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Politica | Avvenne domani

Quando Craxi venne a Bolzano

Cronaca di una giornata particolare.

Nel ventennale della morte, Bettino Craxi è stato oggetto, in queste settimane, è una potente campagna rievocativa, non immune, per certi aspetti, da accenti dettati da una smania di revisione della recente storia italiana. Può non essere inutile, in quest’ampio quadro, inserire anche una noterella che ricordi un episodio che collega l’attività politica dell’esponente socialista ad uno dei momenti più critici delle vicende politiche altoatesine del ’900.

L’azione si svolge nelle ultime settimane del 1984. È un periodo abbastanza cupo per gli sviluppi della questione altoatesina. Sono passate poche settimane dalla grande manifestazione che ha concluso ad Innsbruck le celebrazioni hoferiane e durante la quale la grande corona di spine portata a spalla dagli Schützen del Burgraviato tra gli applausi della folla, ha provocato un seguito di polemiche, segnalando ancora una volta, a livello nazionale a livello europeo, che le tensioni etniche in Alto Adige, che si credevano sopite definitivamente con l’adozione della seconda autonomia, sono riesplose in modo clamoroso.

A fornire il sottofondo sonoro alle tensioni politiche ci pensano i terroristi che hanno ripreso da qualche anno a fare sentire la loro voce e che non mancano di utilizzare periodicamente il tritolo come strumento per cercare di far saltare intese che parevano ormai collaudate. In effetti il processo di attuazione dell’autonomia pare esser stato deviato su un binario morto. La situazione di stallo è testimoniata, tra l’altro, dalla decisione del governo di non emanare la contestatissima norma di attuazione sull’uso della lingua nei processi civili e penali in Alto Adige. Contro di essa sono schierati soprattutto gli avvocati bolzanini di lingua italiana, secondo i quali la norma pregiudica in modo gravissimo il libero diritto di scelta del difensore da parte degli imputati e mira a costituire una sorta di giustizia etnica del tutto incompatibile con uno Stato di diritto.

La grana è depositata a questo punto sul tavolo del Presidente del Consiglio in carica che, per l’appunto, è Bettino Craxi. Appena insediato a Palazzo Chigi, il leader del PSI aveva dato l’impressione di voler sbrogliare la delicata matassa altoatesina con un piglio decisionale superiore a quello dei suoi più recenti predecessori. Dopo un viaggio a Vienna nel quale aveva rassicurato sulle sue buone intenzioni gli interlocutori austriaci, aveva emanato un’altra norma di attuazione assai discussa e contestata: quella sulla sezione altoatesina del Tar, i cui componenti sono di nomina politica, cosa giustificata dal fatto che in teoria, ma non avverrà mai, potrebbero essere chiamati a dirimere il conflitto tra le componenti etniche del consiglio provinciale.

Superato questo passaggio, però, la macchina delle norme di attuazione si ferma irrimediabilmente e la tensione, a Bolzano, cresce di pari passo con l’attivismo delle forze, fra gli estremisti italiani e quelli sudtirolesi, vorrebbero fare piazza pulita della nuova autonomia e degli accordi che ad essa hanno portato.

Il malessere è particolarmente acuto soprattutto tra i partiti di lingua italiana, che stanno iniziando a sentire la pressione crescente della destra missina, che esploderà in una clamorosa crescita elettorale di lì a qualche mese, e che ha gioco facile nell’accusarli di aver tradito i loro elettori consegnando tutto il potere in mani sudtirolesi.

Questo il clima nel quale, in quei giorni di novembre del 1984, arriva un annuncio che ha, per l’effetto di novità che provoca sulle consolidate liturgie politiche del tempo, un che di clamoroso. Da Roma si fa sapere che il 13 novembre il Capo del Governo sarà a Bolzano per una giornata di incontri con i partiti e tutte le principali istanze sociali della provincia.

È una pura questione di forma, ma, in una vicenda come quella altoatesina che anche di aspetti informali si è nutrita nel tempo, la forma diventa sostanza. Lo sconcerto e l’irritazione per la decisione di Craxi si leggono chiaramente, come ha raccontato Piero Agostini in una delle pagine più belle del suo libro “La convivenza rinviata”, sul volto di Silvius Magnago, abituato sin dai tempi di Aldo Moro, a intrattenere un rapporto esclusivo e privilegiato con i presidenti del consiglio e che, quella mattina del 13 novembre, si trova in coda, tra gli altri rappresentanti di partito, in attesa di essere ricevuto.

Opposte, ovviamente, le sensazioni che circolano negli ambienti di lingua italiana. Pare a molti che Craxi abbia finalmente voluto colmare quel deficit di rappresentanza di cui la comunità si lamenta, a ragione ma anche a torto, sin dall’inizio della difficile trattativa sul “Pacchetto”.

Le consultazioni, come naturale, si tengono nelle sale Palazzo Ducale, sede del Commissariato del Governo. Craxi attende gli interlocutori della sala riccamente decorata con gli arredi che a suo tempo i Savoia fecero prelevare da un palazzo veneziano. Le delegazioni attendono pazientemente il loro turno nel grande salone d’entrata. Sono incontri brevi, per forza di cose. C’è tempo al massimo per qualche considerazione rapidamente espressa e per i convenevoli di cortesia. Tutti, prevedendo come andranno le cose, si sono muniti di robusti promemoria scritti che lasciano sul tavolo quando debbono uscire. Craxi ascolta, commenta brevemente ma senza sbilanciarsi troppo e saluta via via le varie delegazioni. Quando arriva l’ora della pausa meridiana l’elenco degli invitati ancora da sentire è piuttosto lungo. Con un’altra mossa a sorpresa il leader socialista rinuncia al pranzo ufficiale con gli interlocutori istituzionali e opta invece per una rapida trasferta dall’altra parte della città, a Oltrisarco, dove consuma il rancio assieme ai soldati della caserma Mignone. Il tempo di bere un caffè e si ricomincia, con le varie parti sociali, sindacati e associazioni di categoria.

