Papa Francesco ospedale Gemelli
Foto: Virgilio
Politica | il cappuccino

Fratello Francesco

Vorrei abbracciare Papa Bergoglio, per "provare ad essere, molto a fatica, non l’ultimo ma l’ultimissimo dei suoi fratelli e sorelle".

Appartengo a quel gruppo di umani e di terrestri (siamo molti milioni e stiamo credo aumentando in numero e convinzioni) che vorrebbe abbracciare Papa Francesco.

Gli intrinseci motivi di Fede e di Credo religioso saranno temi che affronterò di nuovo con alcune persone che gli sono vicine, preti tutti e tre. Ma io mi figuro l’ebbrezza e l’emozione di sentire sulle tempie, almeno per due secondi, la ruvidezza gentile della sua faccia, del suo sguardo, della sua espressività che definire “universale” mi appare troppo poco ogni giorno che passa.

Chiederò dunque al mio vescovo a Bolzano, poi ad un colto amico sacerdote e giornalista e infine allo storico ex parroco di Santa Maria in Trastevere a Roma, don Matteo, di ripercorrere insieme le ragioni profonde di tutto questo. Se troveranno il tempo, sono sicuro che mi daranno retta.

So comunque da me che una dei motivi più intensi e catartici per cui vorrei abbracciare Papa Francesco risiede nelle immagini dei giorni passati, legate al suo ricovero al decimo piano del policlinico “Agostino Gemelli” di Roma.

Ancora convalescente, Francesco ha battezzato un neonato nel reparto oncologico-pediatrico dello stesso policlinico. Sabato scorso, prima di tornare nella residenza di Santa Marta in Vaticano, si è fermato ad abbracciare una giovane coppia che avevo perso nella notte la propria bambina malata. E che il Papa aveva conosciuto alcuni anni prima.

Come se non bastasse, già al secondo giorno di ricovero, Francesco – che ha sempre nutrito una attenzione speciale verso la libertà di stampa nel mondo, Italia compresa – ha voluto leggere i giornali. Informarsi, capire. Un tema che mi è caro da ragazzo e che considero vitale per la mia professione.

All’inizio di questa settimana di Pasqua 2023, che vedrà Bergoglio presente ma non sempre unico officiante ai riti di questi giorni, il pensiero di questa rubrichina va dunque, fervidissimo, a Papa Francesco.

Alle istruzioni che quasi ogni giorno affida al cardinale Elemosiniere che segue i clochard intorno a San Pietro, i rifugiati e i profughi delle guerre in corso. Al suo modo, così struggente di esser Papa e così schietto di guardare, osservare, ascoltare prima ancora che a quello di parlare e comunicare.

Che cosa pensare, allora, se non alla possibilità di abbracciarlo anche solo per un attimo? E provare ad essere, molto ma molto a fatica, non l’ultimo ma l’ultimissimo dei suoi fratelli e sorelle.