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Politica | Decreto Fiscale

Cinque Stelle Cadenti

I grillini alla prova del governo nazionale: quando la realtà supera la satira.
Il putiferio mediatico esploso attorno al decreto fiscale del Governo subito dopo il Consiglio dei Ministri del 17 ottobre, quando Luigi di Maio si è presentato nello studio televisivo di Bruno Vespa annunciando la denuncia alla Procura perché “non è possibile che vada al Quirinale un testo manipolato sulla pace fiscale”, ha francamente dell’inverosimile. Il capo politico del Movimento 5 Stelle nonché Vicepresidente del Consiglio nonché Ministro dello Sviluppo Economico, del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha sostenuto che il testo del decreto inviato al Quirinale non corrispondeva a quello concordato in Consiglio dei Ministri, per cui “qualcuno” avrebbe introdotto norme a sua insaputa che prevedevano l’innalzamento del condono dai 100.000 Euro previsti fino a 2,2 milioni, l’introduzione di uno scudo fiscale per i capitali esteri e pure la non punibilità del reato di riciclaggio.
In parole povere, una figura di merda di proporzioni macrocosmiche.
Ora, chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le procedure ministeriali sa che da un Consiglio dei Ministri nessun testo di legge esce nella sua versione definitiva. Trovato un accordo di massima sui punti cardine del provvedimento, i ministri competenti elaborano il testo articolo per articolo per poi inviarlo alla Ragioneria Generale dello Stato, che ha il compito di verificarne la sostenibilità finanziaria e di affinarne i singoli passaggi fino all’ultima virgola. Dopodiché la Ragioneria Generale invia il decreto al Presidente del Consiglio e più precisamente al Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi di Palazzo Chigi. Solo dopo quest’ultimo passaggio il testo viene inviato dal Capo del Governo al Presidente della Repubblica per la promulgazione. Pertanto, nessuna delle bozze che circolavano poche ore dopo il Consiglio dei Ministri poteva corrispondere, come invece affermato da Di Maio, al testo inviato al Quirinale, per il semplice motivo che nessuna bozza viene inviata né al Presidente del Consiglio né successivamente al Capo dello Stato prima di passare al vaglio della Ragioneria Generale e del Dipartimento per gli Affari Giuridici e Legislativi. Non a caso, durante la trasmissione Bruno Vespa gli ha chiesto se aveva capito da quale ufficio il decreto fiscale era arrivato al Quirinale. Risposta: “No, perché questa notizia mi è arrivata un’ora e mezza fa.” E infatti poco dopo Sergio Mattarella avrebbe confermato di non aver ricevuto alcun testo definitivo.
In sintesi, il vicepremier va in televisione ad annunciare la denuncia alla Procura per un testo manipolato inviato al Quirinale, ignorando che nessun testo ufficiale può mai arrivare al Quirinale se non direttamente inviato dal Presidente del Consiglio, di cui lui è il vice. In parole povere, una figura di merda di proporzioni macrocosmiche.


Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le procedure ministeriali sa che da un Consiglio dei Ministri nessun testo di legge esce nella sua versione definitiva
Nel frattempo, dopo un nuovo vertice di maggioranza con Salvini è stata ripristinata la versione originariamente concordata tra i due partiti di maggioranza sulla cosiddetta pace fiscale. Questa prevede 100.000 Euro all’anno di imponibile massimo non dichiarato (calcolato sugli ultimi 5 anni fa mezzo milione) da far emergere con un’aliquota da pagare del 20 %. Naturalmente un condono si può anche chiamare pace fiscale, come si può chiamare un secchio di sterco Arbre Magique agli Agrumi di Capri. Pare però che perfino tra i militanti grillini, che pure avevano approvato il contratto di governo tra M5S e Lega con più del 94 % dei voti, si stiano diffondendo dubbi e malumori. Che a qualcuno stia sorgendo il sospetto che dietro il neologismo suadente e rassicurante di pace fiscale si nasconda un gigantesco merdone?
Per fortuna che a garantire un po’ di autorevolezza alla pattuglia governativa pentastellata ci pensa il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Danilo Toninelli. Dopo aver imboccato il tunnel del Brennero contromano (può capitare a tutti, quanta cattiveria), il Ministro ha precisato di lavorare dalle 16 alle 18 ore al giorno e che sua moglie è preoccupata per lui. Non senza ragione, pare che dopo un convegno a Messina su “Infrastrutture e mescalina”, affacciandosi sullo Stretto sia sbottato: “Dove cazzo è il ponte?”
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Mensch Ärgerdi… Mer, 10/24/2018 - 21:20

Tutto teatro! Di Maio da buon Partenopeo è riuscito a fare il pacco del secolo all'elettorato di mezza Italia! Un ragazzotto dal nulla è riuscito ad agguantare il trono del "nuovo che avanza", al grido di "onestà, onestà, onestà" e di promesse di lotta a corruzione e mafia è arrivato a diventare capo del governo e adesso nella più becera delle tradizioni italianissime regala soldi a destra e manca ai suoi compaesani a suon di debito pubblico, oltre a elargire condoni che neanche il peggior Berlusconi avrebbe avuto il coraggio. Poi i suoi adepti a livello locale fanno delle facce da pesce lesso quando crollano i consensi! Probabilmente ancora non hanno capito di essere stati fregati alla grande.

Mer, 10/24/2018 - 21:20 Collegamento permanente