Politica | Politica da salotto

Corsa ad ostacoli per il rilancio del PD

Manovre di potere, protagonismo fine a se stesso, errata lettura del contesto sociale, distanza dalla gente comune: gli ostacoli da superare per il rinnovamento del PD.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

La fallimentare esperienza di rinnovo della vocazione riformista del PD promossa dalla compagine renziana non è ancora stata digerita ed archiviata. Lo conferma l’ostinata ricerca di visibilità e di difesa della linea politica – ed implicitamente del suo modo di comunicare - da parte dello stesso Matteo Renzi. Che gli esponenti renziani in parlamento abbiano assunto un atteggiamento attendista rispetto al rinnovo della linea politica affidato a Nicola Zingaretti è un segnale di tregua soltanto temporanea. Dopo il congresso ora il problema del reloading del PD sta in mano ad un gruppo di esponenti contraddistinti – e ci tengono a rimarcarlo - da posizioni diverse tra di loro, ma comunque allineati come aggregazione improvvisata di moschettieri per „salvare l’Europa“ dagli assalti dei sovranisti. Autorevoli commentatori ritengono che il ricambio del segretario del PD con la campagna elettorale per le elezioni europee già in corso abbia richiesto segnali di pacificazione e che il rinnovo possa partire soltanto dopo questa importante tornata elettorale.

Giochi di potere

I messaggi che la nuova dirigenza diffonderà durante la campagna elettorale e nei mesi successivi comunque saranno rivelatori del nuovo corso che i vertici intendono (o saranno in grado di) imprimere al PD. E le reazioni delle molte anime all’interno del partito potranno prefigurare lo sviluppo delle dinamiche che ci si potrà attendere. In vista delle elezioni europee Zingaretti ha intrapreso la strada del rinnovo con una squadra di grande prestigio, inserendo in parte anche personaggi al di fuori del PD. Dovrà fare attenzione ai rischi connaturati ad una forza politica abituata a governare o con la pretesa di giocarsi le sue carte in un contesto di maggioranze risicate e di soluzioni patchwork che oltrepassano i confini tradizionali dei partiti. Già in passato questa fissazione sui giochi di potere ha caratterizzato leader ed esponenti delle correnti del PD, peraltro in concorrenza tra di loro, tra una tornata elettorale e l’altra. Pare che rappresentanti ormai abituati a ricoprire funzioni politiche e di management di alto livello tendano a ridurre il loro quadro di riferimento a visioni strategiche verticistiche ed alle relative manovre nel Tansatlantico.

Mancanza di coerenza programmatica

Vorrebbero soprattutto riappropriarsi della stanza dei bottoni, per cui i contenuti diventano merce di scambio per costruire un consenso governativo. Nella comunicazione usano un linguaggio da insider contemperato e possibilista e perciò di insufficiente impatto sull’elettorato. Non propongono iniziative che riescano a coinvolgere la base del proprio partito ed a infondergli la convinzione di essere chiamati a costruire insieme una nuova visione della politica „di sinistra“, cioè attenta agli squilibri prodotti dal mantra neoliberale del mercato, determinata nella difesa e nella propulsione di un riassetto delle tutele sociali, di politiche di redistribuzione e di promozione di chances di autorealizzazione di ogni individuo, decisa a riaffermare sistemi di partecipazione e di concertazione nonchè di radicamento democratico delle istituzioni in un contesto con forti dinamiche di disintegrazione dei sistemi di garanzia per i più deboli. Rinunciano ad integrare nel loro programma la tutela dell‘ambiente e non si impegnano ad amalgamarla con le politiche sociali in un quadro organico di sviluppo del benessere e di riconversione dell’economia di mercato.

Protagonismo sganciato da un’accorta lettura della realtà sociale

Forse pensano di dare un’immagine di fieri lottatori per la giusta causa, quando si scatenano in attacchi all’avversario politico. Questi vecchi rituali di un confronto politico basato su una netta divisione tra gli schieramenti politici, in cui la denigrazione dell’altro schieramento fa scattare automaticamente l’identificazione razionale ed emotiva dei propri seguaci e di chi comunque non condivide obiettivi e valori dell’avversario chiamato in causa, non fanno più presa sulla gente. Ci si dimentica, inoltre, che quest’arma va usata alla fine della campagna elettorale, quando sono ben definite le rispettive posizioni politiche in termini di valori e di proposte di policy e non ogni qualvolta che nei media viene enfatizzato l’ennesimo scontro tra governo ed opposizione. Non ci si rende conto, perdipiù, che l’appeal di un partito o di un movimento politico dipende in primo luogo dalla capacità di confezionare un programma politico concreto, ben radicato nei valori che lo contraddistingono e coerente con la propria storia. Con tanti sensori giornalmente in contatto con la gente i partiti dovrebero essere in grado di cogliere le problematiche sociali, economiche, culturali, ambientali del momento, leggerle nel contesto più ampio degli sviluppi della società e proporre soluzioni concrete per risolverle.

