Gesellschaft | Amarcord

Giocare a hockey su asfalto a Sciangai

Il bel racconto dello scrittore Luca D’Andrea pubblicato da Salto ha sbloccato un mare di ricordi al giornalista Maurizio Di Giangiacomo: vecchi guanti da sci, stecche ricostruite dal falegname e incisivi che saltavano.
hockey
Foto: Matt Jenssen on Pexels.com
  • Piazza Matteotti non è Sciangai, la pista zero di via Genova non era poi questo muro vecchio e sporco, ma anche noi eravamo “sciangaioli”, forse i peggiori: quelli di piazza Matteotti, altro che walschen, arci-italiani, agli occhi di tanti bolzanini (tutti gli altri? sicuramente, non solo quelli di lingua tedesca) sfigati, rissaioli, volgari e anche un po’ stronzi, parafrasando il bel racconto di Luca D’Andrea pubblicato da Salto.bz. E anche per noi essere sciangaioli – o meglio, essere di piazza Matteotti – era un vanto, un’identità tutta nostra, come l’Hockey Club Bolzano, il nostro slang (quello portato sui palchi dei teatri dal collega Paolo Cagnan, secondo me, è nato proprio in piazza) e i nostri sabati pomeriggio alla pista zero.

    A “hockey su asfalto” non giocavamo solo in via Genova, a dire il vero. Quello era comunque il campo per elezione. Dopo avere ricavato le porte, per anni, dai cancelletti che si aprivano a nord e sud, lungo la balaustra, ricordo che a un certo punto ne spuntarono addirittura due “vere”, costruite credo dai nostri avversari più forti, quelli del “CSKA” di via Aosta (Caio, Giorgio, Ferro in porta, Marco e altri che non ricordo). In alternativa si giocava alla Sacra Famiglia, in via Napoli, ma mancavano le balaustre, l’asfalto era ruvido, giocare era più faticoso e i bastoni si consumavano.

    E qui vale la pena di tornare agli aspetti più “pratici” del racconto di D’Andrea e raccontare cosa facevamo noi di piazza Matteotti per rifornirci di bastoni e in qualche maniera adeguarli alle nostre esigenze di giocatori “da asfalto”. In un altro blog ho raccontato come almeno alcuni di noi (formazione più o meno completa: io, Mike, Paolo, Luca, Pappa, “Figassa”, Rudy, Icio, Ivan, Macio, Inos, Ioio, Nane, Andrea, Ricky) trascorressero parte delle loro giornate al palaghiaccio di via Roma: oltre a strappare letteralmente dalle mani dei giocatori del Bolzano e delle squadre avversarie le loro stecche magari un po’ usurate alla fine delle partite, qualche volta recuperavamo quelle rotte, che venivano gettate oltre le balaustre, sotto le vecchie tribune. Ioio e Nane, figli di un bravissimo falegname, facevano miracoli, ricavando magari un bastone intero da due rotti. Bastoni che non avrebbero retto l’impatto con un disco, ma per la pallina da tennis andavano benissimo. Sì, perché l’hockey su asfalto aveva una sua dimensione quasi tennistica, le palline venivano colpite spesso al volo e noi ci davamo arie da virtuosi. Jeans, maglione, scarpe da ginnastica, un vecchio paio di guanti da sci (ma nessuno di noi sciava!) o anche da passeggio e via, a sfidare gli “odiati” rivali di via Aosta, piazza Vittoria, viale Trieste o via Marconi. E quante ce ne siamo date, lungo le balaustre della pista zero: in genere niente di particolarmente violento, ma in via Genova ho visto anche qualche incisivo saltare.

  • Pista zero: Negli anni Ottanta la Pista zero di via Genova a Bolzano veniva chiamata "schettinodromo" Foto: Comune di Bolzano
  • Avevamo anche il nostro “campo di allenamento”, non il “buco”, piazzale/parcheggio al civico 1 di piazza Matteotti dove, nella stagione calda, giocavamo soprattutto a pallone, bensì l’asilo, vale a dire la vecchia scuola materna del civico 9, dove oggi ha una delle proprie sedi l’Ipes (allora Ipea o addirittura ancora Iacp), dotata di un terrazzo con balaustre di pietra e di un pavimento lastricato, sul quale i ricordo di aver giocato a calcio, tennis, pallacanestro e appunto anche a hockey, e di esservi stato scacciato – come da tutti gli altri luoghi dove giocavamo – dall’odiatissimo “naio”. Chi era il “naio”? Il portinaio, in realtà un impiegato dell’Ipea che, tra le sue incombenze aveva appunto quella di “tormentare” i ragazzi del quartiere. Il “naio” ci cacciava da “in fondo” (il campo alberato al civico 1, adiacente al “buco”, sul quale giocavamo interminabili partite di calcio), chiamatovi dalla “pompiera”, che doveva il suo soprannome ai mastelli d’acqua gelata che ci rovesciava sulla testa dal balcone; dal campo erboso di via Torino, sempre lungo i cortili delle case popolari, ma all’altezza dei cavalli delle passeggiate; e appunto dall’asilo. Tutto questo fino al giorno che uno di noi non si stufò e lo rincorse con un bastone, costringendolo alla fuga.

    Dicevo, prima, della pallina da tennis: si giocava con quella anche per motivi d’incolumità personale, specie quella dei nostri portieri, Luca e Inos, che, come protezioni, potevano contare solo su gambali e scudo rabberciati con gommapiuma, cartone e nastro da pacchi. Un paio di volte, però, abbiamo giocato con il disco, quello vero, quando alla pista zero si presentò Maurizio “Niki” Scudier, cugino del nostro compagno di giochi Ricky. Be’, non dimenticherò mai il coraggio di Luca, che si oppose con la sua attrezzatura di gommapiuma alle bordate dello Scudier che qualche anno dopo mi sarei ritrovato, per dirne una, alla finale di Coppa del Campioni con la maglia dei Devils Milano di Berlusconi.

    Ecco, per riallacciarmi almeno parzialmente alla dimensione più letteraria, politico-sociale del bel racconto di D’Andrea, Luca che si oppone con i gambali di gommapiuma ai dischi scagliati a cento all’ora da Niky è un po’ l’immagine plastica del nostro essere sciangaioli, bolzanini di Serie B (o Serie C). Una giovinezza, un’adolescenza – almeno la mia – abbastanza felice, ma senza un soldo in tasca, trascorsa quasi tutta da questa parte di ponte Talvera. È in quella parte della città che, proprio in quegli anni (parlo dei primi Ottanta) hanno fatto il pieno tutti i candidati del Movimento Sociale Italiano. È in quegli anni che una piazza “rossa” come piazza Matteotti è diventata “nera”. E la colorazione politica non era molto differente nella popolazione scolastica della scuola superiore che ho frequentato, l’Iti Galilei. A cambiare il mio destino sono state l’università, Radio Tandem, le prime amicizie nel gruppo linguistico tedesco, i primi appuntamenti dall’altra parte di ponte Talvera. Ma conserverò per sempre nel cuore il ricordo della mia giovinezza da sciangaiolo, alla pista zero di via Genova.  

  • L'autore

    Il racconto di Maurizio Di Giangiacomo è stato pubblicato originariamente sul suo blog https://mauriziodigiangiacomo.wordpress.com/2023/11/26/giocare-a-hockey-su-asfalto-a-sciangai/