Schützenmarsch 1. Oktober 2022
Foto: Südtiroler Schützenbund
Politik | Convivenza

L'identità non sia un fortino

Accettare il diverso da noi significa accettare di cambiare. Bisognerebbe iniziare a dirlo, anziché insistere sulla questione dell'identità
  • “It is the moment to show to the young generation that we can build a continent where you can be who you are, love who you want, and aim as high as you want.”

    A esprimersi così è stata il 13 settembre scorso al Parlamento europeo di Strasburgo la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Il tono è decisamente enfatico, ma sotto il manto della bella promessa si nasconde una clamorosa rimozione.

    È probabile che quel “you can be who you are” si riferisca alle tematiche cosiddette identitarie, che le giovani generazioni fanno emergere in questi anni. Sembrerebbe di sì, visto che si tratta di dimostrare qualcosa alla “young generation” (come se la old generation avesse un piano) e considerato anche quel “love who you want” aggiunto da von der Leyen. L'esortazione riprende in ogni caso il motto dell'UE “Unità nella diversità” e vuole connotare che nel continente da costruire c'è spazio per ogni tipo di diversità, a iniziare ovviamente dalle più evidenti e significative, quali sono la lingua, la cultura, le tradizioni dei popoli. Italiani, tedeschi, francesi, spagnoli...: tutti insieme, restando appunto “italiani”, “tedeschi”, “francesi”, “spagnoli”... 

    Torniamo così a una questione ben nota a noi che viviamo in Alto Adige/Südtirol: identità e convivenza. Personalmente una cosa mi è chiara dopo tanti anni passati a osservare e riflettere sulle nostre dinamiche: il fatto stesso di essere in contatto o anche solo di sentire la vicinanza con chi è diverso da noi ci cambia. In meglio se siamo disposti ad accettare il cambiamento, in peggio se lo rifiutiamo.

  • Ursula Von der Leyen: “It is the moment to show to the young generation that we can build a continent where you can be who you are, love who you want, and aim as high as you want.” Foto: www.bbc.com
  • Perciò bisognerebbe smetterla con lo sbandierare il valore delle identità. L'identità non è un corredo, è un processo. Noi ci formiamo e trasformiamo in relazione agli altri, e se proprio bisogna avere “cura dell'identità”, questa cura dovrebbe consistere nell'aggiornarla, non nel proteggerla come un fortino. Il “you can be who you are” di von der Leyen sembra invece voler rassicurare: ognuno può essere ciò che è, senza la preoccupazione di dover cambiare o di lasciarsi contaminare. In un certo senso risponde a Nietzsche che in termini drastici dice “Werde, wer du bist”: il superuomo è colui che attua se stesso, il suo io bello e definito, al di là del bene e del male, sdegnando ciò che è umano, troppo umano, in una nuova aurora, costi quel che costi. Al tormentato filosofo è costato il ben dell'intelletto, mentre quando sono state le nazioni a sentirsi investite di simili missioni, la storia è finita in tragedia. Meglio sarebbe lasciar perdere chi si è, ovvero chi si ritiene di essere: vale per la singola persona e vale per le comunità più allargate.

    Un approccio prudente e realistico dovrebbe chiarire che la convivenza tra diversi pone delle difficoltà e che non basta una dichiarazione di buona volontà a superarle. Lo vediamo in Alto Adige/Südtirol, dove in fondo viviamo una situazione privilegiata, con regole definite e abbondanza di risorse; possiamo quindi immaginare quale impresa sia mettere insieme 27 stati, ognuno dei quali manda il proprio leader a Bruxelles a difendere i rispettivi “interessi nazionali”. 

    L'Unione europea non può essere un collage di interessi nazionali. Se vuole essere qualcosa di più e se per arrivarci bisogna intraprendere un percorso faticoso, fatto anche di rinunce, allora chi crede in quel progetto non deve avere paura di dirlo e a chiare lettere, trattando le opinioni pubbliche da persone responsabili. Non la si può neppure presentare come l'azzurro del cielo. L'apertura delle frontiere e l'adozione della moneta unica non hanno portato solo vantaggi, ma hanno avviato una ristrutturazione economica che fa le sue vittime. Quindi bisognerebbe prepararsi a cambiare, a rivedere giudizi e aspettative, a imparare l'arte di vivere nel mondo globalizzato. È sotto gli occhi di tutti che la storia sta accelerando, anche se non siamo al “lacrime, sangue e sudore” di churchilliana memoria. 

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Alberto Stenico Do., 05.10.2023 - 06:48

Perchè questo interessante intervento di Lucio Giudiceandrea è pubblicato costantemente con la foto di una manifestazione degli Schützen? Alterniamola opportunamente con una foto del monumento alla vittoria......A proposito di identità.

Do., 05.10.2023 - 06:48 Permalink
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Simonetta Lucchi Fr., 13.10.2023 - 20:49

L'identità è un processo in divenire, così come le lingue e le culture. Purtroppo se si vogliono fossilizzare creiamo l'intolleranza, a cui si aggiunge l'"invenzione della tradizione". Ma di questo hanno scritto già.

Fr., 13.10.2023 - 20:49 Permalink