Le emozioni negative della piazza vanno colte come sintomi di un disagio (disattenzione oppure ignoranza delle istituzioni e della politica) o di una malattia (protratta noncuranza delle istituzioni oppure disfunzioni delle politiche causate da errati indirizzi di policy e squilibri nel contemperamento dei valori della società). Ciò risulta difficile giacché la moltiplicazione dei canali di informazione e nuove piattaforme di egotainment hanno favorito - se non causato - un qualunquismo valoriale e l’evanescenza dell’interesse alla polis. Nei media indignazione, aggressività e menefregismo vengono amplificati per pigrizia, in ragione di un sistema di produzione dell’informazione che tiene i giornalisti a corto respiro, con speculazione sulla tiratura e sull‘audience o con palesi intenti di strumentalizzazione dai media e dai salotti televisivi.

Successo di risposte ad hoc con ingegnose strategie di marketing

La risposta alla rabbia di chi non si sente tutelato nelle sue legittime aspettative ed aspirazioni ed è deluso della politica e delle istituzioni, invero, sono politiche di lungo respiro. Il consenso raccolto dal M5S attorno alla proposta del reddito di cittadinanza dimostra che quella di elargire ottanta Euro è stata un’idea estemporanea che serviva a Matteo Renzi come esca nella campagna elettorale, ma restava in sostanza una misura senza collocazione in un disegno organico di politiche di reddito o di welfare. Ciò che sorprende è la differenza di performance politica e mediatica tra il reddito di cittadinanza (Rdc), molto simile al reddito di inclusione sociale (Rei) sia nell’impostazione che negli importi concretamente elargiti, con quest’ultimo più coerentemente impostato come misura di contrasto alla povertà dal carattere universale affidata alla gestione dei servizi sociali dei comuni. Pare che il Rei sia stato percepito come un cerotto per alleggerire temporaneamente i sintomi ed il Rdc come una cura vera per il male sociale. Nella realizzazione del Rei è mancata la convinzione di realizzare una misura necessaria e sensata in una situazione di disoccupazione dilagante, di decennale e generalizzata perdita del potere d’acquisto e di contestuale aumento del costo della vita, delle tasse e dei tributi a livello locale. Ne consegue che non è stata impostata una strategia comunicativa in grado di valorizzare tale intervento come policy lungimirante voluta dal PD.

Capacità comunicativa determinante

Più che fare bene le cose la sfida sembra essere quella di fare le cose giuste e riuscire a comunicarle all’opinione pubblica. Lo conferma la stabilità del consenso per il governo in carica nonostante tutti gli incidenti di percorso e le incognite nell’applicazione del Rdc. I massmedia vengono spesso usati come amplificatori delle esternazioni dei rappresentanti politici e delle loro performance sui vari palcoscenici. Di fronte ad una distratta ricezione delle informazioni da parte dei cittadini-elettori, invero, i giornalisti fanno fatica a fornire un quadro ragionato degli input di fonti di informazione contrastanti, che si riesca ad afferrare in un paio di secondi. È possibile riassumere un ragionamento in un titolo, ma non è possibile veicolare contemporaneamente le riflessioni e le valutazioni che ne costituiscono la base. Ci si potrebbe dilungare sul ruolo degli organi di informazione e sulla perdita della loro vocazione educativa per la cittadinanza, ma bisogna riconoscere che è la capacità comunicativa dei rappresentanti politici il fattore distintivo che determina il loro successo.

