Politik | Fantasmi del passato

Bolzano città fascista?

Patetiche "operazioni nostalgia", edulcorate rivisitazioni del Ventennio e celebrazioni dei monumenti nazionalisti: perché a Bolzano il fascismo non passa mai di moda?

Ogni anno che passa rende sempre più insopportabili le commemorazioni intonate ipocritamente al ricordo di “tutti i caduti”. Non è infatti possibile ricordare “tutti i caduti” il giorno in cui viene contemporaneamente celebrata una “vittoria militare” che, per ovvi motivi, significa anche la “sconfitta” della parte avversa. In questo senso, chi ancora continua a nascondersi dietro il paravento di concetti come “onore” o “testimonianza” lo fa soltanto per uno scopo: rimpiazzare il vuoto di valori inerenti la propria identità nazionale cercando di sfruttare il materiale infiammabile di una memoria incondivisibile.

Particolarmente intollerabile, a questo proposito, risulta la scelta di luoghi, come il Monumento alla Vittoria di Bolzano o quello dell'Alpino di Brunico, che non solo rappresentano due dei simboli più urticanti di tale memoria divisa, ma non sono neppure disgiungibili da un'esplicita celebrazione della dittatura fascista che li ha posti in essere. Almeno nel primo caso si poteva sperare che il restauro dell'edificio piacentiniano, e la sua nuova (meritoria) definizione museale, convincessero anche i più recidivi tra i nostalgici. Se non è andata così il motivo è semplice: non esistono altri riferimenti patriottici in grado di sostituire il feticcio a lungo strumentalizzato. Basta poi che una inserviente – com'è accaduto – faccia pulizia e getti nella pattumiera gli omaggi floreali, ed ecco che subito si levano lamenti indignati e si invocano punizioni esemplari per la “traditrice della patria”.

Ma davvero si tratta solo di pochi e insignificanti nostalgici? Girando per la rete si ottiene un responso diverso. Sulla pagina Facebook intitolata “Sei di Bolzano se...”, un tizio ha per esempio postato una vecchia immagine di Piazza Vittoria gremita di soldati. Subito sono spuntati commenti di questo tenore:

Io lo ricordo così: emozionante! … Era bellissimo, ma sono riusciti a rovinare anche questo... Era bellissimo vedere la sfilata, abitando poi in Corso Italia ancora di più! … Quando si era italiani... Mi ricordo le sfilate in Corso Italia con truppe e carri armati e noi bocia a guardare con la ganassa aperta... Adesso non fanno neanche più il servizio militare...

A chi fa notare (l'ho fatto ovviamente io) che tali manifestazioni erano l'espressione di un orrendo spirito colonialista, viene suggerito di “ammazzarsi”.

In tempi (come i nostri) in cui il vuoto di progettualità politica si allarga in modo preoccupante, i rigurgiti di un passato incompreso o negato aprono spiragli ai peggiori miasmi ideologici. Ma non basta limitarsi a denunciarlo, bisogna riuscire a contrastare il fenomeno prima che si giunga a una totale bancarotta istituzionale e civile.

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Alberto Stenico Fr., 06.11.2015 - 14:57

Durante il Fascismo (e grazie alla sua politica) sono state create in Alto Adige tutte le Istituzioni che hanno dato luogo all'immigrazione italiana: fabbriche, caserme, scuole, uffici, strutture culturali, Chiese, grandi cantieri per opere pubbliche. Case popolari, alloggi pubblici. Quasi tutti noi altoatesini (o i nostri genitori) abbiamo legami economici, culturali, affettivi con quel periodo storico. Il Fascismo, che ha cercato di annientare e distruggere la cultura tedesca, ha dato il massimo sostegno a quella italiana (come la intendeva lui). Ha scritto l'inizio della storia del gruppo italiano in provincia di Bolzano. Cerchiamo ancora e con fatica di scriverne un'altra, di storia.

Fr., 06.11.2015 - 14:57 Permalink
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Gabriele Di Luca Fr., 06.11.2015 - 15:40

Antwort auf von Alberto Stenico

Considerando che il fascismo è "caduto" nel 1943, diciamo che sono trascorsi 72 anni. Possiamo parlare dunque di una elaborazione del lutto particolarmente lenta... E se consideriamo che alle recenti elezioni comunali a Bolzano è stato persino eletto un rappresentante di CasaPound (fascisti del terzo millennio), viene abbastanza da ridere.

