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"Alcide accanto a Silvius, finalmente"

Paolo Berloffa ricorda la figura del padre. "Occorre cambiare la narrazione dell'autonomia, non è solo una cosa "tedesca". Decisivo l'apporto degli italiani".
Alcide Berloffa parco
Foto: Comune Bolzano

Cambiare la narrazione dell’autonomia per non far passare sempre l’idea che si tratti di una “cosa tedesca” ma alla quale hanno dato un contributo decisivo anche “gli italiani”. E’ quello che si augura Paolo Berloffa, figlio di Alcide, ora che, a dieci anni dalla morte, gli viene dedicato uno spazio nel parco della Stazione, a pochi metri da piazza Magnago.  Da ieri (4 settembre) il parco è ufficialmente fruibile. Oggi (domenica) sarà teatro dei festeggiamenti per i 75 anni dell'Accordo De Gasperi - Gruber ai quali parteciperano anche Romano Prodi e Heinz Fischer.

Alcide da una parte e la piazza dedicata a Silvius con i totem rossi dall’altra. Anche chi non ha nessuna intenzione di morire democristiano riconoscerà che Berloffa fu un politico di alto livello.  Non tanto perché fu segretario organizzativo della Dc nazionale e uomo di fiducia di Aldo Moro, ma perché, davvero, senza l’impulso che lui in prima persona seppe dare al dialogo nell’anno più difficile, il 1961 - quello della pioggia di bombe irredentiste, ma anche dell’inizio dei lavori nella Commissione dei 19 - chissà dove si sarebbe potuti finire.

 

Salto.bz: Paolo Berloffa, come vive questo momento? Non è un po’ tardivo il riconoscimento per il lavoro svolto da suo padre, che non fu di semplice mediazione, ma anche di co-elaborazione dell’intero impianto autonomistico?

Paolo Berloffa: Per le intitolazioni degli odonimi devono passare 10 anni, e mio padre è deceduto nel 2011, per cui siamo nei tempi giusti. Anzi, mi sento di ringraziare il sindaco Caramaschi per il suo impegno.

Addirittura, non era scontato?

Mio padre stesso si è era accorto di quanto fosse difficile, in politica, portare a casa anche le cose più banali. Questa intitolazione è un passo molto importante che avviene in coincidenza con apertura del percorso dell’autonomia. La presenza del parco e di uno spazio dedicato a mio padre dà un significato diverso al 5 settembre, che fino ad oggi è stato vissuto come una “cosa SVP”. E ovviamente il punto non è il riconoscimento di uno degli artefici, mio padre, ma del decisivo contributo apportato dal gruppo di lingua italiana. Questa autonomia è stata fortemente voluta da una parte del gruppo italiano e dai suoi rappresentanti, mentre la destra ha speculato e guadagnato politicamente per almeno un decennio sparando contro l’autonomia, anche se ora praticamente tutti ne valutano positivamente l’impianto.

In realtà diciamo che nella fase iniziale senza l’apporto della sinistra Dc guidata da suo padre la situazione di “stallo conflittuale” sarebbe probabilmente continuata chissà quanto.

Sì, è vero, alla base del secondo statuto c’è la volontà di pacificazione messa in atto da un gruppo coeso di democratici che avevano deciso di abbandonare la sterile linea nazionalista e di avviare un dialogo con il mondo tedesco, fermi comunque nella convinzione di rifiutare la violenza come strumento di  rivendicazione, come era avvenuto con i cosiddetti irredentisti.  Per questo è necessario modificare la narrazione dell’autonomia come processo portato avanti e voluto solo dal gruppo tedesco. Va anche ricordato  il ruolo avuto nella fase finale anche dal PCI, che con i suoi voti in parlamento permise di evitare la possibilità del referendum abrogativo. Senza tutte quelle persone non ci sarebbe stato un processo autonomistico, che in realtà si è compiuto in tempi brevissimi. Dal ’61 al ’69 con la risicata approvazione da parte dell’Svp e l’approvazione in Parlamento nel 1972 è in realtà un tempo breve, per una riforma di questo tipo. Si pensi che poi ci sono voluti altri vent’anni per arrivare alla quietanza liberatoria dell’Austria. Il tutto avvenne in un periodo tremendo per l’Italia, tra stragismo, Brigate rosse, tentati colpi di Stato. Nel percorso mio padre dovette avere a che fare con 32 presidenti del consiglio diversi. Trentadue.

