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“Ricominciamo dalle piazze”

Zeno Oberkofler sulla passione politica nata fra i banchi di scuola, l’imprinting Verde, l’Europa da prendere per mano, i giovani alla ribalta, e la musica onnipresente.
Zeno Oberkofler
Foto: Salto.bz

salto.bz: Zeno Oberkofler, 21 anni, co-portavoce dei Giovani Verdi, studente di Fisica all’università di Trento, musicista. Le elezioni comunitarie sono alle porte, lei che Europa sogna?

Zeno Oberkofler: Un’Europa più forte e coesa non solo sulla carta, un’Europa che non sia solo un’entità astratta ma una specie di pilota per tutti i Paesi europei e un modello per gli altri continenti. Che faccia una politica volta verso il futuro e le prossime generazioni, improntata al bene comune. Che metta al primo posto della sua agenda l’emergenza climatica, e al contempo affronti il tema sociale con serietà e propositività, diminuendo la forbice fra ricchi e poveri e garantendo ai suoi cittadini lavoro e condizioni di lavoro eque. 

Buone le intenzioni, ma è uno scenario plausibile?

Volere è potere. Queste elezioni europee saranno decisive, soprattutto per tutti quei ragazzi che non possono ancora votare e che stanno scendendo in piazza. L’assetto che uscirà dalle urne il 26 maggio condizionerà la vita di moltissimi giovani. È il momento di prendere una direzione di marcia precisa, e che sia verso un cambiamento profondo. Ci sono forze che quest’Europa vogliono distruggerla, tornare su posizioni nazionaliste retrograde, ma non comprendono che per essere davvero sovranisti dobbiamo essere europei, altrimenti finiremo per non contare nulla nel contesto globale. 

Ricette?

Trovo sbagliato difendere le politiche del “business as usual”. Vogliamo più Europa, d’accordo, ma poi cos’è che ne vogliamo fare davvero? Ecco, se l’intento è fare fronte comune contro il populismo così come contro la politica delle lobby e delle multinazionali che condizionano molto spesso le decisioni che vengono prese a livello europeo, allora bisogna prospettare un nuovo modello per il nostro continente. Superare il frazionamento interno e lavorare insieme per un fine che vada oltre la sola difesa degli interessi della propria nazione. 

 

 

A proposito di frazionamento, i Verdi non avrebbero forse fatto meglio a presentarsi alle europee del 26 maggio apparentandosi con le costellazioni della sinistra?

I Verdi europei hanno combattuto in questi anni su molti temi volti a raggiungere il benessere collettivo, parlano da tanto di cambiamento climatico, un tema che fino a poco tempo fa veniva snobbato. Ora finalmente ne parlano quasi tutti. Il problema è che non c’è più tempo per le parole al vento e i buoni propositi, ora è tempo di agire. Non noto una visione altrettanto chiara, oggi, nella sinistra. Unirci solo per contrastare un “nemico comune” non basta, le persone hanno bisogno di vedere un progetto concreto e un cambiamento altrettanto reale, dire “vogliamo rafforzare l’Europa” o “l’Europa è la soluzione” è una cosa ovvia che dovrebbe essere universalmente accettata, sono affermazioni che restano nel perimetro degli slogan. Io credo che i Verdi europei siano l’unica forza che in Europa possa interpretare quel cambiamento necessario e avere il coraggio di perseguirlo. 

Quelle forze che vogliono distruggere l'Europa non comprendono che per essere davvero sovranisti dobbiamo essere europei, altrimenti finiremo per non contare nulla nel contesto globale

La sinistra dice che siete degli ecologisti elitari…

Piuttosto lo direi di Macron e dei liberali. Sgravi fiscali alle grande aziende che inquinano, sulle spalle dei lavoratori e dei contadini delle campagne: questa è la strada sbagliata. La questione climatica è strettamente legata a quella sociale. Lo ha detto anche l’olandese Bas Eickhout, candidato capolista insieme a Ska Keller dei Verdi europei: i più colpiti, direttamente o indirettamente, dal cambiamento climatico sono proprio le popolazioni vulnerabili in quanto sprovviste dei mezzi necessari per attuare politiche efficaci di contrasto. Fare una politica radicale sul clima significa anche puntare agli obiettivi di uguaglianza e giustizia sociale. Credo però che i Verdi a livello comunicativo abbiano forse fatto un errore.

