Roberto Calderoli
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Politica | Avvenne domani

Ghe pensi mi!

Calderoli e la Commissione dei 6

A scompigliare, ma non troppo, le fronde quasi immobili della piccola foresta politica altoatesina è arrivato, negli ultimi giorni, l’annuncio delle nomine effettuate dalla Ministra delle Regioni Mariastella Gelmini che, come consuetudine vuole, ha reintegrato gli organici di spettanza del Governo nelle Commissioni dei sei e dei dodici.

A provocare le reazioni più vivaci è stata la nomina, tra i commissari, del senatore Roberto Calderoli, esponente di spicco della Lega, in predicato, secondo logica, di assumere anche la presidenza dell’organismo incaricato di elaborare le norme di attuazione dell’autonomia altoatesina.

Al netto di tutte le osservazioni che si sono fatte in questi giorni il passaggio politico determinato dalla forzista Gelmini assume qualche carattere di originalità, ma per individuarlo occorre ripercorrere, sia pur brevemente, la vicenda di questo strumento politico, oggetto nel tempo di inestinguibil odio e indomato amor (copy sciur Lisander)

Ai tempi di Alcide

Le Commissioni, ma d’ora in poi ci occuperemo solo di quella dei sei, nascono quasi cinquant’anni fa per adempiere a un compito fondamentale: quello di elaborare e sottoporre al Governo di turno tutte le norme di attuazione necessari per rendere operative le disposizioni del nuovo Statuto. Questo vede la luce nel febbraio del 1972 e le commissioni vengono nominate infatti solo qualche mese più tardi. La prima riunione è fissata per il 6 luglio dello stesso anno. La struttura è abbastanza semplice e si articola su una doppia parità. Tre dei sei membri vengono nominati dal Consiglio provinciale altoatesino e altri sei dal Governo. Potere di nomina, quest’ultimo, che cade in capo alla Presidenza del Consiglio sino a quando, negli anni 80, non viene istituito il Ministero delle Regioni che assorbe e fa propria questa competenza. Alla parità di nomina si somma quella linguistica. A Bolzano, fra i tre nominati, ci deve essere un italiano, mentre a Roma deve nominare anche un tedesco. I commissari, a loro volta, eleggono un Presidente che è stato scelto molto spesso tra i membri di nomina governativa, ritenendosi utile che potesse fungere da raccordo con i superiori livelli politici. In altri casi si è provveduto diversamente, ma male incolse al Cavalier Silvio Berlusconi quando tentò di forzare la prassi attribuendo la nomina al Governo. Fu bocciato, dopo lunga paralisi della Commissione, dalla Consulta.

Dal 1972 al 1994 la Commissione ha avuto una struttura quasi immutabile nel tempo. Alla presidenza è sempre rimasto Alcide Berloffa esponente di punta della sinistra democristiana altoatesina, grande sostenitore del progetto di autonomia voluto da Aldo Moro, raccordo essenziale anche se non sempre ascoltato, tra le proposte discusse e approvate dai commissari e i vari governi che si succedettero in Italia in quei tumultuosi vent’anni. Tra gli altri commissari compaiono sempre, legislatura dopo legislatura, due esponenti di spicco della Südtiroler Volkspartei, scelti oltre che per il peso politico anche per le competenze a livello giuridico amministrativo. Bastino per tutti i nomi di Alfons Benedikter e Roland Riz. Le nomine governative, in molti casi, rispecchiavano più la necessità di fornire alla Commissione quei livelli di competenze e di raccordo con la macchina amministrativa dello Stato che la volontà di far rappresentare le diverse istanze politiche che componevano le maggioranze governative delle varie epoche. Uno dei nomi di alti funzionari che diedero il loro contributo è, ad esempio, quello del Prefetto Elio Gizzi.

La Commissione era dunque il luogo dove le proposte di norma di attuazione che partivano regolarmente dai rappresentanti della minoranza sudtirolese andavano a misurarsi con le valutazioni tecnico giuridiche. A Berloffa il compito di trovare la quadra con i livelli politici superiori e vi furono casi, basti citare solo a titolo di esempio la contestatissima norma sulla sezione altoatesina del Tar e quella ancor più avversata sull’uso della lingua tedesca nei tribunali altoatesini, nei quali questa sintesi politica non fu trovata se non dopo anni di trattative.

Tutto questo, si diceva, sino al 1994, quando, con il passaggio di testimone tra la prima e la seconda Repubblica, tutto sembra cambiare, anche se poi, gattopardescamente, tutto resta come prima.

È da questo momento in poi che le nomine, anche da parte governativa, assumono un più spiccato carattere politico. Non che in precedenza questo non fosse mai avvenuto. Si ricorda, nell’era beloffiana, il caso del socialista Silvio Nicolodi, nominato da Bolzano che si trovò in grandi ambasce durante la furibonda polemica sul censimento linguistico del 1981. Ai socialisti altoatesini che criticavano la norma di attuazione relativa, la DC rispondeva che ad approvarla era stato anche un loro rappresentante, ma questi ribattevano che Nicolodi interpretava il suo mandato come una sorta di missione esclusivamente personale nulla o poco interessandosi delle opinioni dei suoi compagni di partito.

Signori si cambia!

