Politik | revisionismo storico

“Ci vorrebbe meno memoria e più storia”

Come la destra annacqua i crimini nazifascisti con il favore del Consiglio regionale. Lo storico Andrea di Michele sul voto della mozione che li equipara al comunismo.
Andrea Di Michele
Foto: unibz/Academia

Tutti sullo stesso piano, senza nessuna differenza. Hanno dovuto aspettare più di un anno i consiglieri Urzì (oggi parlamentare), Ambrosi, Cia e Rossato per vedersi approvata la discussa mozione 44 che impegna la Giunta a condannare in maniera generica ogni totalitarismo. 

La mozione si rifà alla contestata Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2019 sull'importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa che equipara fascismo, nazismo e comunismo. Già allora il presidente David Sassoli, unendosi al coro di una lunga lista di critici commentatori, dichiarava che “affiancare nazismo e comunismo è un’operazione intellettualmente confusa e politicamente scorretta e, se riferita alla Seconda guerra mondiale, rischia di mettere sullo stesso piano vittime e carnefici”.

Per quanto timidamente critico in alcuni aspetti, il dibattito in aula che ha preceduto il voto è stato piuttosto sbrigativo, incentrato sui tecnicismi e intervallato da qualche stanca frecciatina retorica. Accantonate le premesse, tre punti su quattro (il numero 2 era stato ritirato) della mozione sono stati approvati dall’aula a larghissima maggioranza, per la gioia del consigliere di Fratelli d’Italia Marco Galateo che ha indetto in tutta fretta una conferenza stampa per celebrare il risultato e anticipare che la stessa mozione, con primo firmatario il consigliere Alessandro Forest, approderà in consiglio comunale a Bolzano.
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Il ritornello delle vittime di “serie A e serie B”, così come vengono definite, continua ad essere uno tra i più canticchiati tra le file della destra nazionalista, che ancora una volta sceglie, consapevolmente, il campo della storia per combattere le solite e note battaglie. Ma il ricordare tutto senza conoscere nulla comporta delle conseguenze che non possono essere sottovalutate. Lo storico Andrea Di Michele mette in guardia sui pericoli di una memoria ad uso e consumo di coloro che tentano di manipolare gli eventi della storia. 

 

salto.bz: Di Michele, quali sono gli aspetti più problematici della mozione approvata i giorni scorsi dal Consiglio regionale?
 
Andrea Di Michele: Innanzitutto va notato che c’è una strategia, messa in atto soprattutto da Fratelli d'Italia, di far approvare dai consigli delle varie città questo tipo di documenti, tutti più o meno identici. Quello del Consiglio Regionale non è dunque un caso isolato e non ci sono elementi nuovi. Il nodo più problematico rimane la risoluzione europea che viene continuamente ripresa all’interno di queste iniziative.

Dal punto di vista dei contenuti, questa risoluzione fa acqua da tutte le parti

Ci ricorda il contesto in cui è stata approvata una risoluzione così problematica?

La richiesta di una risoluzione di questo tipo rientra nelle difficoltà che permangono a livello europeo nel trovare quegli elementi di condivisione che possano costituire le fondamenta di una memoria comune. Se pensiamo in tal senso alle politiche comunitarie del primo decennio degli anni 2000, il pilastro memoriale era indubbiamente la giornata che ricorda la Shoah. Negli anni successivi, fanno ingresso nell’Unione otto paesi dell'Europa orientale i quali avevano vissuto una storia del Novecento molto diversa da quella dei paesi dell'Europa occidentale e che pertanto erano portatori di una memoria differente. Per i paesi dell'Europa occidentale, la fine della seconda Guerra mondiale ha portato alla nascita di forme di governo democratiche, mentre nell'Europa dell'Est la fine del conflitto coincide con l'inizio di Stati assoggettati all'Unione Sovietica. Ed è quindi partendo da un percorso storico diverso che dai Paesi dell'Est è arrivata la spinta a mettere in discussione quello che era il paradigma antifascista – cioè la sconfitta del fascismo, del nazismo e poi la nascita della della democrazia – su cui si fondano le giornate di commemorazione e le politiche della memoria dell'Unione Europea. Dopo il loro ingresso, questi stati hanno richiesto, preteso e ottenuto il documento in questione, seppur dopo difficili trattative che hanno contribuito a limare e censurare alcune parti ancora più controverse. Dal punto di vista dei contenuti, questa risoluzione fa acqua da tutte le parti. L'esigenza di riconoscere l’esperienza dei Paesi di nuovo ingresso, si è tradotta nella costruzione di una memoria fortemente nazionalista e anticomunista. Nel grande calderone del totalitarismo sono stati messi, sullo stesso piano, nazionalsocialismo e comunismo, con delle forzature storiche evidenti soprattutto per quanto riguarda la parificazione delle responsabilità storiche di Hitler e Stalin nei confronti della Seconda Guerra Mondiale, quando invece stiamo parlando di una guerra voluta, cercata e scatenata dalla Germania nazista.