Fr., 06.11.2015 - 15:40 Permalink
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Klaus Hartmann Fr., 06.11.2015 - 16:28

SABATO 7 NOVEMBRE *** PARCO PREMSTALLER
H 14.00 ** MICROFONO APERTO ** SHOWCASE HIP-HOP

I Piani di Bolzano sono un quartiere che versa in stato d’abbandono da decenni.
Nonostante la posizione piuttosto centrale in cui si trova, è un quartiere che si caratterizza come “periferia povera del centro”, dove gli affitti e i prezzi delle case sono più accessibili a proletari
vecchi e nuovi. In questo contesto si inserisce prepotentemente il piano di gentrificazione che trova nel progetto Benko l’esempio più lampante. La centralissima area commerciale , infatti, non farebbe altro che allontanare nuovamente la vita cittadina dai quartieri in nome del profitto.
È in quest’ottica di ghettizzazione che nel 2011 viene aperto proprio qui il centro d’accoglienza per migranti Ex Gorio, oggi gestito da Volontarius, il quale verte in pessime condizioni.
Le persone che vi risiedono sono in attesa di documenti, una procedura che può durare anche degli anni, durante i quali non è legalmente possibile né lavorare, né prendere residenza altrove.
La presenza del centro e di chi lo abita è stata recentemente additata come la causa del degrado del quartiere dai fascisti di Casa Pound, che con beceri slogan populisti, identificano
nella presenza degli stranieri la causa del deterioramento dell’area dei Piani e la minaccia per la sicurezza dei residenti.
Il quartiere invece si trova in uno stato d’abbandono totale a causa del completo disinteresse da parte della città e delle istituzioni fin da prima che fosse aperto il centro d’accoglienza.
Sono però gli stessi esponenti di Casa Pound, che votando a favore del progetto Benko, favoriscono l’arricchimento del centro città a discapito delle periferie, che in modo ipocrita
rivendicano e difendono.

SABATO 7 NOVEMBRE, AL PARCO PREMSTALLER, SI TERRÀ UN EVENTO PER IL QUARTIERE, ALL’INSEGNA DELL’INTEGRAZIONE E DELLA DISCUSSIONE, CON L’OBIETTIVO DI VIVERLO CON CHI VI ABITA.

Fr., 06.11.2015 - 16:28 Permalink
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Alfonse Zanardi Fr., 06.11.2015 - 21:51

Wenn man die politische Bühne betrachtet muss man die Frage wohl bejahen. Zumindest gibt es in Bozen scheinbar ein "ewiges" faschistisches "Feuer" das nicht zum Erlöschen kommt.

Aber ist das ein Wunder?

Bozen ist die bis heute sichtbare Manifestation einer kulturell-demographischen Manipulation: dem Versuch durch Zuwanderung die politischen Verhältnisse zu modifizieren und im Zuge dessen eine neue Stadt zu erschaffen.
Ich vermute dass diese Mission sich über viele Generationen im "DNA" von Teilen der "neuen" Bevölkerung erhalten hat.
Wegen der scharfen ethnischen Trennung (Zelger) konnten auch die unbelasteten Nachkriegskinder der Städte kaum die unsichtbare Mauer überwinden, zumindest nicht bis vor kurzem.
Durch die faktische Umkehrung der Machtverhältnisse unter dem sog. Landesluis (Disagio) und das vertrottelte Dauerfeuer der ländlichen, deutschsprachigen Rechten können diese vollkommen unangebrachten "Routinen" bis heute ständig neu aufgerufen werden.
Es ist ein Perpetuum Mobile: die Geisteshaltung die ein neues Bozen erschaffen wollte produziert für sich ständig neu den Vorwand die ihre Weiterexistenz jenseits jeder Realität begründet.
Aber ist das nicht die Essenz von Faschismus: unbeirrbar, dogmatisch, gegen jede Rationalität, ohne Diskurs und Widerspruch, in eine einzige, nachweislich falsche, Richtung zu stürmen?

Fr., 06.11.2015 - 21:51 Permalink
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Palaia Renato So., 08.11.2015 - 14:12