Negli anni più recenti, quindi, abbiamo assistito ad un turbillon di nomine, governative soprattutto, che hanno cambiato la struttura della maiuscola commissione molto più spesso che in passato. Basti pensare che in questa legislatura è la terza volta che un nuovo governo deve procedere a rinominare i suoi rappresentanti nell’organo consultivo sull’autonomia altoatesina. Il governo Conte I, quello tanto per far memoria composto dalla Lega di Salvini e dal Movimento 5Stelle aveva scelto, tra gli altri, due nomi che anche allora avevano fatto discutere, quello del giovane deputato leghista di Bolzano (ma eletto altrove) Filippo Maturi e quello dell’ex deputato ed eurodeputato SVP (nonchè Presidente della Camera di Commercio ed editore) Michl Ebner. Nomina, quest’ultima, che aveva lasciato interdetti molti esponenti della stessa Südtiroler Volkspartei. Un mandato, questo, durato in realtà abbastanza poco perché poche settimane dopo l’assunzione della presidenza da parte di Filippo Maturi il governo era caduto ed era iniziata la parabola del Conte II. Nuovo governo e nuovi membri governativi della Commissione. Questa volta la scelta ministeriale, con il dicastero in mano al PD, cadeva sul legale bolzanino, Luca Crisafulli, indicato dal Movimento, sulla giurista Esther Happacher e sul consigliere ministeriale Antonio Ilacqua indicato anche come presidente.

Solo che nemmeno la seconda esperienza governativa di Giuseppe Conte doveva durare a lungo e si è giunti, con le vicende politiche che tutti ricorderanno, alla caduta di questo governo e alla nascita di quello presieduto da Mario Draghi. Terzo governo e terza tornata di nomine, quella di questi giorni, con il suo strascico di polemiche e di risentimenti.

La scelta di Mariastella

L’aver ripercorso, sia pur per sommi capi, i vari passaggi della vicenda nel corso di questi ultimi cinquant’anni, allo scopo di farci capire se quel che è avvenuto in questi giorni assume veramente un carattere di assoluta novità. La Ministra Gelmini ha nominato, nessuno lo ha contestato, tre esponenti che si rifanno politicamente all’area di centro-destra. Oltre al leghista Calderoli ci sono su decreto di nomina, i nomi del senatore forzista friulano Franco Dal Mas e dell’avvocato meranese di lingua tedesca Lukas Benedetti che, in molti commenti, viene indicato come genericamente appartenente all’area del centrodestra italiano.

Anche se, come detto, negli ultimi tempi era prevalsa l’impostazione di garantire una rappresentanza in commissione alle varie forze di governo, questo, va riconosciuto, non discende da nessuna particolare disposizione e per decenni le nomine sono state fatte con altri criteri.

Un discorso particolare, però, va fatto sul caso di Roberto Calderoli. Va riconosciuto che questa è la prima volta che un esponente politico di rilievo a livello nazionale entra direttamente a far parte della commissione. Si potranno citare, a smentita di questo assunto, il caso, anche recente, di Gianclaudio Bressa, deputato, senatore e sottosegretario del PD, ma il bellunese Bressa, quando prese in mano la maiuscola commissione era reduce da un’intensa frequentazione con la politica altoatesina e da decenni ormai ha in Alto Adige il suo collegio elettorale. Un discorso più o meno eguale si può fare per il forzista Giancarlo Innocenzi che, nel 1994, approda anch’egli alla Commissione ma solo dopo aver lavorato come leader degli azzurri nel Trentino Alto Adige. Calderoli, invece, è il cosiddetto “Papa straniero”. È pur vero che è il massimo referente della lega, sin dai tempi di Umberto Bossi, sulle questioni altoatesine ed è altrettanto vero che nel suo palmares può vantare la paternità di quell’Accordo di Milano che ha spianato la strada all’intesa Bolzano Roma sulla partecipazione delle Province al risanamento del deficit statale, ma la novità resta.

La sua decisione di esporsi in prima persona nel lavoro della Commissione dei 6 assume a questo punto un evidente significato politico e cioè quello di rivendicare alla Lega il ruolo di interlocutore privilegiato dell’autonomia altoatesina, rimarcando ulteriormente l’intesa che si è perfezionata con le alleanze politiche a Bolzano e in Regione. Un’operazione politica nella quale, come confermano le scelte della Ministra Gelmini, pare volersi inserire proficuamente anche una Forza Italia sgravata, salvo sorprese, dall’ingombrante presenza della deputata Biancofiore, considerata come personaggio non grato dalla Südtiroler Volkspartei.

Di fronte a questa manovra non resta che registrare il fatto che, per distrazione, disinteresse o semplicemente per mancanza di un proprio peso politico, le altre componenti che danno vita al governo Draghi, nulla hanno saputo o voluto eccepire. La prova del nove arriverà quando, insediate le Commissioni, nominati i Presidenti si dovrà iniziare a lavorare e sul tavolo arriveranno le bozze di norme abbastanza rilevanti e discusse.  Il lavoro arretrato è abbastanza robusto e il contenzioso tra Bolzano a Roma si nutre ad ogni passaggio politico di nuovi elementi. Infine, sullo sfondo, resta per ora in penombra la Grande Irrisolta, la questione della toponomastica sulla quale sino adesso si sono inutilmente arrovellati i cervelli più fini. Magari Roberto Calderoli pensa di essere proprio lui il predestinato a risolverla.