Posso fare una domanda? Posso chiedere, rispettosamente, a lor signori che si accingono a celebrare annuale anniversario dell'Accordo di Parigi se ebbe torto o ragione quel tizio che, proprio settant'anni or sono, qualche giorno dopo la stipula del Patto, prese a ceffoni, in una strada di Innsbruck, il povero Karl Gruber, considerato come un traditore per aver svenduto all'Italia i fratelli sudtirolesi?
Non mi si risponda, per cortesia, che, se oggi celebriamo l'anniversario, è ovvio che quello schiaffone sia stato mal dato. Non mi basta per tutta una serie di buone ragioni.
Dubito fortemente innanzitutto, l'ho già scritto ma non mi stancherò mai di ripeterlo, che all'epoca, tra la popolazione di lingua tedesca,ci fosse qualcuno di opinione diversa dal furioso patriota che aggredì il ministro. Non tutti, evidentemente, erano disposti a usare mezzi così bruschi, ma era opinione assolutamente comune che quell'intesa siglata nella capitale francese fosse una pietra tombale posta sulle residue speranze di riunificazione del vecchio Tirolo, più che una base di partenza per costruire qualcosa di buono. Alla fine della guerra, nel presentare il conto per i torti subiti durante il ventennio fascista, i sudtirolesi avevano veramente creduto di poter capovolgere le sorti di un destino che nel 1918 li aveva consegnati all'Italia. La delusione fu cocente e la prospettiva, ancora del tutto nebulosa, dell'autonomia garantita dal nuovo patto sembrava ben poca cosa al confronto.
D'altronde, oggi, dopo settant'anni, con una seconda autonomia ben completata, sono ancora moltissimi coloro che, in Alto Adige, vedono in quell'intesa il segno di una rinuncia frettolosa, di un cedimento inaccettabile. È una corrente di pensiero che, per decenni, si è mossa anche all'interno della Suedtiroler Volkspartei, ma che oggi trova la sua concreta espressione politica soprattutto in quei partiti che apertamente propongono di gettare alle ortiche l'autonomia in cambio dell'autodeterminazione. E sono forze politiche che raccolgono il voto di un sudtirolese su tre e che incontrano soprattutto il consenso delle giovani generazioni.
Alcide De Gasperi non dovette subire, all'indomani dell'Accordo, aggressioni fisiche, ma in compenso si prese qualche robusto ceffone politico da parte dei componenti della delegazione che lo affiancava alla conferenza di pace. Una sorta di processo politico durante il quale fu aspramente rimproverato proprio per aver concesso all'Austria di farsi potenza tutrice dei sudtirolesi. Una critica che in questi decenni è stata ripetuta come un mantra da tutta la destra politica italiana, unita nel considerare l'Accordo come un evento a dir poco sciagurato.
Stando così le cose, non vi è da meravigliarsi se, in questi sette decenni, l'anniversario del Trattato, sia stato celebrato, a Bolzano, con molte esitazioni e qualche imbarazzo. Se si vuole trovare sincero entusiasmo occorre andare a Vienna, ma soprattutto a Trento, dove si raccolgono da sempre i tifosi più sfegatati di un'intesa nella quale il Trentino non è neppure nominato.
Anche ammesso però che, tra Salorno e il Brennero il clima sia un poco cambiato in meglio, e che quindi si possa dire che il tizio delle sberle di Innsbruck di settant'anni fa aveva torto, resta da capire il perché del suo sbaglio.
Mi spiego. Nel "raccontare" l'Accordo di Parigi i motivi per cui oggi esso viene ricordato e celebrato, la tendenza è praticamente sempre quella di presentarlo come un ottimo affare, sia per i sudtirolesi in senso stretto sia per tutti coloro che oggi in Alto Adige vivono e lavorano. Un perfetto esempio di questo stile è il numero speciale della rivista, edita dalla Provincia Autonoma di Bolzano, dedicato proprio a questo settantesimo anniversario del Patto. A parte alcune generiche notazioni di carattere generale, quasi tutti gli articoli contenuti nella pubblicazione sono tesi ad illustrare i vantaggi che, nei vari settori dell'economia e della società, sono stati ottenuti attraverso quell'autonomia che è nata, sia pure dopo un parto piuttosto travagliato, dall'intesa siglata nel 1946 a Parigi.
È un ragionamento, sia ben chiaro, più che logico ed accettabile. Un accordo è un contratto e la validità dei contratti, da che mondo è mondo, si misura sulla base dei benefici che essi producono.
Solo che , una volta tanto, una volta ogni settant'anni, piacerebbe sentir cantare anche un'altra canzone. Piacerebbe sentir dire che il Trattato De Gasperi Gruber può essere valutato e considerato un fatto di grande importanza anche a prescindere dagli effetti positivi che ha avuto.