La lunga giornata bolzanina di Bettino Craxi  si conclude quando ormai il breve pomeriggio autunnale è sfumato nel buio. Il Presidente del Consiglio riparte con un faldone ben gremito di memoriali straripanti di valutazioni, richieste, consigli su come dirimere tutti i nodi aggrovigliati che impediscono di viaggiare rapidamente verso la conclusione della vertenza internazionale.

Quelle carte, se esistono ancora, devono essere sepolte in qualche archivio romano. Non sappiamo se furono lette e meditate, ma di certo non fornirono a Craxi ai suoi collaboratori la chiave per qualche scelta risolutiva. Le questioni sul tappeto rimasero aperte ancora per parecchio tempo. Ci sarebbero voluti anni prima che, terminata da tempo l’epoca della presidenza Craxi, iniziasse l’ultima fase di emanazione delle norme di attuazione in vista della chiusura avvenuta nelle prime settimane del 1992.

La “giornata particolare” di Bettino Craxi a Bolzano ebbe però sicuramente un effetto politico, le cui conseguenze si prolungano ancora sino ai giorni nostri. Qualche tempo dopo la trasferta bolzanina Craxi prese un’altra decisione che sconvolgeva le cadenze consacrate dei rapporti tra Roma e Bolzano. Spogliò sé stesso, come Capo del Governo della titolarità a trattare direttamente con la Südtiroler Volkspartei la soluzione dei problemi altoatesini e la delegò al Ministro delle Regioni, titolare di un dicastero senza portafoglio, creato già da tempo, ma che fino a quel momento non aveva ricevuto nessuna competenza in materia. Il primo ad esercitare questa nuova competenza fu il socialdemocratico Carlo Vizzini, seguito dal repubblicano Aristide Gunnella ed infine dal “tecnico” Antonio Maccanico. Fu con loro che Magnago dovette abituarsi a discutere le questioni che in precedenza affrontava direttamente con la massima autorità di governo. È una definizione di competenze che, come ci raccontano anche le cronache più recenti, dura fino ai giorni nostri e che trova una corrispondenza nel fatto che le stesse commissioni paritetiche per l’attuazione dell’autonomia sono incardinate proprio presso il Dipartimento degli affari regionali. Va detto, tuttavia, che gli avvenimenti cruciali che, all’inizio degli anni 90, portarono alla chiusura del “Pacchetto” furono di nuovo gestiti prima persona da Giulio Andreotti allora Capo del Governo.

Il fascino discreto dell’autonomia

Sin qui la breve rievocazione di quel giorno e di quegli anni. Poco resterebbe da aggiungere se non una considerazione: quel tentativo rimasto inevaso di Bettino Craxi può essere considerato come il primo dei diversi “tavoli” che nel tempo si sono succeduti con la pretesa, rimasta perennemente senza seguito, di dare una soluzione attraverso una vasta partecipazione ai problemi politici che via via si presentavano. Nessuno in quel novembre del 1984 parlò mai ovviamente di un tavolo di discussione. Il concetto venne di moda più tardi e da allora si è replicato più volte sulla scena politica dell’Alto Adige. Basterebbe ricordare il tavolo aperto nel 2001 da Gianclaudio Bressa, agli albori della sua lunga avventura attraverso le vicende politiche locali, quello inaugurato nel febbraio del 2007, in un albergo di Bolzano sud, da Romano Prodi, quello allestito infine un paio d’anni dopo dal leghista Roberto Maroni, all’epoca Ministro degli Interni.

Con una piccola forzatura, nell’elenco potrebbe entrare anche la più recente Convenzione per la riscrittura dello Statuto, tatticamente dominata dagli estremisti secessionisti sudtirolesi, ma i cui risultati sono finiti (per ora almeno) nel cestino dei rifiuti assieme alla grande riforma funzionale di Matteo Renzi, travolta dal risultato referendario.

Tanti tavoli imbanditi senza che mai si sia riusciti ad andare oltre la prima portata. Il riferimento che viene, spontaneo alla mente è con il grande e terribile film di Luis Buñuel “Il fascino discreto della borghesia”, durante il quale un gruppo di borghesi dalla coscienza non immacolata non riesce mai ad affondare le posate nel piatto, visto che qualcosa o qualcuno arriva inevitabilmente ad interrompere il convivio.

Così i tanti tavoli sulla politica altoatesina restano un’incompiuta, con l’unica significativa eccezione del piccolo tavolino costituito dalla Commissione dei sei che invece, sia pur tra molte diatribe e qualche conflitto, anche recente, ha regolarmente prodotto i suoi risultati. Forse proprio perché i posti a sedere erano pochi e la partecipazione esterna delle varie componenti del mondo politico e sociale altoatesino, del tutto limitata. Il segreto di un successo ma anche la ragione, se vogliamo, per la quale una gran parte del mondo altoatesino si è sentita esistente tagliata fuori dai luoghi dove vengono prese le decisioni che contano.