Società | La statua a Chenot

Un monumento "di classe"

In effetti sentivamo la mancanza di un monumento all’ennesimo uomo bianco capitalista, imprenditore del benessere per ricchissimi.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: Foto Alto Adige

L’Alto Adige del 26.03.2022 ci racconta che a Henry Chenot, imprenditore della salute ultralusso a sola portata di miliardario, è stata dedicata a Merano una statua, “posta su un terreno di proprietà di Karl Zeller, ex parlamentare Svp, che ha curato personalmente l’installazione resa possibile grazie ad un elicottero”. A Chenot, che ha portato a Merano clientela “qualificata e di prestigio” (leggi miliardari, come se qualità e prestigio fossero una emanazione del denaro), il sindaco ha riconosciuto la cittadinanza onoraria. E il prete ha benedetto statua e cerimonia.

In questo quadro imprenditoria, politica e religione fanno cortociruito e smascherano i veri significati sociali e culturali di questa operazione pubblica.   

Il monumento a Chenot infatti non è solo il monumento all’ennesimo uomo ricco e bianco: è un monumento a un’idea, il classismo, qui declinato nel concetto di salute e benessere fatto di cure detox ed estetiche che ti puoi permettere solo se hai (tantissimi) soldi.

Chenot è ricordato come una persona che “ha avuto il grande merito di occuparsi della salute del prossimo” e che “si è sempre battuta per gli altri, per farli stare bene”. Nessun dubbio che Chenot si prendesse molta cura dei suoi clienti paganti, ma (lo chiediamo anche al prete presente alla cerimonia) possiamo definire “gli altri” o “il prossimo” una infinitesimale percentuale mondiale di persone (miliardari del calibro di Maradona, Madonna, Pavarotti, Agnelli) che potevano permettersi i costi delle sue “idee innovative nel campo della salute”?

Se facciamo un monumento al guru detox perché fa stare bene il suo prossimo (cliente miliardario, un simile della sua classe) cosa dovremmo fare a Gino Strada per esempio, che con la Emergency da lui fondata ha curato gratuitamente 12 milioni di persone nelle zone più disastrate del globo, senza discriminazioni? O cosa dovremmo fare per la dottoressa Monika Hauser fondatrice di Medica Mondiale, che da sempre lavora con donne vittime di stupro e traumi di guerra?

Le donne, soprattutto quelle razzializzate, costituiscono la base su cui le società costruiscono il loro benessere. Specie nei settori alberghiero, sanitario, di cura alla persona e del wellness, le donne rappresentano la maggioranza del personale occupato ma vengono spesso invisibilizzate, ricevono salari non adeguati al carico di lavoro e sono esposte a violenza anche sessuale: perché non dare a queste donne dignità e diritti e dedicare un monumento pubblico a loro, che lavorano in settori peraltro così cruciali per la provincia di Bolzano?  

Il monumento a Chenot è posto su un terreno privato, ma di fatto occupa lo spazio visivo pubblico delle passeggiate, per raccogliere l’ammirazione di tutt* quell* che dovrebbero vedere in lui un modello di realizzazione personale. In realtà stiamo guardando l'ennesimo monumento di quello che la società neoliberista considera come essere umano degno di emulazione: un maschio bianco, che fa un sacco di soldi con un’impresa classista ed elitaria.

Il rappresentanti di imprenditoria, politica e religione che hanno presieduto questa vera e propria liturgia capitalista sono gli stessi che poi parlano di “cura del prossimo” e “giustizia” e “politiche di inclusione” dai rispettivi pulpiti. Il capitalismo, specie nella sua versione neoliberista, non è solo un programma economico ma un dispositivo culturale che costruisce persone con precise aspirazioni e rappresentazioni collettive e del sé. Bisogna denunciare questa retorica e smascherare il vero messaggio che eventi come la posa della statua di un imprenditore del lusso ci stanno dando: i soldi danno potere e rispetto. Agli uomini.