Politik | CPR in Alto Adige

Quello che Kompatscher non sa

Li hanno definiti lager, il buco nero dei diritti: sono i CPR in cui si può morire per la sola colpa di esistere. Da anni se ne invoca la chiusura, Bolzano ne aprirà uno.
CPR
Foto: lasciatecientrare

La notizia è passata pressochè in sordina, complice anche alcuni media faziosi o fantasiosi che lo hanno definito un centro di accoglienza, azzardando persino che fosse destinato ad ospitare dignitosamente quelle poche decine di profughi afghani giunti sul territorio dopo aver lasciato il paese a causa del ritorno (se ne’erano mai andati?) dei Talebani. Nulla di tutto questo. Quanto annunciato ancora una volta dal presidente Arno Kompatscher durante la conferenza stampa sul bilancio di metà legislatura, riguarda l'apertura di un CPR sul territorio provinciale (sebbene non si escluda la possibilità di costruirlo in Trentino), grazie a un accordo raggiunto con il Ministero. L’acronimo in questione riassume il freddo concetto di Centro di Permanenza per il Rimpatrio, un groviglio di poche parole che gli addetti ai lavori preferiscono chiamare “prigioni” e ancor più frequentemente “lager”, giusto per non correre il rischio di sfociare nell’eufemismo. Perché di questo si tratta. I CPR non sono infatti prigioni come tutte le altre, non ci finisci per aver commesso una fattispecie di reato e non sono nemmeno funzionali a qualche tipo di riabilitazione. Sono strutture che servono alla cosiddetta detenzione amministrativa, luoghi di privazione della libertà personale destinati ai cittadini non provenienti dai paesi dell’Unione Europea che risultano, agli occhi delle forze dell’ordine, presenti irregolarmente sul territorio italiano. In altre parole nei CPR si finisce per due colpe: quella di esistere e di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.


“Il buco nero dei diritti”

Il CPR è solo l’ultima delle sigle con cui vengono designati i centri destinati alla detenzione e alla deportazione dei migranti irregolari. La campagna LasciateCIEntrare ne ripercorre la lunga storia scandita da riforme e violazioni.
Per comprendere appieno cosa sia un CPR bisogna tornare indietro al lontano 1998, anno di approvazione del Testo Unico di Legge 40/1998, la cosiddetta Turco - Napolitano, che stabilisce la creazione dei Centri di Permanenza Temporanea e Assistenza (CPTA) che prevedeva un periodo di detenzione massima fissato ai 30 giorni.
Gli anni passano ma l’unica cosa a cambiare sono gli acronimi con cui vengono definiti, nonché il progressivo deterioramento di una situazione precaria sin dalla sua genesi.
Le strutture individuate alla detenzione sono solitamente container o vecchie caserme, strutture comunque inadeguate a garantire le condizioni minime di permanenza e polveriera di conflitti e tensioni pronta ad esplodere. E per farlo non è stato necessario aspettare molto: il 28 dicembre 1999 un tentativo di fuga fallito dal CPTA di Trapani seguito da un incendio ha provocato la morte di sei persone, finite arse vive nel rogo.
Qualche cambiamento arriva con la Legge Bossi - Fini, ovviamente in peggio. Dal 2002 si chiameranno CPT, lasciandosi per strada la “A” di “Assistenza”. I tempi di detenzione vengono raddoppiati, fino a 60 giorni, e a fronte di un calo dei rimpatri che le strutture sono in grado di ultimare, crescono le denunce di violazione dei diritti umani ai danni dei migranti. Aumentano allo stesso tempo gli investimenti, ma solo per incrementarne il numero e trasformarli progressivamente in strutture detentive di massima sicurezza, istituzioni totali non regolamentate uniformemente e dove diventa sempre più difficile entrare, se non da detenuto. Le fughe diminuiscono, le rivolte e le conseguenti repressioni aumentano.

La testimonianza di Diego, rinchiuso in un Centro di detenzione per migranti irregolari. Il video è tratto da "Gabbie - Voci dai Cpr", un documentario a capitoli prodotto da Melting Pot Europa e Borders of Borders

 


