muratore a 65 anni e un professore della stessa età. In passato, ci sono stati una serie di interventi volti a ridurre questo gap, ma si sono rivelati così complicati e selettivi che solo in pochi (circa 18 mila persone in tutta Italia nel 2017/18) hanno potuto approfittarne. A questo si aggiunge che chi intraprende lavori gravosi ha solitamente anche un’aspettativa di vita statisticamente inferiore. Oggi risulta quindi indispensabile estendere la platea di coloro che possono accedere a forme di flessibilità in uscita legate al lavoro usurante e gravoso.

Gestione delle pensioni attuali. Un’ultima tematica fondamentale da affrontare è il costo delle pensioni attuali. Esse ammontano approssimativamente al 16% del PIL italiano. Queste cifre sono però da analizzare considerando che di questa somma fanno parte anche gli assegni sociali, le altre prestazioni assistenziali legate alle pensioni.  Al netto di tali spese, quella pensionistica si aggira intorno all’11,5% del PIL, che risulta un dato in media con gli altri paesi europei. Tra le nostre richieste figura infatti quella di separare l’assistenza, che deve andare a carico della fiscalità, dalla previdenza basata sui contributi versati, per evitare confusione sui dati reali del sistema previdenziale. Spesso il tema della previdenza viene usato a fini propagandistici e la situazione viene dipinta come più disperata di quello che è. La sostenibilità del sistema previdenziale non è legato - come spesso ci vogliono far credere - solamente all’invecchiamento della popolazione, ma dipende direttamente anche dall’andamento dell’economia e dell’occupazione, così come dalle decisioni politiche in questi ambiti.

Le pensioni sono anche direttamente legate all’inflazione. Attualmente si parla di proposte di indicizzazione delle pensioni rispetto all’inflazione. Cosa significa?
Quando si parla di adeguamento, si considera sempre l’inflazione nazionale. Oggi l’inflazione in Italia non è molto alta ed è in generale sicuramente più bassa che in Alto Adige e gli aumenti delle pensioni sono legati all’inflazione e quindi al potere di acquisto. Tuttavia, il tasso di inflazione viene calcolato sui consumi medi della popolazione in diversi settori, da quello informatico a quello alimentare. È palese però che tali misure non siano adeguate a tutte le fasce della popolazione. Basti pensare quanto incide l’acquisto di articoli informatici per un anziano rispetto ai prodotti alimentari. Bisognerebbe quindi trovare anche una misura dell’inflazione che sia più tarata ai consumi veri delle persone anziane e si presti bene a misurare il loro potere di acquisto. Per le pensioni oltre i 1.500 Euro (dal 2020 di 2.000) l’adeguamento annuale si riduce gradualmente per cui il potere d’acquisto diminuisce in termini reali continuamente.  

Cosa pensa della Quota100? Che fine farà?
Quota100 era una prima risposta a delle esigenze del mondo del lavoro. Rappresenta sicuramente un tentativo di migliorare il sistema Fornero, ma non rappresenta certo il suo superamento. Quello che ci preoccupa al momento è che Quota100 varrà ancora soltanto per il 2021, rischiando di creare un gap enorme tra chi ne usufruirà e chi non farà in tempo. Per questo è importante che il nuovo sistema permetta comunque l’uscita o con 62 anni, o con 41 anni di lavoro come propone il nostro progetto. Sicuramente non è accettabile chiudere il sistema Quota100 senza aver approvato in ogni dettaglio il prossimo piano previdenziale.

Cosa dobbiamo aspettarci prossimamente? Quali sono i prossimi passi verso lo sviluppo di un nuovo sistema pensionistico?
Al momento ci sono diversi tavoli di lavoro e commissioni che si adoperano sulle tematiche del lavoro gravoso, sulla divisione tra assistenza e previdenza, sui lavori precari, sull’adeguamento delle pensioni, sull’uscita flessibile e sulle pensioni complementari. I lavori stanno procedendo per poter delineare le linee guida dei prossimi interventi chiave nell’agenda di Governo, anche in vista del Def. Tuttavia, la maggioranza continua ad avere posizioni diverse su molti temi al suo interno, il che non favorisce certo la velocità dei lavori. A prescindere dai colori del governo, speriamo che si riesca presto a portare a casa qualche risultato!