Società | La convenzione

Violenza sulle donne, la Turchia lascia

Il governo turco abbandona la convenzione di Istanbul. Adottata dal Consiglio d’Europa, la convenzione combatte la violenza contro le donne e la violenza domestica
Violenza contro le donne
Foto: Pixabay

È di questi giorni la notizia che il governo turco ha deciso di abbandonare la convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne. Contestato viene che la convenzione, non permettendo di fare distinzioni sulla base dell’orientamento sessuale, minerebbe la famiglia e promuoverebbe l’omosessualità. La decisione, annunciata dal presidente Erdoğan, ha suscitato ampie contestazioni nel Paese e la protesta dei Paesi europei. Di cosa si tratta?

 

Violenza contro le donne e violenza domestica

 

La convenzione “sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica” – questo il nome ufficiale – è un trattato concluso nel 2011 a Istanbul. Il suo scopo è prevenire e reprimere sia la violenza contro le donne, sia la violenza domestica. Con “violenza domestica” si intende ogni atto di violenza commesso all’interno della famiglia o tra partner (o ex partner), di regola a prescindere se la vittima sia donna o uomo. A differenza della Convenzione ONU del 1979 sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione della donna, che tratta più in generale delle discriminazioni nei confronti delle donne e ha valenza universale, la Convenzione di Istanbul si dedica quindi a contrastare la violenza, tanto fisica quanto psicologica.

 

Una convenzione del Consiglio d’Europa

 

Adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa – la principale organizzazione del continente europeo a tutela dei diritti umani, della democrazia e dello stato di diritto, da non confondere con l’Unione europea –, la convenzione conta al momento 34 Stati parte. Tra questi, Italia, Austria, Svizzera, Germania e, appunto, Turchia. Ognuno dei 47 Stati parte del Consiglio d’Europa può diventarne parte, così come ulteriori Paesi non-europei che dovessero venire invitati. Per diventare vincolanti, questi trattati internazionali devono infatti venire ratificati da uno Stato. Con ciò, un Paese dichiara di voler dare seguito alla convenzione, adottando le norme, misure e strutture a tal fine necessarie.

 

Prevenzione e repressione…

 

La convenzione di Istanbul richiede agli Stati di agire sia in termini preventivi, così da evitare fenomeni di violenza, quanto repressivi, in modo da punirli efficacemente. Da una, gli Stati devono perciò combattere i pregiudizi e i costumi basati su stereotipi o immagini di inferiorità della donna, mettere in atto un’ampia azione educativa e sensibilizzare la popolazione. In termini repressivi, la convenzione richiede agli Stati di sanzionare penalmente otto gravi condotte: violenza psicologica, atti persecutori (stalking), violenza fisica, violenza sessuale, matrimonio forzato, mutilazioni genitali femminili, aborto forzato e sterilizzazione forzata, e le molestie sessuali. Già prima dell’entrata in vigore della convenzione, l’Italia puniva la maggior parte di tali fenomeni, ad esempio tramite il reato di atti persecutori (612-bis del codice penale, introdotto nel 2009).

 

…senza discriminazioni

 

Accanto a ciò, la convenzione richiede – in un eventuale processo per uno degli otto atti di violenza – di non riconoscere alcun valore giuridico all’affermazione che la vittima avrebbe trasgredito “norme o costumi culturali, religiosi, sociali o tradizionali riguardanti un comportamento appropriato”. È, questa, una scusa che spesso si sente invocare: “comportandosi così, se l’è cercata”.  La convenzione richiede pure di proteggere e sostenere le vittime, e intende favorire la relativa cooperazione internazionale (qua una panoramica più dettagliata delle sue disposizioni). Tutto ciò deve avvenire senza alcuna discriminazione. Tra i motivi su cui non è permesso fare differenze, la convenzione cita “sesso, genere, razza, colore, lingua […], orientamento sessuale, identità di genere, età, salute, disabilità”.

 

La decisione di ritirarsi dalla convenzione

 

Col tempo, in certi settori politici della Turchia è cresciuto il malumore nei confronti della convenzione. Come riportato in un comunicato della Presidenza dello Stato, la convenzione sarebbe infatti stata “sequestrata da un gruppo di persone che tentano di normalizzare l'omosessualità – una cosa incompatibile con i valori sociali e familiari della Turchia”. La decisione di Erdoğan è stata criticata pure in quanto, tramite essa, il presidente avrebbe esautorato il potere legislativo. La convenzione era infatti stata ratificata all’unanimità dal parlamento nel 2011; una legge, questa, ora di fatto cassata da un decreto presidenziale.

La Turchia fu il primo Stato a firmare la convenzione, ora è il primo ad abbandonarla. La decisione, già notificata al Consiglio d’Europa, avrà effetto dal primo luglio di quest’anno.