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Società | Avvenne domani

Il solo acquirente possibile

Piccola storia di un grande fallimento. Come fu che l'Italia rinunciò ad avere un moderno sistema dei mezzi di comunicazione.

Tra i numerosi (forse troppi?) articoli di stampa pubblicati in occasione degli ottant'anni di Silvio Berlusconi, è comparso, sul quotidiano La Repubblica, anche quello del suo autorevolissimo fondatore, Eugenio Scalfari, che ha rievocato i suoi personali rapporti con l'ex Cavaliere. Rapporti che, ci ha raccontato, risalgono a qualche anno dopo la fondazione del giornale, apparso per la prima volta in edicola agli inizi del 1976. Nella parte iniziale dell'articolo è comparsa una frase che mi ha colpito in modo particolare.

La Mondadori, -Scrive Scalfari- allora di proprietà della famiglia di Arnoldo, condivideva con il nostro gruppo dell'"Espresso" le azioni del nuovo giornale con un rapporto del 50 per cento e in più noi avevamo la partecipazione dell'11 per cento nella società di Rete 4, la televisione mondadoriana. [...]
Rete 4 andava male e la Mondadori aveva deciso di venderla al solo acquirente possibile che era appunto Berlusconi. Carlo Caracciolo ed io fummo incaricati di trattare la vendita. Berlusconi ne fu informato e ci invitò a cena ad Arcore e fu quello l'inizio non dico di un'amicizia ma di una conoscenza che col passare dei giorni e dei mesi diventò molto cordiale. [....]I contatti durarono a lungo, l'affare Rete 4 fu concluso

Posso naturalmente sbagliare, ma in queste poche parole, secondo me, c'è tutto il senso di un colossale fallimento dello schieramento progressista italiano nel tentativo di dare al paese un sistema di comunicazioni moderno e degno di una democrazia occidentale. Un fallimento storico che è, al tempo stesso, anche uno dei motivi per i quali l'Italia non ha potuto dotarsi di un'altrettanto moderna e civile democrazia basata sull'alternanza al potere tra i vari schieramenti politici.

È un'affermazione grave che va adeguatamente motivata.

Per farlo occorre seguire lo stesso percorso fatto da Scalfari con i suoi ricordi e tornare indietro ad un decennio cruciale per le vicende che ci interessano: quello compreso tra la metà degli anni 70 e la metà degli anni 80. È in questo periodo che gli avvenimenti forgiano il sistema dell'informazione italiana così come ancora noi, oggi, lo conosciamo e lo subiamo. Partiamo da alcune date fondamentali.

Il 14 aprile del 1975 entra in vigore la legge che prevede la riforma della Rai. Finisce l'epoca in cui tutta la tivù pubblica era controllata direttamente e unicamente dal Governo, ovverossia dalla Democrazia Cristiana, e il controllo passa teoricamente al Parlamento attraverso lo strumento della Commissione di Vigilanza e di un Consiglio di amministrazione nel quale vengono inseriti i rappresentanti di quasi tutte le forze politiche. In realtà avviene una spartizione, per la quale Alberto Ronchey conierà il termine di "lottizzazione",  che vede i tre partiti maggiori, DC, PSI e PCI, assumere la titolarità delle tre reti televisive, mentre nella radiofonia qualche spazio è lasciato anche ai partiti della cosiddetta "area laica". La nuova Rai prende il largo subito dopo la riforma, ma occorrerà attendere il dicembre del 1979 perché decolli, con Rai 3 e il TG3, l'esperimento di un canale pubblico consegnato nelle mani dell'opposizione comunista.

Mentre tutto questo succede nel recinto dell'emittenza pubblica, fatti di un certo rilievo stanno cambiando il volto del sistema radiotelevisivo italiano. Mentre i partiti occupano "manu militari" la RAI, sulla base di alcune sentenze decolla, impetuoso, il fenomeno dell'emittenza privata, dapprima consegnato ad una dimensione strettamente locale, poi rapidamente evoluto verso forme di copertura a livello nazionale. Verso la fine del decennio, sulla scena del settore radiotelevisivo, fanno la loro comparsa molti dei maggiori gruppi editoriali italiani, decisi ad occupare quote di un mercato che pare a tutti assai promettente. C'è la Mondadori che, come ricorda lo stesso Scalfari, possiede il network "Rete 4". C'è l'editore Edilio Rusconi, quello del settimanale "Oggi", con la sua "Italia 1". C'è anche la Rizzoli, che all'epoca controlla il Corriere della Sera, con la sua "Primarete Indipendente", destinata tuttavia ad una ingloriosa e rapida fine, per il tracollo del gruppo editoriale, piegato dai debiti e dallo scandalo P2.

Tutti e tre questi operatori hanno in comune la forma organizzativa del consorzio di emittenti locali, cui forniscono i programmi principali del loro palinsesto quotidiano, ma che restano libere di produrre in proprio informazione ed altri programmi. Tanto per fare un esempio all'epoca Rete 4 era distribuita nel Trentino Alto Adige da TVA Televisione delle Alpi, per la quale lavorava chi scrive, mentre Italia 1 veniva diffusa da Telebolzano.