Quale?

Spesso mi sento dire che i Verdi appaiono come un partito che vuole imporre alle persone un certo stile di vita dicendo: “Questo lo puoi fare, quest'altro no”. Almeno così sono percepiti da molti. A mio avviso non bisogna addossare troppo la colpa al singolo ma più al sistema in cui ciascuno di noi è cresciuto e da cui ha imparato. Bisogna guardare per esempio ai miliardi di euro investiti nei combustibili fossili e non puntare il dito contro il singolo se prende l’aereo anziché il treno perché è più conveniente. Forse questo i Verdi devono semplicemente comunicarlo meglio, perché poi nei fatti sono stati i promotori di questi temi all’interno del Parlamento Europeo.

Da Greta Thunberg a Simone di Torre Maura è il conformarsi alla politica del “tornare per strada” in un tempo che registra meno militanza e partecipazione, soprattutto fra i giovani, che desta tanta attenzione?

Probabilmente è così. Ma è proprio dalle piazze che bisogna ripartire. La volontà di dire le cose come stanno è ciò che caratterizza i giovani, che non difettano in audacia. Noi ci siamo, mi viene da dire, prendeteci sul serio. 

Parlando di serietà, su Greta ad esempio la corsa a criticare il personaggio, dalla sua capigliatura alla sindrome di Asperger di cui soffre, è partita in un lampo.

Perché si aggira il contenuto della sua protesta, e si cerca di denigrare Greta sul piano personale oppure si va alla ricerca del complotto. Credo che questo tipo di atteggiamento nasconda in realtà il rifiuto di analizzare un problema reale.

La volontà di dire le cose come stanno è ciò che caratterizza i giovani, che non difettano in audacia

In Italia si è fatto di più, è stata creata ad arte un’“antagonista” della Thunberg, Izabella Nilsson Jarvandi, 15enne di “posizioni sovraniste” che peraltro in Svezia è stata completamente ignorata.

Greta mette in discussione tutto quel sistema di potere che non ha guardato al bene comune ma ai profitti individuali dei pochi. Ecco perché si cercano le anti-Greta. Il dibattito politico in generale, anche attraverso i social, è sempre più superficiale, si attaccano soprattutto le donne, considerate un bersaglio facile, attraverso campagne mirate al solo scopo di diffamarle. Penso a Laura Boldrini, per esempio, tutto si gioca tutto sul terreno della simpatia e dell’antipatia. I limiti della decenza vengono costantemente superati, come quella volta che il deputato leghista Maturi si è scagliato contro l’assessora verde Marialaura Lorenzini, o il caso Masocco, e non sono episodi isolati, in tutta Italia è così.

Di contro credo che la tenacia che stanno dimostrando i giovani cominci a incutere rispetto. Noto che i politici ora sono come obbligati a giustificare i motivi per cui determinate azioni non sono state messe in campo negli ultimi anni, e mi riferisco anche all’Alto Adige. So che non stiamo chiedendo cose facili alla politica e che i cambiamenti sono certamente graduali, ma queste piazze piene di giovani dovrebbero infondere coraggio a chi siede nella stanza dei bottoni, il coraggio di fare le cose insieme, anziché alimentare un antagonismo sterile.

 

 

La narrazione secondo cui si vogliono i giovani smarriti e perennemente indecisi è forzata?

In questi anni da questo punto di vista c’è stata una certa stasi, ma ora il continuo mobilitarsi fa ben sperare. Del resto non potevano che sollevarsi voci di fronte a chi per esempio vuole abolire l’aborto, chiudere i confini, e con un colpo di mano cancellare tutte le conquiste faticosamente avute.

L’Alto Adige ha un potenziale pazzesco in tanti ambiti, il bilinguismo per esempio ce lo invidiano ovunque, e invece si tiene il freno a mano tirato, quasi si volesse rallentare quel progresso e quella crescita che nella società, al contrario, procede a passo spedito

E la sua passione politica quando è scattata?

