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Politica | Avvenne domani

Il criterio del bisogno

Paradossi e contraddizioni nella piccola storia di come si distribuiscono gli alloggi pubblici in Alto Adige.

Una delle trovate  più redditizie con le quali, in vari paesi dell'Occidente, gli alfieri del populismo stanno guadagnando terreno è quella di invocare la precedenza dei nativi locali rispetto all'orda degli immigrati per quel che riguarda la distribuzione delle provvidenze pubbliche in vari settori, quello della casa in primo luogo. Un concetto che ovviamente viene declinato con slogan diversi a seconda della carta geografica. Negli USA c'è il "First  America" di Donald Trump, mentre in Europa abbiamo risolto invocando la precedenza assoluta dei vari popoli rispetto agli ultimi immigrati. Nemmeno l'Alto Adige poteva sfuggire a questo schema politico di grande impatto psicologico. La frase "prima gli italiani" viene utilizzata in molti campi ma, come si diceva, quello per il quale compare spesso sulle bocche e sulle felpe di un certo milieu politico è quella degli alloggi popolari, che andrebbero, dice la leggenda, ormai solo a gente con la faccia scura, mentre gli antichi abitanti languirebbero davanti ai portoni inesorabilmente chiusi.

Come quasi sempre accade, tuttavia, nella nostra simpatica provincia le cose si presentano un po' più complesse del solito, il passato ritorna implacabile a ricordare che, se è pur vero che le opinioni non sono immutabili, un po' di coerenza, almeno, sarebbe auspicabile.

Per capire il senso del ragionamento occorre, come sempre, fare qualche passo indietro. Dobbiamo tornare al 1957, sessant'anni or sono esatti. Dobbiamo farci largo tra una folla di sudtirolesi sulla spianata di Castelfirmiano e prestare la massima attenzione ad un passo del discorso che il giovane Obmann della Suedtiroler Volkspartei, Silvius Magnago,  sta pronunciando.

"Sappiamo a sufficienza - dice Magnago - come funzionano le cose oggi a Bolzano. Si costruiscono centinaia di case e vengono assegnate a coloro che vivono nelle grotte e nelle baracche. Solo che questi baraccati vengono immediatamente sostituiti da nuovi immigrati. Ed anche per questi devono essere costruite nuove case. Così avanti senza fine. E questo è il grande inganno dell'edilizia sociale a Bolzano[…] A Bolzano nel dopoguerra sono state costruite 6780 nuove abitazioni e nonostante questo c'è sempre necessità di nuove case. Chi riceve dunque nuove abitazioni? Quasi esclusivamente italiani? E perché? Perché queste nuove case costruite con fondi statali sono riservate fondamentalmente a quelle persone che si trovano in grande difficoltà. E questo accade ovviamente  per coloro che sono arrivati qui di recente. E chi è arrivato ieri? Non noi ma gli italiani.[…] Se si vuole veramente garantire la pace sociale a Bolzano occorre riconoscere al gruppo tedesco una quota corrispondente delle nuove abitazioni. Se chiediamo garanzie certe in questo senso, noi non agiamo in modo antisociale ma operiamo per la giustizia".

Questa parte del discorso di Castelfirmiano deve essere letta con estrema attenzione. Si tratta di un passaggio cruciale nella crisi della prima autonomia e sul percorso di realizzazione di quel secondo Statuto che ci governa ancor oggi. I rapporti fra Bolzano, Trento e Roma precipitano proprio quando dalla capitale arriva l'ennesimo annuncio dello stanziamento di fondi per la costruzione di nuove case popolari. Per i sudtirolesi è la conferma di una volontà politica di farli diventare minoranza nella loro stessa terra favorendo l'immigrazione italiana attraverso il meccanismo che Magnago illustra nel suo discorso. È quella "Todesmarsch" che il Canonico Michael Gamper ha paventato nel celebre editoriale sul settimanale Volksbote.