In quegli stessi anni, però, sul mercato compare anche un altro operatore che si muove secondo uno schema un po' diverso. È un costruttore edile di Milano, Silvio Berlusconi, che sta trasformando un'emittente lombarda,Telemilano56, in un colosso nazionale. Anche lui, formalmente si appoggia a delle televisioni locali, che però, nel momento in cui entrano nella sua orbita vengono ridotte a semplici strutture di ripetizione dei programmi che arrivano dal centro. Berlusconi opera con larghezza di mezzi e idee molto chiare, puntando su una rete efficiente di ripetitori su una concessionaria di pubblicità che si muove in modo dinamico e spregiudicato. Ad agevolarne il cammino anche e soprattutto l'incapacità gestionale dei suoi concorrenti.

Del fallimento Rizzoli abbiamo detto, ma anche Mondadori e Rusconi non navigano, all'inizio degli anni 80, in ottime acque. L'avventura televisiva è stata affrontata con mezzi limitati ma soprattutto con scarsa professionalità. Le concessionarie di pubblicità, ad esempio, sono le stesse che lavorano per la carta stampata e tendono a svalutare il mezzo televisivo, svendendo  i passaggi in rete a chi fa buoni contratti per i giornali o settimanali dei vari gruppi. I risultati di questa incapacità non si fanno attendere. Rete 4- ricorda giustamente Scalfari -  andava male. Avviene così che, in meno di due anni, i due network, finanziariamente con l'acqua alla gola, vengono comperati dal concorrente più forte e deciso. La cessione di Italia1 avviene il 30 novembre 1982, quella di Retequattro il 27 agosto del 1984.

È un ciclone che travolge l'intero assetto dell'emittenza televisiva privata italiana. Berlusconi e i suoi non fanno prigionieri. Le emittenti locali vengono liquidate una ad una. Devono cercarsi rapidamente un altro fornitore di programmi o rassegnarsi a mettere i loro impianti al servizio del vincitore. Nel giro di pochi mesi è realizzata una paurosa concentrazione, nelle mani di un solo gruppo, di una sola persona, di ben tre canali televisivi che si contrappongono a quelli, freschi di lottizzazione, della tv di Stato.

E qui torniamo ai ricordi di Scalfari: " Rete 4- egli ha scritto -  andava male e la Mondadori aveva deciso di venderla al solo acquirente possibile che era appunto Berlusconi.

Può darsi, anche se non è affatto certo, che l'imprenditore milanese fosse, come dice il fondatore di Repubblica, l'unico acquirente possibile, ma una cosa è assolutamente certa: Berlusconi era all'ultimo soggetto al quale si sarebbe dovuto permettere l'acquisto di altri network televisivi.

Quello era il momento storico e politico nel quale l'Italia avrebbe dovuto dotarsi di una normativa antitrust moderna ed efficace che impedisse ad un solo soggetto di acquistare posizioni di predominio, di quasi monopolio verrebbe da dire, in un settore delicato e politicamente strategico come quello della comunicazione.

Si può capire che i dirigenti della Mondadori, travolti, come quelli della Rusconi, dagli effetti della loro incapacità editoriale e gestionale non aspirassero ad altro che a liberarsi di quello che veniva considerato un peso morto per i bilanci del gruppo, ma questo non doveva e non poteva far premio sulle esigenze di garantire al paese un sistema di comunicazioni il più possibile pluralista. Era il momento nel quale un passaggio di questo genere si sarebbe potuto realizzare, probabilmente, senza quegli impicci e quegli ostacoli di carattere politico che lo impedirono qualche anno più tardi, quando ormai l'impero di Berlusconi era una realtà concreta ed aveva trovato tenaci difensori anche tra le forze politiche.

Un errore fatale, quello commesso dunque all'inizio degli anni 80, e se ne sarebbero resi conto ben presto gli stessi soggetti che avevano brindato soddisfatti, Eugenio Scalfari compreso, alla vendita di Rete4.

Appena cinque anni dopo la firma di quel patto, nel dicembre del 1989, Berlusconi parte all'assalto dell'intera Mondadori, conquistando una parte rilevante del gruppo e mancando per un soffio l'obiettivo di metter le mani anche sul quotidiano fondato proprio da Scalfari. Fu, quello, uno dei fattori scatenanti di una guerra politico-editoriale destinata a protrarsi sin quasi ai giorni nostri. Pochi mesi dopo, nel luglio del 1990, il Parlamento vara finalmente una legge, che porta il nome di un esponente repubblicano, Oscar Mammì, e che pretende di regolare finalmente il caos nell'etere ma che in sostanza è pensata solamente per proteggere gli interessi del gruppo Berlusconi. Si oppongono ad essa i ministri della sinistra democristiana all'interno del governo guidato da Giulio Andreotti. Arrivano a dare le dimissioni, ma tutto è inutile. Ormai l'alleanza tra il grande protettore di Berlusconi, il leader socialista Bettino Craxi e l'ala DC che fa capo ad Andreotti e Forlani, è in grado di assorbire la ribellione senza troppe conseguenze.