 

Perché paragonare nazionalsocialismo e comunismo, appiattendo le responsabilità ed esaltando esclusivamente l’aspetto delle vittime, non solo non può sussistere ma diventa anche molto pericoloso.?

Se vogliamo fare una ricostruzione di come si arriva a questa Seconda Guerra Mondiale, è un po’ riduttivo dire che il fattore scatenante sia stato il patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Se partiamo da questo presupposto bisognerebbe fare un passo indietro e dire cosa è successo durante la conferenza di Monaco del 38, quando le potenze occidentali hanno lasciato mano libera a Hitler perché si spartisse la Cecoslovacchia. Perché se la spartizione della Polonia diventa il momento centrale, quella della Cecoslovacchia consentita a Hitler non rientra all'interno di quel passo verso il conflitto globale? E poi, ricordiamolo, è Hitler che attacca l'Unione Sovietica con l'apporto dell'Italia fascista. Nella risoluzione c’è anche un passaggio in cui parla, senza capire su quali basi, di un fantomatico progetto tra Hitler e Stalin di scatenare la guerra e di dividersi l'Europa. Ecco, stiamo parlando di tutta una serie di forzature storiche che hanno la sola finalità di dire che l'Unione Sovietica di Stalin è uguale al nazionalsocialismo di Hitler, creare un immaginario per ridurre il comunismo a un qualcosa di compatto e criminale. Questo è sbagliato perché in questo modo dimentichiamo che la democrazia in Italia l'ha costruita anche il Partito comunista e la Resistenza, così come la Costituzione italiana. Cosa significa dunque? Che la Costituzione è stata scritta da criminali? E che tutti questi criminali sono come Stalin? Testi di questo tipo dimostrano ancora una volta che la storia è un campo di battaglia, che la storia non è soltanto il passato, ma continuamente inserita nella discussione del presente, nella politica, nella delegittimazione dell'avversario. Non è un caso che dopo l'ingresso del degli Stati ex comunisti nell'Unione europea siano state avanzate richieste di sostituzione del paradigma antifascista con un qualcosa di più ampio e generico. Questa specie di paradigma anti totalitario è tuttavia l'esito di un percorso ben preciso. Ha poco a che fare con la storia intesa come storiografia, mentre ha molto a che fare con l'uso politico della storia. E tutte le giornate memoriali che si sono moltiplicate negli ultimi anni lo dimostrano.

Adottare il paradigma vittimario, dove ogni raggruppamento individua la propria vittima e ne esige il riconoscimento, rischia di creare una guerra di legittimazione, fino a scadere in veri e propri scivoloni

Dalla Giornata del Ricordo, alla commemorazione della battaglia di Nikolajewka. Negli ultimi anni si è animato un dibattito rispetto alla problematicità del creare una memoria condivisa a partire dal dolore delle vittime ma anche dalla definizione stessa di memoria condivisa. Esiste un’altra via percorribile che sia coerente con i delicati equilibri della storia?

Parlare di memoria condivisa è una contraddizione: le memorie sono memorie plurali e ognuno ha la propria. La discussione dovrebbe invece orientarsi su quella che è la memoria pubblica, istituzionale. Adottare il paradigma vittimario, dove ogni raggruppamento individua la propria vittima e ne esige il riconoscimento, rischia di creare una guerra di legittimazione, fino a scadere in veri e propri scivoloni. L'istituzione della Giornata dell'alpino è un esempio emblematico: si sceglie di commemorare la battaglia di Nikolajewka dove gli italiani in Russia ci sono stati da aggressori insieme ai nazisti. In questo modo la nostra attenzione resta fossilizzata sulla vittima, dimenticando che dietro a ognuno di essa si celano carnefici e responsabilità. Ed è su questo che dovremmo invece focalizzarci. Quando ricordiamo l'Olocausto si richiamano i nazisti riducendoli a delle entità inumane, lontane da noi e comunque ascrivibili esclusivamente alla Germania. La storiografia ha invece approfondito tutto il tema del collaborazionismo: in ogni paese occupato, soprattutto quelli dell’Est Europa, i nazisti hanno potuto contare su collaborazionisti molto attivi e che sono altrettanto responsabili di quelle vittime che oggi si commemorano. Ricordarle va bene, ma non possiamo dimenticarci dei colpevoli. Forse ci vorrebbe un po’ meno memoria e un po' più di storia, passare dall'emozione alla ricostruzione storica ci permetterebbe di avere un quadro più complesso ed articolato, nonché di distinguere le responsabilità. Non si può mettere tutto nell’unico calderone del totalitarismo.

Se la storia continua ad essere un campo di battaglia, quali sono i rischi concreti della manipolazione della memoria pubblica? E come è possibile sviluppare gli anticorpi necessari per evitare gli scenari più nefasti a cui rischiamo di andare incontro?