Penso che Bolzano, in quanto città a prevalenza italiana, abbia sofferto in maniera vittimistica l'introduzione del pacchetto di autonomia e gli obblighi connessi, quali patentino di bilinguismo e proporzionale. Non pochi italiani "tosti" hanno iniziato il lamento "ma qui siamo in Italia", considerando del tutto illegittimo il principio secondo il quale la convivenza avrebbe comportato un impegno da parte di entrambi i gruppi etnici. Un esempio chiaro di reazione nazionalistica si è avuto quando l'ex sindaco Salghetti ha "osato" denominare piazza Vittoria con il più accettabile "piazza della concordia", con l'ingenua intenzione di cancellare alcuni ricordi evidenti di una guerra combattuta su fronti opposti da italiani e sudtirolesi, con la sconfitta finale di questi ultimi. Il fuoco nazionalista ha continuato a bruciare sotto le ceneri, trovando poi facile terreno per riemergere con l'avvento al potere nazionale di Alleanza Nazionale assieme a Berlusconi. In quella coincidenza la manifestazione esplicita del pensiero fascista è stata del tutto sdoganata, in barba alle leggi di divieto in materia. Che abbia contribuito l'abbassamento del livello culturale e la scarsa conoscenza della storia, sta di fatto che i giovani (vedi casa Paund) hanno ritenuto di proporsi con immagini e canti inneggianti al Duce. La scuola è l'unico strumento in grado di invertire questa pericolosa deriva fascista, purchè gli insegnanti si facciano carico del problema. Le famiglie da questo punto di vista o si sentono impotenti oppure rimangono indifferenti.

So., 08.11.2015 - 14:12 Permalink
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pinaz cinquantasette Mo., 09.11.2015 - 17:32

Dopo aver tuonato dalle pagine di Salto contro le insopportabili commemorazioni di vittorie militari del quattro novembre, che nascondono il vuoto di valori dei bolzanini, Gabriele Di Luca capì che non poteva più vivere tra nostalgici fascisti e nazionalisti recidivi e decise perciò di trasferirsi. Scartò da subito le altre città italiane, perché giudicava che anche tutti gli altri italiani fossero ammorbati da nostalgie fasciste: del resto cosa aspettarsi da chi, per anni, aveva votato Berlusconi e ora andava in piazza ad applaudire Salvini?
Dopo una breve riflessione decise per la Francia, patria della libertà, con una lunga tradizione di amore per la rivoluzione e di internazionalismo. Che diamine, avevano persino protetto il povero Cesare Battisti – ingiustamente accusato di terrorismo dai reazionari italiani – per farlo fuggire in Brasile! In due giorni era pronto e partì per Parigi. Mentre il taxi lo portava al suo albergo, tuttavia, fu colpito dal grande numero di bandiere che sventolavano sui palazzi pubblici e si rese conto che molti dei viali che stava percorrendo erano intestati a generali napoleonici, cioè a massacratori di soldati e di civili proletari in nome dell’imperialismo.
Di Luca rifletteva su quest’aspetto della cultura francese (è un uomo colto e quindi riflette spesso e volentieri) che forse aveva sottovalutato, quando improvvisamente si trovò di fronte all’Arc de Triomphe. Con un brutto presagio nella mente, controvoglia, chiese al tassista cosa celebrasse quel monumento e questi gli rispose, con un certo orgoglio, che celebrava le vittorie di Napoleone. Di Luca fu colto da un certo disagio, che divenne disperazione quando – essendo le 18.30 – dovette suo malgrado assistere alla cerimonia con cui, ogni sera, dei volontari ravvivano la fiamma che arde sotto l’arco. Ma come, la Francia celebrava ancora il peggior guerrafondaio e imperialista della storia moderna!