Il numero di tentativi di fare inchiesta si susseguono negli anni e quelle andate a buon fine decretano tutte il medesimo e infausto verdetto: c’è chi inizia a chiamarli lager, chi parla di sospensioni se non di vero buco nero dei diritti umani. Già nel 2004, con il rapporto redatto da Medici Senza Frontiere, e nel 2007 con quello prodotto dalla commissione governativa presieduta da Staffan De Mistura nel 2007, si comincia a manifestare in maniera univoca la necessità di superare i centri di detenzione, del tutto ingestibili e teatro di gravissime violazioni dei diritti umani. La stessa “Direttiva rimpatri” (115/2008) emanata dalla Unione Europea (recepita dall’Italia, seppur in maniera arbitraria) stabilisce che il trattenimento deve costituire l’extrema ratio per identificare una persona irregolare sul territorio di uno dei paesi membri. Nonostante questo, la risposta politica si indirizza ancora una volta in senso opposto. Con il “Pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi, diventato legge nel 2009, la detenzione in quelli che ora si chiamano CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) viene allungata fino ai sei mesi (arrivata a un anno e mezzo durante le “Primavere Arabe” a seguito di una massiccia intensificazione degli sbarchi). I rimpatri calano ancora, i centri sono intasati e nuovamente si prestano a fucina di rivolte, tentativi di fuga, autolesionismo e suicidi. Con la direttiva 1305 dell’1 aprile 2011, sempre il governo Berlusconi limita ancora una volta l’accesso ai Cie, arrivando ad escludere la stampa.
Dopo una parziale messa in discussione delle politiche di detenzione è seguita nel 2014 una riduzione del periodo massimo di trattenimento (90 giorni) e la chiusura di diversi centri, fino al 2017, anno in cui la situazione precipita nuovamente. Con le disposizioni volute dalla legge Minniti-Orlando, ricalcate poi dall’allora Ministro dell’Interno Matteo Salvini (che ha nuovamente aumentato la detenzione a 180 giorni), i centri che a fatica erano stati chiusi gli anni precedenti riaprono sotto il nome di Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), con l’obiettivo di portarne uno per ogni regione italiana.

 

Involucri vuoti

I CPR funzionanti in Italia (presenti a Torino, Roma, Bari, Brindisi, Caltanissetta, Trapani, Gradisca d’Isonzo, Macomer, Milano) si presentano come enormi gabbie fatte di sbarre e cemento dislocate in aree periferiche. Letti cementati, servizi igienici inenarrabili. Strutture impossibili da riformare ma che, nonostante questo, non solo non vengono chiuse ma se ne incentiva ancora oggi l’apertura.
Il rapporto del Garante nazionale delle persone private della libertà personale sui Centri di Permanenza per il Rimpatrio nel corso degli anni 2019 e 2020 ha restituito in 44 pagine le violazioni perpetrate in quella che si può definire una vera e propria zona franca dallo Stato di diritto: cinque morti negli ultimi due anni, minorenni detenuti in condizioni critiche, polizia presente sistematicamente durante le visite mediche. Viene denunciato che le due vittime registrate nel 2020 avevano chiesto l’intervento di un sanitario e il decesso è sopraggiunto a causa dell’inadeguatezza delle cure prestate sul posto.
 

“Manifestazioni di protesta, ribellioni e danneggiamenti alle strutture si sono succeduti senza sosta; inoltre, mai come in passato, si è verificato un numero così elevato di eventi tragici (…) Appare difficile non considerare tale serie di eventi infausti quantomeno il sintomo di realtà detentive gravemente e fisiologicamente problematiche, non sempre in grado di proteggere e tutelare la sicurezza e la vita delle persone poste sotto custodia”.

Oltre alle numerose criticità, il rapporto evidenzia ancora una volta l’esiguo numero di rimpatri (al di sotto del 50% dei detenuti) portati a termine. Ciò che accade dunque dopo i 180 giorni di detenzione non può che essere il rilascio, una libertà precaria e sommersa che durerà fino alla prossima retata o al successivo controllo casuale della polizia.

 

“Non staremo in silenzio”

L’Alto Adige accoglie, l’Alto Adige è solidale. Non perde l’occasione di ribadirlo Arno Kompatscher. Per farlo si serve persino di alcune famiglie afghane indirizzate recentemente e temporaneamente dal Ministero sul territorio provinciale, giusto il tempo necessario all’avvio di un percorso di accoglienza che potrà aver luogo in qualsiasi altra città della penisola italiana. E come dice lo stesso Presidente, abbiamo dimostrato di essere solidali con chi ne ha bisogno, e lo siamo talmente tanto da tornare a rispolverare dopo anni la carta mai sepolta del CPR perché “rivendichiamo da tutti il rispetto delle nostre regole e leggi”.

A pochi giorni di distanza da tali dichiarazioni, l'associazione Bozen Solidale ha pubblicato una lettera appello contro qualsiasi ipotesi di apertura del CPR alla quale hanno già aderito diverse realtà del territorio regionale e non solo