Negli ultimi quindici anni abbiamo assistito a un tentativo, inaugurato dagli stati dell’Est, di creare un calendario memoriale alternativo da parte dei vari paesi, tutti accomunati dalla creazione di giornate nazionali, che richiamano aspetti considerati eroici, calati all’interno delle singole nazioni, spesso e soprattutto nel contesto della Seconda Guerra Mondiale. La risoluzione europea incentrata su quell’interpretazione problematica del patto Molotov-Ribbentrop, dire che senza quel patto non ci sarebbe stata la seconda guerra mondiale.. Ecco questi sono stati tentativi di trovare un elemento, ricordato all'interno di una giornata europea, che serve a collegare l'origine del tutto, la colpa di ogni cosa. E così anche lo sterminio degli ebrei diventerebbe una colpa condivisa fra comunismo e nazionalsocialismo. È evidentemente che siamo di fronte a una manovra di politica della memoria. Ribaltare e abbandonare il paradigma antifascista, da sempre centrale nell'Europa occidentale dopo il ‘45, in favore di un generico paradigma anti totalitario non può e non deve essere visto come un'azione neutra di ricostruzione storica, bensì di una consapevole azione di politica della memoria. È necessario rendersi conto che queste giornate memoriali sono il frutto di precise operazioni revisionistiche, il prodotto di esigenze ed equilibri che si determinano a livello politico. Dobbiamo quindi  smetterla di prenderle come se fossero atti dovuti e inevitabili. 

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Peter Gasser Fr., 17.02.2023 - 19:58

Zitat: „Non serve spingersi ad est più di tanto, basta guardare a casa nostra...“:
a casa nostra, ROMA: Presidente Meloni, ministro Salvini, und der im hohen Haus, der ganz vorne sitzt, der, der den Arm zum faschistischen Gruß hob, nicht vor Generationen, nein: HEUTE.
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„... basta guardare a casa nostra ...“ ich stimme Ihnen zu.

Fr., 17.02.2023 - 19:58 Permalink
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Dario Dragà Sa., 18.02.2023 - 20:30

E' giusto dire che il comunismo, praticamente dappertutto, abbia fallito rispetto ai suoi conclamati principi e che abbia causato milioni di vittime. Come è giusto dire che il revanscismo partigiano, in Italia e in Istria, sia stato alla base di eccessi non edificanti. Raccontare questi fatti fa parte di una corretta ricostruzione storica, ed è intellettualmente corretto. Ma le responsabilità dei partigiani sono infinitamente inferiori a quelle dei nazifascisti, cui va ascritto il fondamentale aspetto della provocazione. E anche come numeri, per esempio in Istria, il numero delle vittime dei n.f. è nettamente superiore a quello di coloro che hanno subito le ritorsioni di Tito: basta aprire dei libri di storia. Questo vittimismo di destra è un clamoroso falso storico, oltretutto senza la minima intenzione di accollarsi le responsabilità. Per tacere dell'assolutamente insufficiente opera di de-fascistizzazione attuata in Italia, con le fattive complicità degli USA e del Vaticano. In Südtirol, in particolare, la Chiesa locale ha coperto molti gerarchi nazisti, dando loro salvacondotti per il Sudamerica, dove hanno continuato a prosperare e a contribuire all'istituzione di regimi totalitari (Brasile, Argentina, Cile, Paraguay, Uruguay e Bolivia soprattutto). E' di queste settimane la notizia che nelle scuole si aggirano sedicenti "consulenti" del governo, con il compito di raccontare storie alternative, senza alcun fondamento storiografico: per es. che Dalla Chiesa è stato ucciso dalle BR oppure che, sempre le BR, sono responsabili della strage di Piazza Fontana. Vigiliamo!

Sa., 18.02.2023 - 20:30 Permalink
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Martin Tarshito Sa., 11.03.2023 - 20:37

I sostenitori del communismo si guardino il drama italiano del 2008. "Il sangue dei Vinti".

Tra i "collaborazionisti" dell' est è noto Stepan Bandera, il quale nel 2010 grazie al presidente Wiktor Juschtschenko e la sua premier Julia Timoschenko è diventato eroe ufficiale dell' Ucraina.
Egli veniva onorato con il slogan "Slava Ucraini, Heroiam slava" ; slogan che secondo un intervista al primo biografo scientifico di Bandera ( biografia, scritta da Grzegorz Rossoliński-Liebe nel 2014) è da considerare un saluto fascista. Specialmente la risposta "Heroiam slava" la quale apparve la prima volta proprio tra gli Ultranazionalisti ucraini (OUN) e l' UPA negli anni 30. Ovvero tra i seguaci di Bandera.

Wiki: "The greeting 'Glory to Ukraine! Glory to the heroes!' later became the official slogan of Stepan Bandera's OUN-B in April 1941.[10][6][11][7]"
Tra il 1941 e 1944 la sua milizia collaborava con la SS come "Hilfspolizei".

Slogan in uso specialmente tra i membri del battaglione SICH, milizia del partito Svoboda e settore destro, diventato parte integrante delle forze "Ucrainian Ground Forces" come polizia militare (! ormai costituente una parte spagnola, una parte inglese ed una ucraina; in azione tra l'altro a Marinka, Avdiivka, Bucha, Irpin, Izym).

Slogan accolto da tutti i sostenitori dell Ucraina sin dal 2022, anche in parlamento europeo.

Sa., 11.03.2023 - 20:37 Permalink