 

Nel comprensibile processo di santificazione di Silvius Magnago si omette di ricordare, però, che nel 1961 il padre dell’autonomia era su posizioni molto intransigenti e fu praticamente costretto a cambiare linea perché messo alla corde dalla nuova corrente SVP denominata Aufbau costituita da personaggi di area moderata e cattolica come Toni Ebner (padre), parlamentare e direttore del Dolomiten, e di altri parlamentari come Roland Riz, oltre a Erich Amonn e a una cinquantina di sindaci, esponenti del Bauernbund e delle ACLI tedesche. Queste “colombe” Svp hanno svolto lo stesso ruolo della sinistra Dc bolzanina che si staccò dalla destra Dc e soprattutto dalla Dc trentina.

Sì, indubbiamente, questo fu uno degli snodi per l’avvio della trattativa. Va riconosciuto che la famiglia Ebner, che oggi ha un discusso monopolio dell’informazione italiana e tedesca ed un peso enorme nel condizionare le scelte della Stella alpina, nei momenti chiave della storia locale è sempre stata su posizioni democratiche e antinaziste. Una volta avviata la trattativa Magnago ha avuto il grande merito di condurre e tenere unito il partito fino all’approvazione del ’69 che passò di un soffio. Va anche ricordato che a votare contro fu pure quello che dopo Magnago ha governato e sviluppato l’Alto Adige per 25 anni, Luis Durnwalder.

“La scuola che non deve perdere di vista l’obiettivo primo della preparazione di cittadini bilingui destinati a vivere ed operare in una zona mistilingue”. Questa sembra una frase di Christian Tommasini del 2017 ed invece è stata pronunciata da suo padre nel 1961 in Commissione dei 19. Così come questa: “La scuola deve salvaguardare gli interessi culturali delle minoranze linguistiche e formare cittadini preparati alla convivenza pacifica e fruttuosa nell’ambito locale e in quello nazionale ed aperti alla visione delle future e più vaste comunità democratiche europee”. E allora l’Unione europea era ancora un’idea più che una realtà.

(sorride) L’ideale di creare dei giovani sudtirolesi che fossero slegati dai nazionalismi era già allora sentita come una necessità. In italia si disse si è fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani. Qui valeva lo stesso: l‘autonomia era fatta, bisognava creare una comunità autonomistica sudtirolese-altoatesina in cui tutti potessero tenere la loro identità e costruire un futuro comune. La posizione langeriana, per fare un raffronto, prevedeva invece il superamento delle identità e una fusione tra le culture, che, essendo i rapporti numerici tra i gruppi molto differenti, avrebbe portato un gruppo a prevalere sull’altro.

Da almeno 20 anni si parla però di disagio del gruppo italiano.

Come appare delineato già nell’accordo Degasperi-Gruber, per Magnago era chiaro che l’autonomia doveva essere intesa in senso territoriale e dunque a vantaggio di tutti e tre i gruppi, ma è un dato di fatto che per decenni una quantità enorme di fondi sia andata in periferia, che negli anni Settanta scontava una forte arretratezza. Il gap si è colmato e però lo schema ha continuato ad essere lo stesso, con in più una forte recupero del gruppo tedesco nell’apparato pubblico, che era uno dei principali sbocchi professionali  per il mondo italiano.  Non c’è nulla di più ingiusto quando c’è parità formale tra i gruppi, ma disparità reale nella partecipazione alla creazione e alla produzione della ricchezza.

Mi è capitato di leggere circa quattro mesi di pubblicazioni del quotidiano Alto Adige del 1961. Erano altri tempi, ma sono rimasto stupito dal livello di aggressività sia verso Magnago sia verso la sinistra dc non negli editoriali ma proprio nei pezzi. Il taglio ricorda quello dei giornali di destra di oggi, come il Giornale e Libero. Negli anni i toni del giornale sono cambiati, ma comunque poi fu la destra politica a bersagliare suo padre praticamente tutti i giorni. A casa ne ha mai parlato?

Mio padre era una persona molto riservata, che non ha mai portato in famiglia le questioni politiche. Non deve essere stato facile lavorare così, ma questo  dà anche  l’idea di quanto “illuminate” e motivate fossero le persone che hanno contribuito al processo. Mio padre, fortunatamente non da solo, ha dovuto sopportare un peso molto forte. Sinceramente faccio fatica a capire come sia riuscito a sopportare decenni di attacchi da parte italiana e a riuscire a farsi ascoltare a Roma.  Avrà sicuramente avuto dei momenti di sconforto ma non lo ha mai lasciato trasparire. Oltre alle vicende locali, uno dei momenti più duri fu sicuramente l’omicidio di Aldo Moro, del quale era davvero molto amico. Quella vicenda lo ha segnato molto. Credo però che quel sacrificio lo abbia spronato a non mollare e portare in fondo quello che avevano cominciato assieme.