A casa si è sempre parlato di politica, di certi temi in particolare, mio padre è stato per anni presidente di Legambiente e forse il “lato green” si è sviluppato anche grazie a quelle discussioni in famiglia. La vera passione però è nata a scuola, quando mi sono reso conto che le questioni ambientali, così urgenti, non venivano affrontate a dovere. La mia insegnante di italiano al liceo mi ha aiutato molto in questo percorso di consapevolezza. Un’ora di lezione alla settimana, con lei, veniva dedicata all’attualità, ognuno di noi portava in classe un articolo e lo si discuteva insieme. Da lì si è, come dire, accesa la miccia. Da rappresentante di classe sono passato a essere rappresentante d’istituto, abbiamo organizzato un’autogestione dove non sono mancate le occasioni di dibattito. Poi c’è stato l’incontro con i Giovani Verdi, che sono diventati la mia “casa politica”.

Il fatto di essere nato in una famiglia bilingue è un elemento che ha contribuito a voler entrare in politica? Per dare una spallata allo status quo?

Assolutamente sì. A 18 anni dover dichiarare di appartenere a un gruppo linguistico piuttosto che a un altro è qualcosa di inconcepibile per me. Io dico che bisognerebbe potersi dichiarare bilingui. Anche la proporzionale, che aveva un senso ed è stata fondamentale dopo il periodo buio del fascismo, è anacronistica, non dico di abolirla ma credo che possa essere quantomeno rimessa in discussione. È assurdo per me comprendere certe divisioni, quando ne parlo con i miei compagni di università a Trento rimangono a bocca aperta. Non poter scegliere di andare in una scuola bilingue, pur mantenendo sia quella in lingua tedesca che quella italiana, è illogico. Ma perché negare l’arricchimento che può arrivare dal frequentare un’istituto bilingue anche considerando che siamo cittadini d’Europa? E non è solo una questione di lingua ma di incontro, di ritrovo.

I Fridays for Future sono stati esemplari, in questo senso.

E hanno funzionato benissimo, ma forse è proprio questo che spaventa una certa politica che non vuole riconoscere che la società è cambiata. Perché abbandonare questo sistema che è anche un sistema di potere e di controllo non conviene, evidentemente. E così restiamo nella nostra bolla, sebbene l’Alto Adige abbia un potenziale pazzesco in tanti ambiti. Lo stesso bilinguismo ce lo invidiano ovunque, e invece si tiene il freno a mano tirato, quasi si volesse rallentare quel progresso e quella crescita che nella società, al contrario, procede a passo spedito. Anche nella musica vedo questa tendenza a separare tutto nettamente, ma a che pro?

 

 

Suona il violino da quando frequentava la prima elementare, una vocazione?

La scintilla è scoccata all’asilo. Avevo una maestra svedese, Anna, che un giorno si portò dietro il violino e si mise a suonarlo per noi bambini. Io non me lo ricordo ma mia madre mi ha raccontato che sono rimasto completamente affascinato da questo strumento. Una volta mi sono ritrovato a casa della figlia di un’amica di famiglia che stava facendo lezione con il maestro Franco Turra, dell’orchestra Haydn. Avrò avuto 6-7 anni, appena ho visto il maestro mi sono nascosto sotto il tavolo e mi sono messo ad ascoltare. Alla lezione successiva mi sono fatto coraggio e ho partecipato. Così è iniziato lo studio vero.

Momenti difficili?

Tanti. C’è stato un periodo in cui volevo addirittura smettere, una volta ho anche spaccato un archetto, io volevo solo giocare con gli amici in cortile. Non ho mai studiato seriamente in quegli anni, cosa di cui oggi mi pento. Poi sono entrato in Conservatorio, ma è stato quando ho iniziato a suonare in gruppo, in un’orchestra per la prima volta, che mi sono sentito veramente appagato. Ho avuto la fortuna di incontrare delle persone fantastiche che mi hanno ispirato e preparato molto. A partire dalle mie insegnanti di Conservatorio Isabella Cavagna e Gisella Curtolo, ma anche Irene Troi che mi ha trasmesso tanto del grande direttore austriaco Nicolaus Harnoncourt. Il fatto di ritrovarmi in classe con Niccolò Tomada, figlio del grande violinista Roberto Tomada, è stato un incontro fondamentale. Roberto ci ha aiutato a prepararci per il Festival studentesco ed è lui che mi ha consigliato di fare una masterclass con Stefano Pagliani, insegnante e primo violino al Teatro alla Scala di Milano per 10 anni. E così ho fatto, Pagliani mi ha aperto nuovi orizzonti, è stato come andare da un medico per capire cosa non andava in me e con lui ho reimpostato il mio modo di suonare, ma è una ricerca continua. E ora a giugno c’è l’esame di Conservatorio.

