Società | SALTO WEEKEND

Storie delle "Alpi ribelli"

Intervista ad Enrico Camanni, che in un libro racconta le montagne come luogo di resistenza ed utopia. Tra i protagonisti c'è anche Alex Langer.
Camanni, Enrico
Foto: Enrico Camanni

"Alex non era certo un alpinista. Era però un uomo di montagna, che conosceva molto bene le Alpi. Ed era l'unico, e di questo sento una grande mancanza oggi, a vedere queste nostre montagne come un centro di dialogo, un laboratorio multi-culturale. Credo che questo sia un concetto che si è un po' perso dopo la sua morte, insieme al discorso ambientalista che Langer aveva molto a cuore". Alexander Langer, giornalista e politico alto-atesino, è uno dei protagonisti di "Alpi ribelli", sottotitolo "storie di montagna, resistenza e utopia" (Laterza, 2017), scritto da Enrico Camanni, 60 anni, alpinista e giornalista torinese. È un messaggio: "Oggi stiamo perdendo tempo, non c'è più una tensione intorno al futuro delle Alpi, quella che un politico come Langer seppe promuovere, e che portò nel 1991 alla sottoscrizione della Convenzione delle Alpi", spiega Camanni a Salto.bz.

Il libro di Camanni parte però da lontano, dal Medioevo: "Mi sembrava interessante raccontare anche casi non confrontabili con quelli moderni e contemporanei, che però rendono conto in modo perfetto del ruolo della montagna come rifugio, come luogo altro ed a volte conflittuale con la Pianura. Il tardo Medioevo, dobbiamo ricordarlo, è un momento cruciale, perché di fatto i montanari avevano ottenuto un regime di autonomia che mai avevano avuto prima di allora e che molto probabilmente non avranno mai più. Esistono, a raccontarlo, situazione talmente esemplari e interessanti, o tragici, come la storia della comunità valdesi o quella di Fra' Dolcino".
È in quel periodo che nasce il mito delle "Alpi libere", collegato alla figura di Guglielmo Tell.

"Oggi stiamo perdendo tempo, non c'è più una tensione intorno al futuro delle Alpi, quella che un politico come Langer seppe promuovere, e che portò nel 1991 alla sottoscrizione della Convenzione delle Alpi"

Oltre i due terzi del libro sono però dedicati a storie di ribelli "contemporanei" (tra cui figura anche Alex Langer), e a ribellioni ancora vive (come quella della Val di Susa contro il treno alta velocità Torino-Lione, che viene personificata nella figura di Luca Abbà, nato a Torino e poi divenuto contadino in Alta Valle, protagonista di un terribile episodio sui cantieri TAV).
Il tema ambientale è un fil rouge che lega molti capitoli, riportando in particolare due storie degli anni Settanta ed Ottanta, "quando gli alpinisti presero a 'fare politica', a non limitarsi alle proprie attività e ad immaginare e costruire un'idea nuova delle Alpi", dice Camanni. Racconta, ad esempio, dei montanari di Cervières, che nella regione francese delle Hautes Alpes hanno saputo resistere al richiamo dello sci da discesa, obbligando il governo francese a cancellare ogni progetto di una nuova stazioni sciistica: "Si ribellarono affermando 'questa terra è nostra, e se la portate via non tornerà mai più': in tutta la vallata, sono gli unici ad aver mantenuto prati ed erba, anche se oggi fanno fatica a vedere una futuro". Un'altra tappa fondamentale è la nascita di Mountain Wilderness (1988), e le prime importanti manifestazioni contro gli impianti di risalita sul Monte Bianco, e per la creazione di un parco internazionale tra i versanti francese ed italiano: "Credo sia importante tornare a quel tipo di visione, quella propria del CIPRA e che trova 'forma' nella Convenzione delle Alpi, che rappresentava una risposta ragionata ad alcune proteste più eclatanti ed estemporanee. Oggi lavoro con l'associazione Dislivelli, un luogo dove si ragiona sulla montagna e sulle politiche per la montagna, e ci accorgiamo che la difesa dell'ambiente rimane quasi un concetto superato. Secondo me, se non si salva questo patrimonio naturale, la montagna è finita. Guardo al pensiero di Nuto Revelli, che ho intervistato, e ai suoi libri che raccontano il dramma dello spopolamento: gli effetti dell'assenza di persone è un territorio quasi disertificato, alla mercé di chi voglia farne una stazione di sci o qualsiasi altra cosa".
 

Tra i ribelli trovano spazio anche tre figure femminili, "tutte e tre molto interessanti" racconta Camanni. Una è Mary Varale, alpinista nel Ventennio, che si battè contro l'emerginzione della donna nel mondo della montagna, a partire dalle associazioni come il CAI. "Quella che a me colpisce di più -confessa l'autore- è Tina Merlin, la giornalista il cui nome è legato al disastro del Vajont: la sua capacità di denunciare una forma di progresso, legato all'industria idroelettrica, che sarebbe stato devastante era davvero avanzata, anche perché era una donna di sinistra, che andava contro alla tradizione del Partito Comunista, cui era iscritta. Ma è interessante anche la figura di Giovanna Zangrandi, una partigiana che è rimasta per sempre in montagna, defilata dai salotti, e per questo è stata emarginata dall'industria culturale. Credo che il suo libro sulla resistenza, 'I giorni veri 1943-1945', sia tra i più belli mai scritti" (è citato in bibliografia, in un'edizione del 1963 di Mondadori; nel 2012 è stato ripubblicato da ISBN).

Enrico Camanni chiude le sue "Alpi ribelli" raccontando il ritorno del lupo. È l'unico protagonista non antropomorfo del libro. "È una metafora -spiega-: nei molti dibattiti in merito a cui ho assistito, ho percepito come questo animale abbia messo in crisi un paradigma culturale. In Italia, gli unici carnivori eravamo noi uomini, e la presenza di lupi, o in misura minore di orsi, crea confusione. Rompe un primato che sembrava assodato, e dobbiamo scegliere come rispondere: o li sterminimo tutti, oppure impariamo a convinvere con altri carnivori. Il lupo ci obbliga alla ricerca di un nuovo equilibrio. E in questo senso è un ribelle".