Ma dal punto di vista umano che rapporto aveva con Magnago?

Loro si sono conosciuti nel 1948, nel primo consiglio comunale di Bolzano democraticamente eletto, ed hanno subito iniziato a stimarsi. Poi le strade si sono divise con Magnago “sparato in Provincia” e mio “padre” in Parlamento, per poi ricongiungersi a partire dalla Commissione dei 19. Erano due persone che avevano vissuto gli errori e gli orrori della guerra, che avevano in comune la fede cristiana, e un’assoluta stima e fiducia reciproca. Senza questa vicinanza umana il processo sarebbe stato probabilmente irrealizzabile.

Che lei sappia suo padre si è mai pentito di qualche concessione di troppo?

Mio padre non ha mai inteso le trattative in termini di  “concessioni” (da cui l’accusa di “svendita degli italiani”). Per lui il tema di fondo della suo operare era la mediazione e il bilanciamento fra l’aspirazione  ad un massimo ampliamento delle competenze autonomiste (in cui credeva) e “l’interesse nazionale” che lo Stato per definizione deve rappresentare e salvaguardare. Solo molti anni dopo (2001) ci fu la riforma del titolo V della Costituzione che diede forma al principio di sussidiarietà. Anche in questo caso lo Statuto è stato anticipatore di tendenze che oggi appaiono quasi naturali. Forse l’unica norma che ad un certo punto gli è in parte sfuggita di mano fu l’applicazione rigida e molto accelerata della proporzionale con il cosiddetto meccanismo di recupero. Mio padre era contrario, ma fu in sede romana che fu proposta in maniera incauta. Ovviamente l’occasione fu colta la volo e di lì non si tornò più indietro.

Ad Alcide Berloffa si è spesso imputato di aver operato in segretezza, quasi di nascosto.

Nulla di più falso e ingeneroso. Se vogliamo riferirci ai rapporti con i giornalisti possiamo  parlare al massimo di riservatezza, che era il suo stile personale ed in politica. Ma dobbiamo ricordarci che i piani politici nei colloqui erano tre: quello locale, quello nazionale con Roma e quello internazionale con Vienna. La riservatezza era quasi un obbligo, oltre che consigliabile. Al di fuori di questo ogni singolo passo è stato apertamente discusso dentro la DC e portato anche all’esame esterno. Ricordo per esempio gli interminabili incontri “di gruppo”, dove si impegnava con fatica a spiegare e rispiegare sino che anche l’ultimo era convinto. Oggi con i partiti “liquidi” tutto questo è sparito, si lancia uno slogan e via. Mi permetta ancora un’ultima precisazione. A volte si descrive Alcide Berloffa come un uomo solo. Non è vero. Papà era al centro di un gruppo di cristiano democratici totalmente immersi nella società civile, di cui coglievano le ansie e le aspirazioni. Naturalmente fortissimi erano i legami con il mondo cattolico, come i rapporti con le Acli. Giorgio Pasquali, Armando Bertorelle e poi il giovane Giancarlo Bolognini, e tanti altri, erano politici  di alte visioni ma con i piedi ben piantati a terra, vere cinghie di trasmissione con il mondo sociale ed economico. Infine è bene ricordare i rapporti che Alcide Berloffa seppe costruire con la Chiesa. I fraterni rapporti con Don Giorgio Cristofolini, direttore de “Il Segno” pubblicazione della Diocesi di Bolzano, ed ovviamente la pluridecennale intima intesa con il Vescovo Monsignor Gargitter, un altro vero artefice della stagione del dialogo che ha portato al secondo Statuto di Autonomia. Mi auguro che si possa trasmettere alle giovani generazioni almeno una parte di quel patrimonio di valori e forte senso di responsabilità che animò i protagonisti di quella incredibile recente storia politica della nostra terra.

 

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Karl Trojer Lun, 09/06/2021 - 12:15

Den Beitrag den italienischsprachige Politiker unseres Landes, insbesondere Alcide Berloffa, Nicolodi, Ballardini ecc., zum Gelingen dieser Autonomie geleistet haben war von großer politischer Reife und Weitsicht geprägt und für das Gelingen unererlässlich. Gerne erinnere ich mich an die Ansprache von Silvius Magnago auf Schloss Sigmundskron 1958, an das so wichtige "Los von Trient" (dessen Urheber Hans Dietl war) und an den Applaus zum knappen Abstimmungsergebnis mit Genehmigung des "Paketes" im Kursaal von Meran. Wesentlich waren auch die Rollen die Alfons Benedikter und Roland Ritz spielten; sie waren in Kombination mit Magnago ein perfektes Terzett.

Lun, 09/06/2021 - 12:15 Collegamento permanente