Economia | Finanza

“Il mercato risale, ma la paura resta”

L’analisi di Alex Weissensteiner sullo choc del Covid-19 per finanza ed economia reale. La risposta dei governi e i consigli ai piccoli investitori. “Serve prudenza”.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Stock Market Monitor
Foto: Pexels

salto.bz: Professor Alex Weissensteiner, il Covid-19 è un ciclone che ha avuto su finanza e economia reale un impatto paragonabile a quello della crisi del 2008. Gli esperti sono in grado di quantificarne gli effetti?

Alex Weissensteiner: Abbiamo tutti notato che i mercati finanziari sono scesi in modo clamoroso, anche del 30% rispetto ai valori pre-epidemia, e successivamente però hanno dato segnali di ripresa. Se prendiamo come esempio il Dax, l’indice azionario della Germania, è crollato nel giorno “estremo” del 12 marzo 2020. Ma in generale tutti gli indici azionari dei vari Paesi hanno avuto dinamiche molto simili. Tutto è partito dal lockdown dell’Italia.

 

Il Belpaese al centro delle tensioni finanziarie globali, causa il rapido dilagare dell’epidemia?

Il dilagare del coronavirus in Italia ha segnato uno spartiacque internazionale. Prima, quando si parlava del contagio a Wuhan tutti, compresi gli investitori e gli operatori dei mercati finanziari, pensavano si trattasse di un problema che sarebbe rimasto limitato alla Cina. Poi, tutto è cambiato. Il virus è arrivato in Italia e in quelle settimane l’Oms ha dichiarato la pandemia. È stato chiaro che il fenomeno non si sarebbe fermato e che le sue dimensioni erano già pienamente globali. Un problema europeo e mondiale, questo era palese, non della singola nazione. Queste considerazioni naturalmente hanno generato delle conseguenze nei mercati.

 

Cos’è successo nei momenti più drammatici, attorno alla metà di marzo?

In realtà già alla fine di febbraio i mercati erano preoccupati. L’epidemia in Italia, in Lombardia c’erano i positivi cominciavano a salire. Oggi lo vediamo facilmente leggendo l’andamento degli indici in quelle giornate. Tutti si muovono in modo contemporaneo, le reazioni sono identiche e avvengono nello stesso momento. Le borse europee reagiscono in modo drastico, lo vediamo dal Dax tedesco come dicevo ma anche dal Fitse Mib di Milano, per dirne uno. La volatilità dei mercati aumenta. Il rischio percepito per gli investimenti quadruplica. Gli investitori chiedono infatti una remunerazione più alta e in breve si assiste ad un crollo dei valori azionari del 30%.

 

Allo scoppiare della crisi crollano anche le economie reali nei diversi Paesi e ci sono le prime risposte istituzionali. Il panico però non contagia i governi, è così?

Negli Stati Uniti, dove si parla di un 30% in meno del Pil e di un aumento della disoccupazione fino al 25%, secondo stime della Federal reserve, la banca centrale americana, la stessa Fed ha lanciato un piano molto sostanzioso per sostenere l’economia. Mobilitando qualcosa come tremila miliardi di dollari. Ci sono poi le risposte nei Paesi europei: l’obiettivo sottostante è aiutare sia le famiglie che le piccole e medie imprese, poi però serve anche un programma di congiuntura per la seconda fase del virus.

 

Le modalità di intervento che abbiamo visto già in parte attuate sono molte.

Prendendo il contesto continentale, l’Europa si è mossa varando le misure fondamentali, che sono in una prima fase garantire liquidità alle imprese e sostenere i lavoratori, oltre che agire attraverso la cassa integrazione. Ci sono poi le regole per il lavoro, vedi la normativa per poter o non poter licenziare i dipendenti. Riguardo alle aziende si va dai contributi a fondo perduto alle garanzie per fidi e prestiti. Stati e enti locali, vediamo la Provincia di Bolzano, garantiscono per i prestiti. Ancora, altre misure che vediamo messe in campo sono il posticipo di tasse e tributi, ad esempio l’Irap, e il saldo tempestivo dei debiti dell’amministrazione pubblica.