Non deve meravigliare dunque che nella lunga trattativa che porta alla nascita della seconda autonomia una parte rilevante sia dedicata proprio ai meccanismi da adottare per impedire che la distribuzione degli alloggi pubblici vada ad alterare la consistenza numerica dei gruppi linguistici. Lo strumento escogitato a questo scopo, come tutti sanno, è quello della proporzionale etnica, che vale, nel contempo, anche per riequilibrare la presenza dei vari gruppi nel pubblico impiego.

Ebbene, se è vero che se, fra tutti gli istituti che la nuova autonomia porta con sé, la "proporz" e quello che suscita sin dall'inizio l'opposizione più feroce e le critiche più aspre, è altrettanto vero che, a provocare le polemiche più violente è proprio la sua applicazione nel settore dell'edilizia sociale. Per capire compiutamente le ragioni  di quel che accade bisogna calarsi per un attimo nella situazione dell'epoca, soprattutto nei centri urbani dell'Alto Adige e a Bolzano in modo particolare. Il capoluogo provinciale, avviato negli anni 60 sfondare il "muro" dei 110 mila abitanti (e qualcuno già ipotizza anche su un piano urbanistico la città dei 150 mila bolzanini), viene improvvisamente e drasticamente bloccato.  

La costruzione di nuovi alloggi si ferma e riprende, con molta lentezza e notevoli problemi, solamente dopo l'entrata in vigore del nuovo Statuto e il passaggio totale delle competenze in materia dallo Stato alla Provincia Autonoma. Tutto questo porta con sé una carenza di alloggi, in specie per le fasce più deboli della popolazione, che rasenta l'emergenza permanente.

C'è un episodio, che la memoria cittadina ha completamente rimosso, ma che testimonia del clima di quei giorni. Nel 1975 le vecchie casette Semirurali, già sgomberate dai vecchi abitanti e in attesa di essere demolite per far posto ai nuovi quartieri di edilizia popolare, vengono occupate da decine di disperati che si barricano all'interno, dicendosi disposti a resistere a oltranza pur di poter avere un tetto sulla testa. Ci vorranno settimane di difficili e pazienti trattative per risolvere la questione. Intanto però, su un panorama già così tormentato, piomba la rigida applicazione della proporzionale etnica. A Bolzano in tutto il resto della provincia gli alloggi, quelli nuovi e quelli vecchi che si rendono disponibili, vengono assegnati in base a graduatorie separate, con l'ovvia conseguenza che, come lo stesso Magnago aveva ammesso, ottengono la casa famiglie sudtirolesi con un punteggio nettamente inferiore a quello di famiglie italiane che invece non la ricevono.

La polemica politica che ne nasce, come detto, è forse tra le più violente che abbiano accompagnato  il tormentato cammino dell'autonomia altoatesina negli ultimi decenni. Non ci sono ovviamente solo le critiche dei sindacati e della sinistra. A sparare a zero sull'utilizzo della proporzionale nella casa sono soprattutto le forze della destra italiana che in questa vicenda trovano conforto alla loro totale opposizione all'autonomia e ai suoi istituti. Nasce anche da qui la ribellione politica che troverà sostanza, qualche anno dopo, nella vertiginosa crescita dei consensi elettorali per la destra missina.

Lo slogan di allora è quello secondo cui occorre sostituire il criterio etnico con quello del bisogno. "Bisogno" è la parola chiave che compare in tutti i discorsi, in tutti i programmi. È anche la parola che, qualche anno dopo, comincerà a far capolino nelle trattative tra la SVP e gli alleati italiani di giunta. Ci vorrà del tempo, occorrerà che il partito sudtirolese sia ben certo di aver saldamente nelle mani il controllo dei vari meccanismi che regolano i rapporti fra i gruppi etnici, ma alla fine il rigido sistema di attribuzione per gruppi etnici delle case (e delle altre provvidenze sociali sia detto per inciso) verrà progressivamente ad essere mitigato con l'introduzione sempre più marcata del cosiddetto "criterio del bisogno". Il che significa che le liste dei richiedenti restano distinte, ma che, nell'attribuzione degli alloggi si tiene conto di tutti quei fattori che portano una famiglia ad essere maggiormente bisognosa: il reddito, il numero dei figli, il fatto di vivere ad esempio in un alloggio malsano o comunque inadatto.

