Società | Bolzano

Spersonalizzare l'antimafia

Tano Grasso della Federazione Antiracket incontra gli studenti e le studentesse delle Claudia de' Medici: “Passare dall'io al noi. L'Alto Adige? Non è immune alle mafie”.
Tano Grasso
Foto: Salto.bz

La Costituzione, sosteneva il giurista e costituente Piero Calamandrei, è “solo” un pezzo di carta: “La lascio cadere e non si muove, perché si muova bisogna rimetterci dentro ogni giorno il combustibile”. Un'esigenza analoga a quella richiesta dalla lotta alle mafie e contro la cultura mafiosa, che a quasi trent'anni dalle stragi di Cosa Nostra del 1992-1993 ha bisogno di gambe nuove su cui incamminarsi.

 

Con questo spirito, alcune classi dell'Istituto superiore per le Scienze umane, i servizi e il turismo “Claudia de' Medici” di Bolzano hanno intrapreso un percorso sul contrasto alle mafie, accompagnate dall'esperto dei fenomeni di criminalità organizzata Michele Mosca, culminato ieri (23 novembre) in un partecipato incontro con Gaetano “Tano” Grasso. Siciliano, ex commerciante e già parlamentare (“non lo rifarei più, non ne ho l'attitudine”), attualmente Grasso è docente universitario e ricopre la carica di presidente onorario della Federazione delle associazioni antiracket e antiusura italiane (FAI).

 

Dall'intimadazione all'unione fa la forza

 

Proverò a rispondere a tre domande” ha esordito Grasso di fronte alle studentesse e agli studenti dell'Istituto bolzanino, “ovvero chi sono, cosa faccio e che ci faccio qui – anche se i primi due interrogativi sono già sbagliati, perché dovrei dire chi siamo e cosa facciamo. Nel passaggio alla prima persona plurale c'è il fatto nuovo”. Nel 1990 Grasso vendeva scarpe in un negozio di Capo d'Orlando, in Sicilia, quando varie attività della zona subirono attentati: “Erano esplosioni che provocavano danni non irreversibili, ma significativi, che creavano una difficoltà. Perché un mafioso compie un attentato? L'atto intimidatorio è un modo di comunicare, di parlare al commerciante: tu sei solo, sei debole, hai tutto da perdere, stai attento, non puoi affidarti allo stato perché dietro di me c'è la forza di un gruppo. Tanto più il commerciante è impaurito, più è debole”.

A quel punto Grasso si è domandato “perché non fare come loro, cioè mettersi insieme e organizzarsi. Se il loro strumento è la forza, il nostro è la testa. Non è una questione di coraggio ma d'intelligenza, di strategia, di costruire un percorso che renda il più possibile difficile la vita ai mafiosi”. Nessuno dei commercianti che hanno denunciato e testimoniato in tribunale ha subito rappresaglie, ma ha goduto d'un clima di sostegno e di forza, sostiene il presidente onorario FAI. “Bisogna impedire – aggiunge – che altre persone si trovino nella situazione di Libero Grassi, commerciante che fu lasciato solo dai colleghi e isolato dalla città. Va protetto chi denuncia”. Tano Grasso, al momento, vive sotto scorta.

I mafiosi hanno però cambiato atteggiamento: “Pentiti e collaboratori di giustizia raccontano ora che quando c'è un commerciante restio a pagare, non viene preso più di petto perché non conviene, si passa oltre. La mafia è un soggetto razionale che valuta secondo convenienza”, un'organizzazione criminale “che non ha come solo obiettivo il denaro, bensì è finalizzata all'esercizio del potere, di una sovranità sul territorio e alla sottomissione delle persone”.

 

La scorta è libertà

 

Molte (e interessate) le domande degli studenti e delle studentesse. “Che errore non rifarebbe?” chiede una di loro. “Vi sono difficoltà immense e momenti di sconforto notevoli – risponde Grasso – e la difficoltà maggiore è l'indifferenza. Ma un errore è la personalizzazione: perciò dico di spersonalizzare, di evitare di esporsi più degli altri andando allo scontro frontale. Occorre sempre diffidare da chi è intrepido, dritto, non ha mai paura”. “Ha ancora senso la scorta?” chiede un altro: “La mafia sta riducendo il più possibile gli omicidi esterni, quelli eccellenti”, spiega, “e non perseguendo più questo obiettivo, viene da chiedersi perché ci siano ancora così tante scorte. Va ripensato il contesto, ma non s'interviene perché nessuno vuole assumersi la responsabilità. La scorta diventa un alibi per lo Stato, cui si aggiunge una narrazione artificiosa dei media, che lavora sull'amplificazione del rischio, tutta coniugata sulla prima persona singolare”. Alla domanda “non le pesa essere sotto scorta?”, Grasso risponde secco: “Grazie alla scorta si è liberi e non ha senso lamentarsi. Il problema non fu l'assegnazione della scorta, ma quando la sera prima appresi che stavano per uccidermi”.

Arriva infine una frecciata ai media e allo spettacolo: “Tutto il racconto della mafia è sul modello dell'eroe solitario, che da solo si mette contro il mondo. Le esperienze collettive non si conoscono. E certe serie tv offrono solo il punto di vista del delinquente”. Si fatica, spiega l'ex commerciante, ad attirare l'attenzione quando non si racconta la storia del singolo, “per il meccanismo mediatico – e di marketing – secondo cui senza eroe, senza coraggio, non esiste opposizione” mentre per opporsi alla mafia “si può essere anche persone normali”, ribadisce.

 

Le mafie e l'Alto Adige

 

A proposito della terza e ultima domanda, ovvero che ci faccia in Sudtirolo un uomo impegnato nel contrasto alla criminalità organizzata, la risposta è altrettanto netta: “La ricchezza attira, più una realtà è ricca e più è facile riciclare denaro sporco. Perché lì dove gira una montagna di denaro, se in mezzo ci aggiungi il tuo, non si vede”. Bisogna mantenere alta l'attenzione in ogni parte d'Italia, sottolinea Grasso, “cinquant'anni fa si diceva che a Milano e nell'hinterland il fenomeno non avesse una dimensione patologica, ora non è più così”. Inoltre vi è una questione economica: “Una parte d'Italia non contribuisce alla ricchezza del paese come potrebbe – e come altre parti d'Italia fanno. È un problema che riguarda solo il Sud o riguarda tutti noi? È fondamentale capire che la questione meridionale coincide con quella mafiosa, la quale va considerata un problema nostro da Bolzano a Lampedusa. Solo così potremo costringere la politica a interessarsene”.