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Condannare e punire

La funzione riabilitativa della pena scompare tra le mura del carcere di Bolzano. La visita di Antigone illumina ancora una volta il buco nero dei diritti nel capoluogo.
Carcere di Bolzano
Foto: Othmar Seehauser

Le istituzioni totali si mantengono se a guardare dentro restano in pochi e se ancora meno sono quelli a conoscenza di quello che lì vi accade”. Così si apre il racconto di Emanuela e Francesco, gli osservatori dell’Associazione Antigone che lo scorso 29 settembre hanno visitato il carcere di Bolzano per monitorarne e denunciarne le condizioni. Dal 1998 Antigone è infatti autorizzata dal Ministero della Giustizia a visitare i quasi 200 Istituti penitenziari distribuiti sul territorio italiano, con prerogative del tutto simili a quelle dei parlamentari. Visite alle quali segue un report riassuntivo (a breve consultabile QUI) delle condizioni strutturali, del clima detentivo, del rispetto della legislazione penitenziaria, assieme ad altre caratteristiche salienti della struttura visitata che da più di un anno a questa parte riguardano anche l’assetto pandemico e la gestione da dietro le sbarre.

 

L’ultima visita, spiegano gli osservatori a salto.bz, risale al 30 dicembre 2019 e già prima della diffusione del Covid-19 la situazione si manifestava all’apice della sua gravità, a partire dalla struttura del carcere stesso. Da allora poco è cambiato. Il pericolante edificio del 1800 versa ancora in condizioni pietose, il sovraffollamento è all’ordine del giorno (107 persone detenute a fronte degli 88 posti regolamentari nel giorno della visita), così come il sottodimensionamento del personale, che non riguarda solo la Polizia penitenziaria ma soprattutto coloro destinati a una funzione riabilitativa e di accompagnamento, dagli educatori (sui quattro previsti ne è presente solo uno) ai mediatori, che non esistono se non per tradurre dall’italiano al tedesco e viceversa.
31 celle, bagni a vista, spazi angusti e promiscui, in cui i tre metri quadri per detenuto non sono diritti ma fantasie. Quel 29 settembre qualcuno di loro urlava agli osservatori “Non c’è acqua, non scorre l’acqua nella nostra cella”. Un malfunzionamento temporaneo, hanno spiegato gli operatori che li accompagnavano, l’ultimo di una serie infinita destinata a svilupparsi ancora a lungo. Nessun intervento di ristrutturazione viene infatti portato avanti da diversi anni, specie da quando nell’aria ha cominciato ad aleggiare la promessa di costruzione del primo carcere pubblico-privato, progetto in stand by da tempi ormai immemori. 

 

La riabilitazione che non c’è

A destar preoccupazione sono anche gli spazi destinati alla socialità. La scuola, se così si può definire, è stata ricavata da un vecchio magazzino. Un luogo claustrofobico da cui si accede da una scala ripidissima e nel quale non sono nemmeno previsti corsi professionalizzanti. D’altronde non è prevista nemmeno alcuna attività lavorativa per i detenuti, se non dentro e alle strette dipendenze dell’istituto, un segnale grave - ricordano gli osservatori - che indica inequivocabilmente la direzione volutamente intrapresa e che rimarca in maniera ancor più netta la linea di confine tra il carcere e la vita fuori.
Chi è immigrato rimane ancor più in balia di se stesso: dal carcere di Bolzano non è possibile rinnovare il permesso di soggiorno, mentre gli stessi detenuti vengono reclutati per tradurre e far da tramite con altri detenuti.
L’amministrazione penitenziaria proietta al di fuori, motivando le falle con l’assenza di risorse e la carenza di personale. A mancare è tuttavia anche una vera regia. La direttrice del carcere è già impegnata nella gestione della Casa circondariale di Trento e può recarsi a Bolzano solamente una volta a settimana. Una situazione simile in tutta la penisola, in cui la quasi totalità dei direttori penitenziari sono responsabili di più realtà carcerarie contemporaneamente in quanto non è stato ancora indetto alcun concorso per il rinnovamento delle figure predisposte, nonostante venga invocato da diversi decenni. 

 

Oltre la pandemia, quale diritto alla salute?

Durante le fasi più dure del contenimento dei contagi la funzione del carcere si è ridotta a una mera gestione di corpi privati di educazione, socializzazione e affetti. Nel caso di Bolzano, viste le pessime premesse, è stato un miracolo che i piccoli focolai siano stati tutti arginati in breve tempo, disinnescando una potenziale bomba a orologeria ma contribuendo comunque a peggiorare una situazione precaria già dal principio. Un primo segnale di miglioramento è arrivato tuttavia dall’Azienda sanitaria che ha istituito la figura di uno psicologo part-time e madrelingua tedesco designato alla prevenzione del suicidio. Non si tratta di un vero sostegno, specificano gli osservatori, dal momento che il professionista agisce come extrema ratio, ma si tratta comunque di un primo, seppur timido, passo in avanti. Molti sono invece quelli ancora da percorrere per quanto riguarda la tossicodipendenza e il preoccupante abuso di psicofarmaci all’interno delle mura carcerarie, in cui da un lato rispondono ad una necessità di tranquillizzare e rendere mansueta il più possibile la popolazione carceraria ma dall’altro ci si trova davanti alla situazione in cui sono gli stessi detenuti a farne richiesta (e che vengono a loro volta facilmente accontentati) per sopravvivere mesi, se non anni, in un micromondo che non offre alternativa alcuna all’ozio forzato, al rumore continuo che non permette nemmeno l’attività di studio e all’autolesionismo nei casi più estremi in cui però non vi è nemmeno la garanzia di un intervento tempestivo: sebbene la sorveglianza medica sia prevista per 24 ore al giorno in realtà a Bolzano si limita a 12, con una presenza infermieristica fino alle 23, lasciando sguarnita la fascia notturna. Per la stessa guardia medica l’ingresso al carcere è difficoltoso a tal punto che non è raro assistere ad un'anamnesi eseguita via telefonica con il tramite di un agente penitenziario.

 

Affetti compromessi

Per quanto riguarda il contatto con il mondo esterno, al momento risultano ancora attivi i colloqui in videochiamata istituiti durante la pandemia e, allo stesso tempo, risultano nuovamente attivi i colloqui dal vivo con tutte le criticità del caso. La saletta adibita infatti è piccola e inadeguata alla sua funzione. Viene ammesso un adulto e un solo minore, il che significa che se un padre ha due o più figli non li può vedere contemporaneamente. Allo stesso tempo non esiste una sala protetta per i colloqui con i minori.
Il vero paradosso, conclude Antigone, è che nonostante il carcere sia collocato nel cuore della città si trova ad essere al contempo terribilmente isolato: pochissimi i volontari che entrano, totalmente assente qualsiasi tipo di attività che possa far avvicinare la pena punitiva allo stadio riabilitativo quale dovrebbe essere.