Società | Bolzano

"Die Schutzbefohlenen": al teatro e nella realtà

Richiedenti protezione internazionale per strada. A dicembre la risposta "umanitaria": più posti notturni. Le persone, invece, avrebbero diritto all'accoglienza.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.

“A casa”. Sottotitolava così l'articolo “L'altra faccia della Bolzano prenatalizia: richiedenti di protezione internazionale per strada”, pubblicato a dicembre. Un signore mi aveva ospitato a “casa sua” per prendere un tè: seduti davanti a un fuoco, mi diceva che qui si sentiva quasi come a casa sua, nel lontano Afghanistan. Ma non eravamo in Afghanistan, eravamo a Bolzano. La sua “casa” qui: una baracca improvvisata, niente servizi igienici, niente acqua corrente, nel gelo invernale. In una situazione analoga alla sua, tante altre persone: richiedenti protezione internazionale, che dopo aver fatto domanda in Questura di Bolzano, si sono trovati in una “lista d’attesa” prima di poter accedere all'accoglienza. Tempi d’attesa - previsti dei mesi - trascorsi in strada. Qualcuno ha tentato di spostarsi in altre città italiane, ma è stato rimandato qui. [Si veda l'articolo precedente].


La risposta

Poco prima di Natale, è arrivata finalmente la risposta a livello locale da parte della politica: si è deciso di aumentare i posti del servizio “emergenza freddo”, che di notte nei mesi invernali accoglie a Bolzano le persone senza tetto. Una risposta positiva e necessaria nell'immediato, però attenzione: anche una mossa strategica perfetta, perché questa risposta “umanitaria” sembra essere riuscita a mascherare il fatto che si tratta in gran parte di persone, che non dovrebbero neanche aver bisogno di una simile risposta umanitaria di accoglienza notturna, poiché si tratta di richiedenti protezione internazionale che hanno il diritto di essere accolti in centri di accoglienza per richiedenti asilo (*). Un diritto, loro tuttora negato.


La vecchia “casa” che non c'è più e le sfide quotidiane

Adesso, durante la notte, gli uomini sono protetti dal freddo. Dormono in 90 in un centro con 5 gabinetti e con 2 docce aperte per due ore ogni sera. Ogni mattina, ore 6:30, si devono svegliare e lasciare il centro notturno dopo la colazione. Alle 8 si ritrovano di nuovo e per l'intera giornata in strada. Anche la “casa” del signore di cui sopra, dove lui e gli altri cucinavano anche per pranzo, non esiste più. È stata sgomberata proprio la mattina dopo l'apertura dei nuovi posti d'emergenza freddo. Ora queste persone cercano di arrangiarsi, si trovano e occupano nuovi posti (sempre all'aperto) durante le ore di giorno, dai quali però continuano ad essere sgomberati. Giorno dopo giorno crescono in loro la fame, il gelo e la disperazione per la situazione in cui si trovano. Condizioni “ottimali”, se si vogliono provocare dei conflitti.

Così è successo l'altro giorno, quando mi son trovata a intervenire tra due “senza tetto”, che si erano messi a litigare per un sacco a pelo. Io, come avverto spesso i miei amici, quando ho fame - ma questa condizione, diciamocelo, non la conosciamo più - e soprattutto quando ho freddo, posso cambiare volto e diventare cattiva. Posso quindi capire che qualcuno, in una tale situazione, possa “sclerare”. Va detto che esiste anche un protocollo a livello locale, che prevede pure la figura del “richiedente protezione internazionale senza tetto”: previsti due pasti al giorno. Colazione e cena? Non è che da noi manca il supporto per il pranzo? Abbiamo a che fare con persone indigenti, qualcuno dei più fortunati si fa mandare soldi dai famigliari in Afghanistan o in Pakistan, i paesi di origine da cui sono dovuti scappare. I famigliari sono increduli nel sapere che si possa rischiar di morir di fame e di freddo in Italia. Gli altri, quelli che non possono contare sull’aiuto dei loro cari, si devono arrangiare. Condividono il cibo e qualcosa è arrivato loro anche grazie all'aiuto di cittadini a Bolzano, chiamati in causa da questa situazione incredibile. Il problema è che per ora non ci sono posti dove poter cucinare in regola, e posti al coperto dove passare la giornata. Quindi, di nuovo: un forte appello umanitario e, soprattutto,  un appello al diritto all'accoglienza tuttora negato.


La preghiera

Chiudo, con la preghiera tratta da Jelinek's “Die Schutzbefohlenen”. Un’opera teatrale che le Vereinigten Bühnen Bozen (vbb) hanno messo in scena nelle scorse settimane proprio a Bolzano. Quando il diritto – il nostro quadro giuridico – non è altro che un pezzo di carta, rimane solo l'appello a una giustizia maggiore. Dentro, sul palco delle vbb coperto per lo spettacolo di acqua gelida, gli attori sono in piedi e a volte per terra nell'acqua. Fuori, in mezzo alla neve e al freddo inverno oppure al coperto della moschea dove passano ore in preghiera, i richiedenti protezione internazionale senza accoglienza a Bolzano. Sul palco del teatro il coro ripete:

“O droben ihr Himmlischen [...]. Ihr sagt uns einmal dies, und dann sagt ihr uns das, und nichts können wir gerecht werden, doch gerecht seid ihr ja auch nicht, ihr Engel plus du, lieber Himmelvater. Was sollen wir machen gegen euch?, ihr dürft alles, ihr könnt alles”.

A fine spettacolo il destinatario della preghiera di Jelinek, premio nobel per la letteratura nel 2004, viene chiamato con il nome. 

"Und was sagt Europa?"

L'“Europa” è anche ognuno di noi.

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(*) In Italia il Decreto Legislativo 142/2015 recepisce la normativa europea in materia di accoglienza per richiedenti protezione internazionale. L' articolo 2 prescrive che “[l]e misure di accoglienza di cui al presente decreto si applicano dal momento della manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale”. 

A Bolzano la lista di attesa (gennaio 2016) contiene i nomi di oltre 200 persone. Tra il momento della manifestazione della volontà di chiedere protezione internazionale e l'accesso alle misure di accoglienza, potrebbero trascorrere 10 o più mesi. Insomma, potrebbe verificarsi il caso che i richiedenti protezione ricevano dalla Commissione Territoriale il risultato della loro domanda, senza che loro abbiano mai potuto accedere alle misure di accoglienza.

Monika Weissensteiner,  Alexander Langer Stiftung