Sono questi, guarda caso, i fattori che oggi spingono in alto nelle graduatorie le famiglie di recente immigrazione, quando riescono a conquistare (e, ricordiamocelo, non è affatto facile ed immediato) i requisiti di base per poter fare domanda di un alloggio o di un contributo. A questo punto scatta, durissima, la polemica di coloro che però, piaccia o meno, appartengono alla stessa tribù politica che qualche decennio fa invocava, con toni egualmente agitati,  l'utilizzo esclusivo dal criterio del bisogno al posto della "proporz".

Poi, siccome in Alto Adige il passato maldigerito tende a tornare, ecco che, nei giorni scorsi, qualcuno, da parte sudtirolese, fa i conti e si accorge che la distribuzione degli alloggi pubblici non corrisponde più da tempo alla proporzione tra i gruppi linguistici e che gli italiani, proprio a causa dell'applicazione dei criterio del bisogno, si sono ritagliati una fetta di torta ben più grossa di quella loro spettante in base alla cruda logica dei numeri. Immediatamente, al grido di "il Sudtirolo ai sudtirolesi", parte l'appello a ripristinare le proporzioni storiche. Cosa che, presumiamo, non sia di immediato gradimento proprio di coloro che invece propugnano l'introduzione di un sistema del genere a danno invece degli immigrati.

A rendere ulteriormente complicata questa guerra di tutti contro tutti c'è un altro fattore. Per pensare di distribuire le case o gli altri contributi sociali in base all'appartenenza a questo o quell'altro gruppo etnico, occorre ovviamente che questo sia ufficiale e definito. A suo tempo il problema fu risolto, come molti ricorderanno, con la creazione di un altro istituto bersaglio delle più vive contestazioni: il censimento etnico nominativo. Per poter distribuire case e  posti di lavoro bisognava che i richiedenti facessero atto di formale adesione ad uno dei tre gruppi linguistici ufficiali. Ne venne fuori un polverone politico di proporzioni immani con la " Neue Linke - Nuova Sinistra" di Alex Langer in prima fila a contestare quello che era rappresentato come un ingabbiamento artificioso delle identità individuali. Poi, col tempo, anche questo strumento ha subito dei ritocchi. Oggi è possibile dichiararsi "altro" quando, ogni 10 anni, si compila il modulo statistico non nominativo, ma poi, se si vuole accedere ad un concorso pubblico o al beneficio di una casa o di un contributo, si ritorna al punto di partenza e occorre, giocoforza, "aderire" ad uno dei tre gruppi storici. Il che, per un immigrato da paesi lontani, che di lavoro ma soprattutto di casa ha un disperato bisogno, può essere un passaggio meno traumatico rispetto ad un mistilingue nostrano. Il risultato è però che le varie graduatorie distinte per gruppo etnico vengono necessariamente a comprendere anche i nuovi arrivati, rendendo oggettivamente difficile applicare quella rigida esclusione che i teorici del " prima gli..." vorrebbero attuare.

Impresa difficile, ma non impossibile, mettendo in campo l'inesauribile fantasia che contraddistingue certi personaggi. È ancora di fresco conio il tentativo (Salto ne ha parlato qui) di costruire artificialmente delle liste di richiedenti delle case pubbliche, selezionando, con l'utilizzo di appositi filtri informatici solo i cognomi per così dire ... esotici. Con lo stesso sistema si potrebbero realizzare dei recinti virtuali in cui rinchiudere tutti gli sgraditi aspiranti ad una casa o ad un contributo. Solo che iniziare ad alzare steccati è impresa forse redditizia sul piano elettorale nel breve periodo, ma densa di incognite a medio e lungo termine. Si sa come si comincia e non si sa se alla fine ci si troverà rinchiusi a propria volta. E in un Alto Adige dove, proprio grazie ad una salda autonomia, il rischio di una "Todesmarsch" è svanito del tempo, ci si potrebbe permettere il lusso inaudito di demolire tutti i recinti e di distribuire ogni provvidenza sociale in base al criterio più logico e più giusto: quello del bisogno.