L'occasione di tagliare le unghie al tycoon milanese e di dare al sistema radiotelevisivo un assetto degno di una moderna democrazia occidentale è stata persa e non ritornerà mai più. Ad impedirlo, qualche anno dopo la "discesa in campo" dello stesso Berlusconi e l'inizio dell'era delle leggi "ad personam".

Queste vicende, mille volte rievocate, tornano alla mente leggendo la frase dell'articolo di Scalfari e si legano con i ricordi personali di chi scrive che, all'epoca, come ho già detto lavorava nella redazione di una delle tivù che, da un giorno all'altro, dovettero cercarsi un altro fornitore di programmi nazionali oppure chiudere i battenti. Facevo parte, allora, di un coordinamento nazionale dei giornalisti dell'emittenza privata istituito dal sindacato di categoria dei giornalisti. Ricordo in modo preciso il clima di grande preoccupazione che respiravamo in quelle riunioni, per quello che stava accadendo nelle tante, diverse realtà toccate da quella rivoluzione. Erano gli anni nei quali molte emittenti stavano uscendo dal caos primordiale nei primi anni di avventurosa crescita e cercavano di darsi un assetto più solido. La nascita di quello che fu poi il colosso Fininvest ha fatto piazza pulita di molte di queste esperienze e ci sono voluti poi parecchi anni per ricostituire un tessuto di realtà locali ben radicate. Cercavamo, non ricordo bene, di lanciare disperate grida di allarme. Avevo allora ed ho ancora oggi l'impressione che fossero appelli assolutamente inutili. Che avrebbe dovuto ascoltarli aveva ben altre cose di cui interessarsi.

Sui veri motivi di questa cieca indifferenza si possono solo fare delle ipotesi. Certo, se Scalfari e gli altri esponenti del progressismo democratico avessero solo immaginato quali sarebbero stati gli sviluppi della situazione, avrebbero stracciato con le loro stesse mani il contratto di vendita di Retequattro e avrebbero chiamato raccolta tutte le forze politiche e intellettuali della sinistra per fermare Berlusconi.

Però non lo fecero.

La realtà è che in quei giorni la sinistra italiana e soprattutto gli appartenenti ad essa che operavano nel mondo della comunicazione stavano vivendo una stagione nuova ed esaltante. Legge di riforma della Rai aveva spalancato cancelli della tv di Stato a uomini che fino a quel momento erano rimasti per essere esclusi. Storiche barriere cadevano anche nel settore della stampa quotidiana. Dal dopoguerra in poi la sinistra, pur potendo contare su una fortissima presenza nel campo della cultura, era rimasta esclusa dal mondo dei grandi giornali, arroccati tradizionalmente su posizioni conservatrici. Un muro ideologico che era stato appena incrinato con la nascita di quotidiani come Il Giorno e definitivamente abbattuto con la fondazione di Repubblica. Anche nei bastioni del potere borghese come il Corriere della Sera si respirava un'aria diversa. Non per nulla, nel 1973, Indro Montanelli aveva lasciato il giornale di via Solferino, proprio perché, diceva, era ormai pesantemente infiltrato dai comunisti.

Pareva insomma, in quegli anni, che la sinistra intera fosse pronta ad abbattere storici steccati ed a rivolgersi, con mezzi nuovi, ad un pubblico più ampio di quello ad essa tradizionalmente legato. Non a caso, proprio in quegli anni, nel 1976, il Partito Comunista Italiano ottenne il suo maggior successo elettorale fermandosi a pochi punti in percentuali dalla Democrazia Cristiana. Sembrò a molti, se non a tutti, che la strada verso la conquista del potere fosse spianata. Sembrò anche evidentemente che l'aver messo le mani su un paio di reti Rai e l'aver acquisito posizioni ed influenza nel mondo dei grandi giornali fosse il viatico migliore per accompagnare questa marcia trionfale. Perché occuparsi, allora, delle campagne acquisti di un oscuro imprenditore edilizio milanese che comperava televisioni con la stessa bulimia con la quale reclutava campioni olandesi per il suo Milan?

Tutti allora preferirono, come Scalfari stesso ammette, considerare allora Berlusconi solo come un simpatico commensale e un ottimo partner d'affari. Forse la decisione di sbarrargli la strada non fu presa anche perché il porre delle regole molto chiare e molto precise al possesso dei mezzi di comunicazione in Italia avrebbe significato dover rimettere in discussione almeno una parte di quell'operazione che aveva portato i partiti a diventare editori con i soldi del servizio pubblico. E questo, allora come oggi, nessuno, nei palazzi del potere, è intenzionato a permetterlo.

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alfred frei Lun, 10/10/2016 - 09:12

ottimo, egregio sig. Ferrandi, serve alla "cultura del ricordo" che è importante recuperare per non fare la fine della campagna elettorale americana. A proposito, la svolta di Scalfari nei confronti del referendum costituzionale è una questione di età o nasconde manovre di potere non solo editoriali ?

Lun, 10/10/2016 - 09:12 Collegamento permanente