Gesellschaft | Ritratti

“La mia vita oltre le sbarre”

La storia di Marco, ex detenuto, finito in carcere nel 2013 per ricettazione, e della sua rinascita, possibile anche grazie a chi non l’ha mai lasciato solo.
Marco
Foto: Screenshot-RAI

A Bolzano Marco è un tipo conosciuto. Nel bar del centro dove ci fermiamo per un caffè è tutto uno scambio di sorrisi e cenni col capo in segno di saluto, in mezzo al tintinnare fuori-tempo delle tazzine. Marco ha quasi 60 anni ed è un ex detenuto. Sconfigge il gelo preventivo dell’interlocutore lasciando il passo alla verità: “Ci vengo spesso in questo posto, il proprietario, i camerieri, tutti sanno del mio passato, sono stato io a dirglielo. Preferisco parlare dei miei trascorsi piuttosto che lasciarlo fare ad altri, che magari riportano una cosa per un’altra”, ci racconta con aria compassata.

Pensavo: tanto in Italia in galera oggi non ci va nessuno, che gigantesco sbaglio

Tutto inizia qualche anno fa, Marco, che è originario di Ora, lavora come rappresentante per una ditta di fertilizzanti, gira l’Italia, i soldi a fine mese non mancano. Poi un giorno l’azienda chiude e lui si ritrova senza lavoro e presto senza più un quattrino in tasca. “Sono finito in un brutto giro, mi sono messo a comprare e vendere merce rubata, tv, telefonini, apparecchi elettronici e quant’altro. Non era difficile piazzarli perché a Bolzano conosco tanta gente”. Fra le mani gli passa un bel po’ di denaro, arriva a guadagnare anche 10-12mila euro a settimana. Soldi facili. E insieme al portafoglio si gonfia anche la presunzione di poterla fare franca. “Mi hanno pizzicato 2, 3 volte ma non mi presentavo mai davanti al giudice, pensavo: tanto in Italia in galera oggi non ci va nessuno, che gigantesco sbaglio”.

In questo frangente effimero di libertà Marco si rimette in carreggiata, ritrova un vecchio amico, Vinicio, che gli dà un lavoro al mercato presso il suo banco di abbigliamento, lo aiuta a trovare un appartamento, a non “bruciarsi” tutti i soldi al Casino di Innsbruck come spesso accadeva, e a smettere di bere, un vizio aggravatosi dopo la perdita del primo impiego. “Un sabato sono venuti a prendermi al mercato e mi hanno detto: ‘Andiamo, hai 8 anni da scontare’. Per me è stata quasi una liberazione, un sollievo, sapevo che prima o poi mi avrebbero preso e vivevo in un’ansia costante. Quando vedevo una pattuglia dei carabinieri cambiavo strada, ogni volta che prendevo la macchina avevo paura che mi fermassero”. 

 

 

Marco finisce nel girone dei condannati per ricettazione, si fa due anni e mezzo dentro, dal maggio 2013 al novembre 2015, e 2 anni e mezzo con l’affidamento in prova, misura alternativa alla detenzione. Lo accoglierà la Odós, il servizio della Caritas che si occupa del reinserimento sociale di detenuti ed ex-detenuti. “Potevo uscire la mattina presto e dovevo rientrare per le 21 - ricorda -, se mi intrattenevo con un amico stavo sempre lì a controllare l’orologio per non passare dei guai”. 

Un sabato sono venuti a prendermi al mercato e mi hanno detto: ‘Andiamo, hai 8 anni da scontare’

Gli anni del carcere li trascorre a Verona-Montorio. Marco è uno dei “fortunati” che riesce a lavorare (sono 70-80 su oltre 500 i detenuti che ottengono un impiego nella casa circondariale veneta), confeziona pacchetti per una cooperativa e a fine mese riesce a incassare fra i 400 e i 500 euro. All’inizio Marco divide la cella con altre tre persone, chiuso dietro le sbarre, a parte le due ore d’aria al giorno. Spazi minuscoli, affollatissimi. Passa il tempo giocando a carte, guardando la tv, leggendo, schivando il rischio di generare mostri del pensiero. Dopo un anno la situazione sembra migliorare, gli inquilini della cella diminuiscono, diventano tre in tutto, e le sue porte si aprono così da poter almeno uscire nei corridoi. “Mi è andata bene anche dal punto di vista della salute perché non ho mai avuto bisogno del medico, per farsi visitare la trafila non è semplice, e il dottore non sempre c’è”. Per farlo sentire meno solo Vinicio va a trovarlo e ogni tanto gli allunga qualche banconota, “ché in prigione fa sempre comodo avere un po’ di liquidità”.

Nel carcere di Bolzano, dove aveva passato il primo mese, Marco torna per scontare gli ultimi 6 mesi della pena, gli viene accettata la richiesta di trasferimento. Anche nella struttura di via Dante lavora, stavolta in cucina. In cella sono in sette e salvarsi dall’alienazione diventa il compito meccanico di ogni giorno. “È vero che quel carcere è messo davvero male ma dal punto di vista umano è meglio che stare a Verona, lì sei solo un numero. A Bolzano almeno con le guardie si riesce a scambiare una parola, forse perché capiscono le condizioni precarie del luogo, e poi potevo vedere il Talvera, qualche passante, dov’ero prima c’erano solo muri tutt’intorno”.

 

 

Vinicio, che in questi anni non lo ha lasciato solo, gli offre il suo vecchio lavoro al mercato. E il mestiere di ambulante diventa il perno attorno al quale Marco ricostruisce, una volta fuori, una vita onesta. “Ora rigo dritto, la galera che ho fatto mi è bastata”. I buoni propositi non tengono conto però delle responsabilità a cui invece il fisco lo inchioda. Situazioni burocratiche vessatorie che molto spesso pesano sui detenuti anche dopo aver pagato il conto alla giustizia. “Ho debiti con Equitalia per svariate migliaia di euro che non so come farò a saldare”.

In un’esistenza tarlata dall’incertezza “un giorno alla volta” sembra essere il mantra da inseguire. Accanto il contrappeso delle conquiste che si accumulano. Il piccolo appartamento dell’Ipes in via Resia che gli ha restituito nuova indipendenza, il Natale con un amico, un pomeriggio insieme al nipotino, una lunghissima passeggiata fino al Corno del Renon, un giro in bici, portare la propria testimonianza agli studenti con il progetto “A scuola di libertà: le scuole imparano a conoscere il carcere”. La solitudine che non fa paura. “Non temo più niente dopo quello che ho vissuto, solo la malattia, spero di campare bene fino al mio ultimo giorno - dice Marco -. Per il resto il passato è passato, vado avanti a testa alta”. Nell’intimità della propria battaglia quotidiana.