Seduta stante, Di Luca decise di lasciare la Francia e di andarsene in Spagna. È noto a tutti, infatti, che la Spagna è terra libertaria e di grande apertura culturale. Arrivò a Barcellona, dove aveva prenotato un albergo in Placa de les Glories Catalanes e così si rese conto che la piazza celebra battaglie e gloriose vittorie dei catalani. Deluso, lasciò Barcellona per Madrid, ma scoprì che infinite strade, piazze e monumenti celebravano i Reyes Catolicos (intolleranti persecutori di musulmani e fondatori dell’inquisizione) e i loro successori: colonialisti, sfruttatori e responsabili del genocidio degli indios (per non parlare della Valle de Los Caidos, dove ancora si ricorda Francisco Franco!).
Con un rapido controllo sul suo smartphone (Di Luca è anche moderno e sa usare ogni nuova tecnologia), scoprì che anche in Portogallo abbondano i monumenti celebrativi del passato coloniale, alcuni addirittura costruiti dal fascista Salazar e quindi si risparmiò un viaggio.
Dopo un sera di riflessione Di Luca capì: ma certo, l’errore era stato indirizzarsi verso i paesi latini, estremisti, nostalgici e – sotto sotto – reazionari! Molto meglio l’Inghilterra, patria della democrazia moderna, dalla Magna Charta alla monarchia costituzionale, così il mattino dopo partì subito per Londra….
Purtroppo, neanche lì andò bene: prima rimase scioccato dalla vista della colonna di Nelson a Trafalgar Square, omaggio a colui che, tra l’altro, aveva represso nel sangue la repubblica napoletana impiccando i rivoluzionari agli alberi della sua nave e poi scoprì di essere alloggiato in Kirchener Street, via intitolata al generale responsabile di massacri di civili nella guerra anglo-boera e inventore – molto prima dei nazisti – dei campi di concentramento, dove morirono di fame quasi trentamila bambini.
Dove andare allora? Provò in Belgio, per scoprire che il re Leopoldo II°, massacratore del Congo (dove avvennero le peggiori atrocità, raccontate da Joseph Conrad in “Cuore di tenebra”), è ancora ricordato e celebrato con molti monumenti (in uno dei quali ha un bambino nero ai suoi piedi) ed esiste ancora il Museo Reale Coloniale.
Provò in Olanda, dove scoprì che ancora si celebra il passato coloniale, i cui ultimi crimini risalgono alla guerra d’indipendenza dell’Indonesia nel 1945-49.
Provò in Germania, ma fu annichilito dalla scoperta che a Coblenza sul “Deutsches Eck” una statua alta 37 metri (!) celebra l’imperatore Guglielmo I°, reazionario, guerrafondaio e massacratore dei compagni della Comune di Parigi.
Sfiduciato, si trasferì in Austria, dove però incappò subito nel monumento al maresciallo Radetzky, fedele braccio armato dei reazionari regnanti asburgici e repressore di ogni velleità democratica o liberale e si rese conto – con orrore – che ogni piazza o viale era ornato da monumenti che celebravano vittorie, guerre e generali.
Di Luca vagava ora senza meta per le vie di Vienna e – sfortunatamente per lui – giunse in via Julius Jacob von Haynau. Con un triste presentimento nel cuore, estrasse il suo smartphone, per sapere chi era l’uomo che questa via celebrava e il cui nome già suonava sinistro.
La risposta fu tremenda: il generale von Haynau era la “iena di Brescia”, l’uomo che, durante le dieci giornate di rivolta del 1848, per liberare le strade dalle barricate dei patrioti italiani, le incendiava con un metodo originale. Bastava catturare dei civili, inzupparli nella trementina , dare loro fuoco e spingerli con le baionette, mentre impazziti di dolore bruciavano vivi, contro le barricate stesse. Quello stesso Haynau che, dopo avere devastato e saccheggiato Brescia, si trasferì a Budapest a impiccare rivoluzionari e poi a reprimere i democratici in Romania.
Era troppo per Di Luca, a quel punto la sua mente cedette del tutto e l’uomo sparì nella notte, urlando. Dove viva oggi nessuno lo sa, anche se alcuni raccontano di averlo visto vagare di notte nelle città europee gridando: “Fascisti, siete tutti dei fascisti!!!”