Intrappolati nel politichese

I rappresentanti del PD spesso rimangono intrappolati nelle ragnatele di un politichese logorroico e vago. Parlano di problemi reali in modo generalgenerico come se si trattasse di esporre in maniera educata a visitatori del parlamento che l’avversario politico, cioè il governo, sta facendo disastri, mentre loro sono i veri professionisti ed avrebbero in mente le soluzioni giuste. Non affrontano con il giusto piglio i nodi dei problemi e, soprattutto, non parlano alla gente, riprendendo le preoccupazioni dei cittadini e specchiandoli in chiave politica, cioè addentradosi nella problematica e facendosi portavoce delle istanze dei bisognosi, per poi chiedere soluzioni pratiche ed immediate. L'attuale campagna elettorale per le elezioni europee ne è un esempio: "Salvare l'Europa" e "Più Europa" sono degli slogan vuoti che non spiegano quanto l'Unione Europea abbia contribuito allo sviluppo in termini di tutele sociali, sviluppo economico, promozione dell'inserimento lavorativo, sostegno allo sviluppo dei territori, incentivi all'innovazione, ampliamento di diritti di cittadinanza e di partecipazione. E senza infondere nella gente la certezza dell'utilità del progetto europeo per garantire benessere, pace sociale e competitività in un quadro globale non sarà possibile proporgli una visione convincente del futuro dell'Europa. Sono altri che parlano di visioni: se l'obiettivo è quello di sacrificare l'idea europea sull'altare di un patriottismo cupo e di deboli particolarismi nazionali, basta inveire contro l'Europa.

Anche nel confronto sulle politiche a livello nazionale si nota la mancanza di incisività dei discorsi della sinistra. Sembrano tuttora sottovalutare l'impatto del Rdc come misura di contrasto alla povertà in una prospettiva di lungo termine sperando più in un fallimento dello stesso che puntando su un suo adattamento. Si aggrappano alla quasi giornalmente paventata implosione del governo invece di presentare con forza e determinazione valide alternative su ambiti cruciali come lo sviluppo economico, la creazione di posti di lavoro, il welfare, la riforma della PA, la concertazione... Devono rendersi conto che l'esito delle elezioni europee dipende in buona parte dalla performance politica a livello nazionale. Non a caso Matteo Salvini si dimostra un fiume in piena non appena gli si offre un microfono. In un discorso di 5 minuti  Salvini si immedesima in cinque problematiche diverse, usando il vocabolario della gente comune, e sforna altrettante soluzioni, individuando rispettivamente un colpevole, contro cui scagliarsi con tutta la rabbia accumulata nel tempo per il mancato soddisfacimento delle aspettative. Una parte dell’appeal politico di Salvini è dovuto a questo ingegnoso meccanismo psicologico: Fornendo un capro espiatorio lui canalizza anche le frustrazioni delle persone che si sentono trascurate e loro gli sono grati per questo. Quando invece ascoltano Martina, Zingaretti ed il momentaneo dissidente Bersani, la rabbia gli rimane dentro e si ritorce contro questi. 

Il rinnovamento deve partire dal basso

Disporre di rappresentanti politici navigati con esperienza parlamentare e di governo a livello regionale e nazionale è indispensabile per una forza politica che ambisce a cimentarsi come elemento stabile in un sistema di alternanza politica. È chiaro che uno o una di loro deve assumersi la responsabilità di guida di un processo di rinnovamento strutturale e degli indirizzi politici. Il rinnovamento, però, deve partire dal basso. I circoli PD potranno essere una fucina del nuovo pensiero della sinistra. Bisognerà aprirsi ad un confronto con altri attori sociali presenti sul territorio, riprendere il dialogo con i sindacati, ripartire dalle esigenze dei comuni e ritagliarsi un ruolo per lo sviluppo della comunità e del territorio. La visione politica che verrà costruita deve fungere da guida al rilancio del paese a partire dalle piccole comunità. Prima di sfoggiare la bandiera del PD rinnovato c’è molto da lavorare.

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Karl Trojer Mer, 04/24/2019 - 18:40

Il rinnovamento del PD potrà partire dal basso, quando nel PD ci si convincerà, che le "correnti" sono il veleno. Esso, finora, ha distrutto ogni partito politico. Partecipazione significa esser e rimanere aperti a soluzioni ottimali da chiunque esse provvengano. Significa rinunciare a raggruppamenti di ideologie diverse, perchè esse, come primo compito vedono il difendere la proprie tesi contro "gli altri". Sono gli individui, che con le loro argomentazioni, in dialogo, si scambiano i signoli pareri e cercano soluzioni ottimali per il bene comune. In democrazia, poi alla fine, decide la maggioranza degli individui ed anchi chi era di altro parere, deve sopportare questa decisione senza metterla in dubbio. Le "correnti" costruiscono muri di autodifesa e dimostrano verso l´esterno un partito incapace di unità e quindi non affidabile.

Mer, 04/24/2019 - 18:40 Collegamento permanente