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La scuola che prova a ripartire

In Alto Adige, dopo le polemiche, arriva l'ok al servizio di emergenza anche per gli istituti italiani. Le linee guida del Trentino e le ombre sulla didattica online.
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Foto: upi

Accantonati i diverbi e le tensioni degli ultimi giorni le scuole italiane in provincia di Bolzano "raggiungono" quelle tedesche. L’intesa tra presidi e l’assessore Giuliano Vettorato è stata trovata: via libera dal 25 maggio al servizio di emergenza negli asili nido dell'Assb e nelle microstrutture, e dal 27 maggio in elementari e scuole d’infanzia, dando priorità ai figli di operatori sanitari e sociali (la didattica continuerà a distanza).

Il servizio sarà esclusivamente mattutino, dalle 8.00 alle 12.30, svolto su base volontaria e ne potranno usufruire solo i genitori che dimostreranno di non avvalersi dell’opzione smartworking, di non poter contare su alcuna flessibilità oraria e di non avere nella propria abitazione una persona maggiorenne a cui poter affidare la prole.

Sul fronte trentino sono arrivate le proposte di linee guida del Dipartimento per l’Istruzione della Provincia. “Queste linee di indirizzo si accompagnano ad una responsabilizzazione collettiva: l’adozione delle misure di precauzione sono utili a proteggere i bambini e tutto il personale della scuola, in particolare attraverso il distanziamento, l’uso delle mascherine, l’igiene delle mani, la sorveglianza dei sintomi attraverso la misurazione della temperatura corporea e altre indicazioni utili per riaprire in tranquillità in breve tempo” ha annunciato l’assessore all'Istruzione Mirko Bisesti in conferenza stampa, mentre l’assessora alla salute Stefania Segnana parla di ripartenze per il mese di giugno dei centri estivi aggiungendo che “la riapertura, naturalmente, è legata alla situazione epidemiologica, ma gli ultimi dati ci danno speranza per ripartire e dare una risposta importante a cittadini”.

A settembre si tornerà a scuola, sabato compreso, per elementari e medie ma con orari ridotti. Ogni alunno dovrà avere a disposizione almeno tre metri quadrati di spazio, che si traduce con una richiesta di almeno 90 aule in più. I comuni si sono già attivati per individuare alcuni spazi destinati alla riconversione, riportando all’ancestrale funzione anche ex edifici scolastici smantellati o in fase di smantellamento.

Le reazioni

Le difficoltà non sono mancate: di fronte ai tagli annunciati per 20 milioni destinati a personale sanitario, insegnanti e dipendenti pubblici, 500 insegnanti di ogni grado hanno sottoscritto una lettera pubblicata sul quotidiano online “il Dolomiti”.

"La scuola ha chiuso per prima per oggettivi motivi di rischio. Gli insegnanti si sono armati di pc e connessione (a loro spese e spesso per l'occasione) e sono partiti, senza indicazioni chiare, né un valido comandante politico - né a livello nazionale, né locale - a fare un nuovo tipo di didattica che non conoscevano e che non aveva equivalenti. Da soli ma con l'appoggio, il sostegno e le indicazioni operative dei loro Dirigenti - e senza obblighi contrattuali - mossi da senso di responsabilità e amore del proprio lavoro e dei propri studenti. Dilatando il tempo del lavoro (altro che 40-70 ore da recuperare) e riducendo quello personale, hanno lavorato e stanno lavorando, nella maggior parte dei casi, più di prima e sicuramente in modo diverso da prima, sia facendo autoformazione (online) e didattica sia cercando di ri-costruire un po' di normalità. Cercando di sorridere a studenti preoccupati, a case rumorose con (solo) mamme che rientravano con buste della spesa o passavano aspirapolveri. Cercando di costruire, assieme ai Dirigenti, "normalità" e senza chiedere nulla in cambio ma ottenendo tanto da genitori e studenti. Ottenendo finalmente un riconoscimento. Perché se la scuola si ferma si vede - e finalmente! potremmo anche dire, se non fosse servita una pandemia per riconoscerlo -. Si vede quanto serva l'insegnante a mediare contenuti, a stimolare la motivazione all'apprendimento, a dare visibilità e identità a ciascuno; si vede quanto serva la scuola in presenza a costruire relazioni e abbattere i muri della disuguaglianza sociale ed economica di cui ora non ci si sta occupando adeguatamente. Le famiglie lo hanno visto, la Provincia no".

Un’altra dozzina di insegnanti invece hanno indirizzato una lettera all’assessore Bisesti, nella quale chiedevano professionalità da parte della classe politica nell’affrontare la riapertura: 

"Al posto di autoreferenziali fughe in avanti e soluzioni frettolose, intese prima di tutto a dare soluzione al pur reale problema della cura dei figli mentre i genitori sono al lavoro, ci spetteremmo una maggiore serietà da parte dei nostri decisori politici, che per una volta avrebbero l’occasione di mostrare come la funzione più nobile della politica nell’emergenza non sia quella di inseguire il consenso, ma di contemperare i diritti con le evidenze scientifiche e con un principio di precauzione".

"No alle classi pollaio": un’ulteriore fonte di preoccupazione era arrivata da parte degli studenti, genitori e insegnanti del liceo scientifico Da Vinci di Trento di fronte alla notizia della proposta di accorpamento di più classi fino al limite consentito dalla legge. "Siamo assolutamente contrari a questa misura, che ci danneggia tutti" avevano dichiarato, sottolineando che nelle prossime fasi caratterizzate dalla convivenza con il virus il distanziamento fisico è fondamentale e di conseguenza le classi dovranno essere meno numerose.

Dopo il lancio di una raccolta firme che ha visto migliaia di adesioni, anche da parte di altri istituti, l’amministrazione scolastica provinciale ha deciso di fare un passo indietro "dimostrandosi disponibile - si legge nel comunicato stampaa riconsiderare nelle prossime settimane gli andamenti concreti, in quanto suscettibili di modificazioni fino all’inizio del prossimo mese di luglio".

Le ombre della didattica a distanza

Secondo le attuali linee guida presentate la didattica in presenza sarà prioritaria per gli alunni delle classi prime e seconde, oltre che per coloro che presentano bisogni educativi speciali.

"Laddove l’attività didattica in presenza non possa essere assicurata a tutti gli alunni per la carenza di spazi, si dovrà elaborare una programmazione didattica alternativa".

Per tutti gli altri, dunque, qualora non si riuscisse a trovare un’adeguata soluzione per la ripresa delle lezioni in presenza ci si dovrà limitare alla didattica a distanza.

Una ricerca dell’Istat, tuttavia, riporta che oltre un terzo delle famiglie italiane non possiede un computer. Al Sud queste percentuali arrivano a sfiorare il 60% mentre nelle province di Trento e Bolzano il trend segue il nazionale, con circa il 30% delle famiglie sprovviste di apparecchi elettronici quali tablet e pc.

Secondo un’indagine di Cittadinanzattiva, invece, la didattica a distanza ha escluso dall’insegnamento circa 1,6 milioni di studenti in tutta Italia a causa di connessione inadeguata (48,5%), condivisione del dispositivo fra più fratelli o familiari (33,5%), assenza di dispositivi (24,5%), assenza di connessione (16,4%).