 

In Europa si è aperto un dibattito complesso per trovare una risposta comune per sostenere la ripresa. Quello che è previsto è sufficiente a suo parere?

Sicuramente quello che ci vuole in un secondo passo sono programmi che aiutano al di là di questi interventi alle singole aziende o ai lavoratori. Intendo un programma di congiuntura che aiuti tutta l’economia a riprendersi. Progetti di infrastrutture, edifici pubblici, scuole, viabilità, risanamento energetico, ciclabilità a cui possono partecipare le piccole e medie imprese- un programma con certi criteri ed effetti benefici su tutto il territorio, sia nelle periferie che nelle città. Un grande piano di domanda pubblica per le Pmi che in Alto Adige e in Italia sono tantissime.

 

Come giudica la situazione attuale?

Si vede che i valori si sono in parte già ripresi e che sono stati colpiti a livello finanziario anche Paesi in cui l’impatto della pandemia è stato limitato, vedi il Giappone. Pur avendo avuto un calo tremendo, pare di capire, Germania e Usa si stanno riprendendo in modo più rapido dell’Italia, che aveva problemi strutturali prima di entrare nella crisi.

 

La parola tempo diviene fondamentale. Quanto durerà questa crisi?

In questo concetto c’è la differenza sostanziale tra la crisi finanziaria del 2008 e quella attuale. Nella prima il colpevole era chiaro: una cattiva gestione del mercato finanziario, che ha prodotto il crollo dei valori capace di contagiare le economie reali e di mettere in difficoltà i governi, con lo spread che nell’estate 2012 come ricordiamo schizza in alto per Portogallo, Grecia e Italia e si arriva al Whatever it takes attraverso cui Mario Draghi salva l’euro. Ora la ragione del crollo è biologica. Le aziende erano sane a livello economico prima dell’epidemia, è il virus che ha stravolto la nostra vita. Quello che occorre fare adesso con il social distancing nella riapertura è guadagnare tempo, dando ossigeno all’economia mentre si aspetta il vaccino o l’immunizzazione naturale e si tiene basso il picco per permettere la risposta sanitaria. La domanda ancora non ha risposta, però il problema delle malattie è vecchio quanto l’uomo, le malattie accompagnano da sempre la storia dell’umanità.

 

La Fase 2 è stata necessaria per non far morire del tutto l’economia?

A mio parere sì. Lo scenario che si è aperto indica che le misure attuali di sostegno sono molto importanti, però vanno accompagnate. Il ritorno in attività di aziende e fabbriche è essenziale, è una necessità. Non abbiamo la capacità come sistema economica di aspettare a casa fino a quando si trova un vaccino. Non abbiamo le risorse. Dunque è giusto far ripartire economia con le dovute precauzioni. Un’altra scelta non esiste. Altrimenti disoccupazione, povertà, uguaglianza avrebbero conseguenze eccessivamente per tutti in un secondo momento.

 

La finanza sta reagendo bene alla fase post-emergenza?

Adesso sorgono molti studi accademici in diverse direzioni per rispondere a questo quesito. Si basano sulle stime per il Pil e sull’andamento dei dividendi nel mercato azionario in cui la volatilità ancora molto alta. Si avverte che le dinamiche in atto sono influenzate dalle sensazioni: il picco, dice questa percezione diffusa, è mitigato ma il problema sanitario del coronavirus non è risolto. Il mercato azionario assorbe e prezza tutte queste incertezze. Avremo un secondo picco in autunno? Un altro lockdown? Domande che si avvertono nell’andamento delle transazioni finanziarie.

 

Che consiglio dà ai piccoli investitori che si trovano con il valore dei titoli in profondo rosso?

Attualmente non è il caso per nessuno di vendere le azioni, scese del 30%. La regola è mantenersi sempre prudenti, in grado di aspettare specialmente quando si parla di investimenti a medio-lungo termine. Ora non è consigliabile vendere, ma tenere i titoli nel portafogli guardando ai prossimi sviluppi.