Mo., 09.11.2015 - 17:32 Permalink
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pinaz cinquantasette Di., 10.11.2015 - 11:32

Antwort auf von Gabriele Di Luca

Buongiorno e grazie della sua risposta, che merita a sua volta che io passi dallo scherzo a un tono più serio.
Sono certo che lei non abbia bisogno di trasferirsi per sapere che tutti i popoli e tutte le nazioni celebrano le loro vittorie e i loro eroi e parlano malvolentieri delle loro sconfitte, ma proprio il fatto che questo comportamento sia così generalizzato dovrebbe farla riflettere che non si può liquidarlo come "stupidità e nazionalismo".
In realtà il desiderio di vittoria e il dolore per la sconfitta sono tra i più profondi e persistenti sentimenti dell'essere umano, risalgono alla preistoria, sono genetici (e ovviamente colpiscono più l'uomo cacciatore che la donna riproduttrice). Perdere la preda in una battuta di caccia o un battaglia con la tribù rivale significava la morte e dunque una vittoria andava celebrata, dando onore a chi ne aveva il merito e ricordandolo nei decenni perché fosse d'esempio alle future generazioni.
Del resto, anche oggi, nei paesi che hanno la fortuna di vivere in pace, si riversano nello sport gli istinti che una volta si scatenavano nelle guerre. Le dice niente la diatriba che sta opponendo in questi giorni due popoli tradizionalmente amici come gli italiani e gli spagnoli per via di Valentino Rossi e Marc Marquez? Italiani e spagnoli sono improvvisamente diventati nazionalisti?
L'amore di molti bolzanini per il monumento alla Vittoria non è né fascismo né stupidità, ma può essere assimilato al "paradosso Lynyrd Skynyrd" (spero lei ami come me il rock americano), che scrissero "Sweet Old Alabama" in risposta a una canzone di Neil Young ("Alabama") che accusava - non a torto - l'Alabama di essere la culla del razzismo e che sul palco esibivano una bandiera confederata.
Erano fascisti? Tutt'altro erano dei fricchettoni, considerati dalla polizia drogati e sovversivi.
Erano razzisti? Macché, non erano neppure dell'Alabama e incidevano a Muscle Shoals con una moltitudine di musicisti neri, che non ebbe nulla in contrario a collaborare con loro.
E allora perchè Sweet Old Alabama? Perchè erano del sud e avevano capito che la cultura di un popolo è fatta di cose giuste e sbagliate, di ricordi buoni e cattivi e che bisogna dare tempo al tempo per digerire certe questioni.
I Romani hanno creato il diritto, il parlamento, la politica ma erano anche guerrafondai, imperialisti e schiavisti: dobbiamo idolatrarli per gli aspetti positivi? odiarli per quelli negativi? vergognarci di essere i loro eredi? o semplicemente accettarli com'erano, figli del loro tempo?
Vede Di Luca, quando sento mitizzare Andeas Hofer (che io giudico uomo coraggioso, ma anche un clericale reazionario) o sento descrivere l'impero Austro-Ungarico come un paradiso di tolleranza, democrazia e buona amministrazione (delle tre è vera solo l'ultima e anche quella solo in parte) provo un senso di fastidio, così come quando vedo sfilare uomini in costume con tanto di schioppo (non amo le armi, se esibite da chi non fa parte delle forze dell'ordine).
Ciononostante non critico gli Schutzen quando sfilano, non chiedo che vengano rimosse le statue che ricordano gli Asburgo, non protesto perché ci sono strade intitolate a personaggi che - agli occhi di un italiano - hanno una pessima reputazione: perché mi rendo perfettamente conto dei motivi che inducono una piccola comunità a cercare conforto e sicurezza in miti e simboli che fanno parte della loro cultura.
Credo che la stessa tolleranza, anche verbale, dovrebbe essere riservata anche agli italiani di Bolzano, minoranza di una minoranza, senza tacciarli di beceri comportamenti nazionalisti.
Non le viene il dubbio di essere lei quello un po' intollerante?
Ricambio il caro saluto.

Di., 10.11.2015 - 11:32 Permalink
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Gabriele Di Luca Di., 10.11.2015 - 12:52

Antwort auf von pinaz cinquantasette

Le rispondo partendo dal fondo. Non solo mi viene il dubbio (di essere un po'intollerante), ma ne ho la piena certezza. Ma ovviamente occorre specificare natura e misura di una tale intolleranza. Io provo un fastidio generico per ogni rivendicazione di stampo nazionalistico e me ne distanzio anche quando ne sono vittima (durante una partita di calcio della nazionale, per esempio, che seguo e tifo in conseguenza di un condizionamento sociale del quale sono consapevole, ma che non posso ovviamente difendere in sede critica). Questo mi ha sempre portato a collocarmi, più che da una parte o dall'altra, sugli interstizi (spesso assai stretti e scomodi) che opponevano le parti in questione, cercando piuttosto di capire quale fosse la faglia storica (e dunque anche psicologica) prodottasi all'origine di tale opposizione. Nella fattispecie, quello che non tollero è un uso meschino della memoria per di più riferita a dei defunti che si vorrebbero onorare "al di là delle appartenenze nazionali". È del tutto inamissibile, ne converrà, che tale esercizio di memoria venga fatto all'interno di un Monumento che non può, per sua stessa natura, essere riconosciuto come "di tutti", essendo infatti il simbolo stesso dell'opposizione tra "noi" e "loro". L'operazione che è stata fatta per convertire quel Monumento in un museo della memoria ESCLUDE che lo si continui ad utilizzare come si faceva negli anni in cui poteva essere ancora visto come un simbolo della "vittoria". Peraltro, la parte politica che maggiormente insisteva su quel motivo ha avuto il torto di predisporre un'interpretazione dei fatti storici (dalla fine della prima guerra mondiale agli anni dell'autonomia) controproducente e, paradossalmente, funzionale soltanto all'incancrenimento di polemiche che hanno indurito la parte avversa (poi vincente, sul serio, sul piano politico). Le pare dunque opportuno continuare a reiterare omaggi e genuflessioni pavloviane in quel senso? Persino uno come Holzmann predica da tempo di non portare più fiori e corone al Monumento della Vittoria il 4 novembre. Ecco, credo di averle spiegato abbastanza bene i motivi della mia intolleranza. Ma sono sempre pronto a fornire delucidazioni ulteriori.

Di., 10.11.2015 - 12:52 Permalink