Piacerebbe sentir fare ai giovani tedeschi, italiani e ladini un discorso di questo genere. "Cari ragazzi, in quei giorni del settembre del 1946, l'Europa intera, per non parlare del resto del mondo, era uno sterminato campo di macerie morali e materiali. La guerra ufficiale era finita, ma ogni giorno si consumavano atroci vendette e violenze ancor più spaventose perché vedevano come vittime predestinate non più i militari in divisa, ma i civili, le donne, i bambini. Il popolo tedesco, per esempio, scontava sulla propria pelle gli orribili crimini commessi dal regime nazista. Centinaia di migliaia di abitanti di intere regioni, dalla Prussia orientale ai Sudeti, venivano deportati, dovevano abbandonare le loro case, erano fortunati se riuscivano a sfuggire alla morte o ai maltrattamenti. Decine di migliaia di italiani, altro esempio, erano costretti, solo perché erano italiani, ad abbandonare le località dell'Istria e della Dalmazia.
In quell'oscurità angosciante, a Parigi, l'Accordo siglato da Alcide De Gasperi e Karl Gruber, fu come una piccola luce accesa nel buio. Non solo per il suo contenuto concreto, ma perché rappresentava la speranza di poter regolare le questioni relative alla convivenza, sullo stesso territorio, tra popoli di lingua e cultura diversa in un modo differente da quello usato nel passato. Non più la snazionalizzazione violenta, la negazione dei diritti delle minoranze, i mostruosi scambi di popolazione inventati a tavolino dalle dittature, ma la scommessa sulla possibilità, attraverso l'autogoverno locale, di costruire, dopo secoli di odio e contrapposizioni, un rapporto nuovo, rispettoso dei diritti individuali e del reciproco sviluppo culturale.
Una speranza secondo pochi, un'illusione secondo altri.
Fu però, cari ragazzi, un segno di enorme importanza, proprio perché fu concepito in un momento storico nel quale tutto sembrava muoversi nel verso opposto. E non è un caso che le due firme poste in calce a quel documento appartengano a due persone le cui radici politiche e culturali affondavano nel terreno costituito dall'esperienza, finita purtroppo ma non per questo meno importante, di quell'impero asburgico che aveva tenuto assieme, per secoli, uomini e donne di fede, cultura e religione assai diverse.
Non è solo per questo, cari ragazzi, che L'Accordo è importante ben al di là dei vantaggi che esso ci ha portato. In quel documento c'è il riconoscimento coraggioso di uno stato di fatto, dell'esistenza, dopo un processo storico travagliato e pieno di errori e di ingiustizie, di un Alto Adige nel quale ormai convivono, l'uno accanto all'altro, tre gruppi linguistici. È un invito a non dimenticare il passato, ma a guardare verso il futuro. Per i sudtirolesi è l'opportunità di fare una scelta, dolorosa quanto si vuole ma necessaria e coraggiosa: quella di costruire restando all'interno dello Stato italiano le condizioni per il mantenimento della propria identità. Per gli italiani è il "pezzo di carta" su cui basare il proprio diritto a restare in questa terra, con il quale sostituire un'identità costruita invece solo sul mito della conquista bellica e sostenuta dalle colonne di marmo con i fasci littori. Per questo, anche se non solo per questo, celebriamo oggi l'intesa di allora e rendiamo omaggio agli uomini che la concepirono. Per questo quel ceffone dato a Innsbruck era sbagliato allora, anche se umanamente comprensibile, e resta sbagliato oggi. Lo sarebbe, sia ben chiaro, cari ragazzi, anche se l'Accordo non avesse apportato nemmeno uno dei vantaggi di cui possiamo legittimamente considerarci soddisfatti".
Piacerebbe sentir fare un discorso del genere, ma, temo, non succederà.
Maurzio Ferrandi è nato a Bolzano nel gennaio del 1954. Dopo aver frequentato il liceo Carducci si è laureato in giurisprudenza con tesi sulle Opzioni del 1939. Ha lavorato come giornalista presso le redazioni di Adige, Alto Adige, TVA e RAI Bolzano dove ha ricooperto per oltre 13 anni la carica di Caporedattore.
Gli Accordi De Gasperi -Gruber - Ritagli di storia di Alessandro de Bertolini
Alessandro De Bertolini, nato a Trento nel 1979, è ricercatore presso la Fondazione Museo storico del Trentino e giornalista pubblicista. Collabora con il Corriere del Trentino e il Corriere dell’Alto Adige, con Trentino Industriale e altre riviste.
Anmerkung: Der Text von Rolf Steininger wurde im letzten Augenblick vom Autor zurückgezogen. Freitag, 2. September folgt der dritte Teil: Michael Gehler - Gescheiterte Selbsbestimmung und verweigerte Autonomie.
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Passkontrolle am Brennerpass: Schatzkammer Südtirol. (Alle Bilder: National Archives, Washington DC.)
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