“Il centro di espulsione non è la soluzione per le persone migranti senza titolo di soggiorno, un “luogo-non luogo” in cui qualunque diritto viene cancellato. Uno spazio di sospensione attraverso un oblio che porta le persone, sempre più spesso, a togliersi la vita all’interno di questi lager.
Nel corso dell’ultima conferenza stampa di metà mandato il presidente della Provincia Autonoma di Bolzano, Arno Kompatscher, ha annunciato che in regione, in un sito ancora da individuare, sarà realizzato un centro permanente per il rimpatrio (CPR). Secondo il governatore "Abbiamo dimostrato con i profughi afghani di essere solidali verso chi ne ha bisogno ma rivendichiamo da tutti il rispetto delle nostre regole e leggi".
Dichiarazioni che lasciano esterrefatti e che, di fatto, dividono le persone migranti tra buone e cattive dimenticando che in Trentino Alto Adige centinaia di persone, tra cui molti afghani, dormono all’addiaccio dopo aver percorso per anni rotte migratorie tra violenze, torture e respingimenti. Molti di loro svolgono lavori stagionali e non hanno una dimora fissa perché è impossibile trovare un alloggio. Oltre a canoni di affitto inarrivabili, vengono discriminati in quanto "stranieri".
L’idea che queste persone, perché di persone si tratta, potrebbero mettere a rischio la sicurezza pubblica per la loro semplice presenza o per una irregolarità dei documenti è un ragionamento politico che vuole criminalizzarle in base allo status giuridico e non in base a reati commessi.
Come gruppi e associazioni che operano sul territorio regionale chiediamo di continuare a lavorare su politiche basate sul rispetto dei diritti umani e su politiche sociali e di accoglienza che favoriscano un’effettiva inclusione delle persone spesso presenti sul territorio da anni. Politiche, quindi, che sostengano un accompagnamento che dia strumenti per prevenire la caduta nella marginalità in tutte le sue forme e sfaccettature.
In ogni caso, l’ipotesi di aprire un Centro di Permanenza per il Rimpatrio (CPR), o centro di espulsione, non può essere considerata come una soluzione praticabile. Questi centri non sono altro che luoghi di controllo, segregazione e tortura di essere umani, i quali hanno come unica “colpa” quella di essere privi di titolo di soggiorno. Anche se buona parte dell’opinione pubblica, condizionata e impaurita da campagne mediatiche mistificatorie, giustifica ed accetta tutto questo, considerandolo come il male minore, noi invece vogliamo continuare a sostenere i valori dell’accoglienza e della solidarietà tra persone e la necessità di ripensare le politiche nazionali ed europee in tema di immigrazione per allargare il diritto fondamentale alla libera circolazione anche ai cittadini non comunitari.
Sosteniamo, perciò, l’emersione dal “soggiorno in nero” con un’interpretazione estensiva del diritto con l’introduzione di un meccanismo di regolarizzazione per ogni singolo cittadino straniero già presente in Italia.
Allo stesso tempo sosterremo tutte quelle campagne finalizzate al riconoscimento della condizione di soggiornante come fonte del diritto di restare e di regolarizzare la propria posizione con il conseguimento del permesso di soggiorno.
Non staremo in silenzio di fronte all’apertura di un CPR né in regione né altrove. Costruiremo mobilitazioni e iniziative di contrasto dal basso per i diritti e la dignità di tutte e tutti”.

 

Proponenti:
Bozen Solidale

Aderiscono (in aggiornamento) :
CSA Bruno - Trento 
Spazio Autogestito 77 - Bolzano 
Collettivo Mamadou - Bolzano 
SOS Bozen 
Cucina Cultura - Bolzano
Campagna LasciateCIEntrare
LINX - Bolzano 
Scioglilingua Bolzano 
Sinistra Ecosociale/Ökosoziale Linke 
Sinistra/die Linke 
Mediterranea Merano
Flai Cgil Alto Adige 
Ass. Provinciale Sinistra Italiana del Trentino
OEW- Organizzazione per Un mondo solidale
Assemblea Antirazzista Trento 
Il Gioco degli Specchi APS Trento 
Maria Kerschbaumer 
Annamaria Molin
Nello Ferremi
Moussa Salou Idrissa 
Sonja Cimadom 
Julia Dalsant

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Karl Trojer Do., 09.09.2021 - 10:22

Den Begriff CPR gibt es auch beim Militär für "camera di punizione di rigore"... Die Leidensodyssee die das hier als Video vorgetragene Beispiel von Diego aufzeigt, ist erschreckend ! Dass im freien Europa soviel Unmenschlichkeit möglich ist, erscheint unglaublich und erfordert dringend von der Politik die Umsetzung menschenwürdiger Maßnahmen. Man muss schon in arger Not sein, um seine Heimat mit völlig ungewissem Ziel zu verlassen. Menschen in Not haben ein Recht auf Hilfe; diese Hilfe zu verweigern, durch bürokratische Spießrutenläufe zu erschweren, ist grobes Unrecht! Wenn in unserem reichen Land Südtirol Flüchtlinge auf die verschiedenen Gemeinden verteilt würden, fänden sich dort sicher Menschen, die die Integration dieser Flüchtlinge menschenwürdig begleiten würden und dabei von der örtlichen Behörde angemessen unterstützt würden .

Do., 09.09.2021 - 10:22 Permalink