La musica sarà sempre parte della mia vita, qualsiasi strada io scelga

In questi giorni è anche impegnato con l’orchestra sinfonica giovanile altoatesina Matteo Goffriller.  ​

Venerdì abbiamo suonato in Austria, stasera alle 19 suoneremo al Forum di Bressanone assieme all’orchestra sinfonica giovanile austriaca dell'Attergau. È un grande onore per l’Alto Adige avere un’orchestra giovanile che si esibisce ai “Nicolaus Harnoncourt Tagen”, un festival musicale che vede partecipi artisti di fama internazionale come per esempio musicisti dei Wiener Philarmoniker, del Concentus Musicus e quest’anno anche il Hagen Quartett. Si tratta di un progetto importante per la nostra provincia che vede uniti in un’orchestra giovani musicisti di tutti e tre i gruppi linguistici che fanno musica insieme, ed è interessante è anche il gemellaggio che va oltre i confini nazionali tra l’orchestra giovanile altoatesina e quella austriaca. 

Non ascolterà però solo musica classica…

Ne ascolto molta, i miei fratelli infatti mi prendono in giro [ride]. Ma mi piace anche molto la musica rock degli anni 60-70. Mio zio, che ora non c’è più, era un collezionista di dischi e un appassionato di musica, quando eravamo piccoli a noi nipoti ci registrava le audiocassette con i Kings, i Beatles. Ora il suo posto l’ha preso mio fratello, che ci passa le sue scoperte musicali, anche se non sempre i gusti coincidono. La musica ha sempre fatto parte della mia famiglia, mia sorella ha studiato flauto e ora canta in un coro, mio fratello ha studiato per 8 anni pianoforte, ha imparato a suonare la chitarra e la batteria e ha messo su una band. Anche mio padre è stato un batterista in un gruppo rock, gli Yellowstones di Bressanone.

 

 

È questo che vuole fare “da grande”, il violinista?

Ci sto pensando. Quello del musicista è un lavoro totalizzante a cui bisogna dedicare il 100% delle energie. Quello che so è che la musica sarà sempre parte della mia vita, qualsiasi strada io scelga. Già alle superiori avevo una vita parallela, fra scuola e Conservatorio, mi ricordo che durante le ore di tedesco, al liceo, tenevo sulle gambe il libro di storia della musica e studiavo. Ora con l’esame al Conservatorio si chiude un capitolo e devo capire cosa verrà dopo. Intanto mi sono preso un anno sabbatico dall’università. E sto pensando di trascorrere un periodo all’estero.

Col biglietto di ritorno in tasca?

Sì, che devo dire, la Heimat mi dà sicurezza, senza le mie montagne mi sento un po’ perso.

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Elisabeth Garber Dom, 05/05/2019 - 11:51

Ein sehr interessantes Interview von Sarah Franzosini mit einem jungen Mann, der Dinge auf den Punkt bringt, bravo:
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"Di contro credo che la tenacia che stanno dimostrando i giovani cominci a incutere rispetto. Noto che i politici ora sono come obbligati a giustificare i motivi per cui determinate azioni non sono state messe in campo negli ultimi anni, e mi riferisco anche all’Alto Adige."
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I Fridays for Future sono stati esemplari, in questo senso.

E hanno funzionato benissimo, ma forse è proprio questo che spaventa una certa politica che non vuole riconoscere che la società è cambiata. Perché abbandonare questo sistema che è anche un sistema di potere e di controllo non conviene, evidentemente. […]

Dom, 05/05/2019 - 11:51 Collegamento permanente