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Società | Avvenne domani

Praga tragica

Cronaca, in parte altoatesina, di un mese d'estate che vide una Primavera tingersi di sangue.

Doveva essere il momento di pausa dell'anno della contestazione globale. Il momento per respirare un'aria più calma dopo i mesi furibondi dalle manifestazioni, degli scontri, delle polemiche. A questo, in quell'agosto del 1968, l'Italia si prepara mettendo in scena uno dei più colossali esodi vacanzieri di tutti i tempi. Si svuotano le città e si riempiono le strade con il non desiderato effetto collaterale di una serie di colossali incidenti automobilistici. Riposa, per modo di dire, anche l'Italia della contestazione. I focolai di rivolta sembrano concentrati solo attorno alla laguna di Venezia. Gli operai del petrolchimico di Porto Marghera scendono in strada e bloccano la circolazione delle auto e quella dei treni. A fine mese a protestare sono invece i registi che cercano di impedire, ritirando dal concorso i loro film e bloccando la cerimonia di inaugurazione, lo svolgimento del Festival veneziano. Vengono portati fuori dalla sala a peso e la rassegna prosegue.

Così in Italia, ma nel mondo i segni più profonda inquietudine continuano ad esplodere, come in una serie di eruzioni vulcaniche che danno conto di rivolgimenti sotterranei pronti a venire in superficie. Sono gli studenti messicani, colpiti da una dura repressione, a sfilare a migliaia in corteo per chiedere la punizione di chi ha ucciso e ferito i loro colleghi. Sono i neri di Miami a mettere a ferro e fuoco la città per protestare contro la discriminazione razziale. La stampa accende saltuariamente alla luce sullo spaventoso massacro in atto ormai da oltre un anno nella provincia nigeriana del Biafra dove la popolazione degli Ibo viene sterminata. In Cina oltre u milione n di giovani guardie rosse devono abbandonare le scuole e le università dove hanno imperversato con indicibili violenze e prendere la strada delle campagne. E' l'inizio della fine della Rivoluzione Culturale.

Tutto sembra scomparire all'indomani di un torrido Ferragosto di fronte al precipitare della situazione cecoslovacca.

Il dramma è stato preparato con cura nei giorni e nelle settimane precedenti. Il regista sovietico si è mosso su binari paralleli. Da un lato ha intensificato la pressione politica sui dirigenti della primavera di Praga convocandoli nelle segrete stanze del Cremlino o davanti ha dei tribunali costituiti dagli esponenti degli altri paesi del socialismo reale. Inutilmente. Alexander Dubček e il presidente Svoboda cercano di evitare ogni inutile provocazione ma non cedono sui punti essenziali delle riforme messe in atto nei mesi precedenti. Mentre si discute le armate del Patto di Varsavia si dispongono attorno alle frontiere cecoslovacche. L'operazione scatta la sera del 20 agosto.

I bolzanini, come tutti gli altri abitanti della fetta di mondo servita da una libera informazione vengono a conoscere quel che sta succedendo attraverso la radio, la televisione, le edizioni straordinarie dei giornali che, come avviene per l'Alto Adige, escono in edicola con le prime notizie nel tardo pomeriggio di mercoledì 21 agosto.

Man mano che passano le ore, i contorni della tragedia politica e umana che si va consumando a Praga sono sempre più netti e visibili. Per molti è un ritornare indietro nel tempo ai giorni della rivolta d'Ungheria di 12 anni prima. La Cecoslovacchia non è lontana e, nonostante il clima teso e le difficoltà di passare la frontiera, non sono pochi gli altoatesini che in quei giorni di metà agosto si trovano proprio sulla scena dell'invasione. Tra le testimonianze quella del giornalista Franz von Walther. Dopo aver assistito a un concerto nel centro di Praga torna a dormire in albergo e quando si sveglia i carri russi sono sotto le sue finestre.

Iniziano, ovviamente, ad arrivare anche le reazioni politiche. È una condanna quasi unanime per la decisione di Mosca, ma ovviamente il colore delle parole piantate sui comunicati stampa è diverso a seconda di chi li firma. Diversamente da quanto avvenuto per i fatti d'Ungheria, questa volta anche il Partito Comunista nega ai compagni sovietici il viatico della solidarietà. È una decisione sofferta e non da tutti condivisa, che rappresenta uno snodo cruciale nel processo di distacco del partito italiano dal modello sovietico. A Bolzano il PCI emette un comunicato che termina con frasi che testimoniano del forte travaglio interno che accompagna la decisione di criticare l'invasione. "I comunisti, - vi si legge - proprio perché legati da sincera amicizia con l'Unione Sovietica, il cui partito comunista realizzato per primo il socialismo nel mondo, e il cui popolo ha pagato con oltre 20 milioni di vite umane la vittoria contro la barbarie nazifascista, sentono il dovere di esprimere apertamente questo loro grave dissenso. I comunisti altoatesini fanno appello a tutti i lavoratori, tutte le forze democratiche perché respingano ogni speculazione reazionaria antisovietica e anticomunista, partecipino attivamente al dibattito costruttivo sugli storici problemi della rivoluzione, del socialismo, della democrazia".

È un dibattito che inizia e che durerà a lungo.

Dall'Alto Adige dell'agosto 1968 la tragedia cecoslovacca mette solo parzialmente in ombra i temi politici di stampo più prettamente locale. La sensazione, ormai netta, è che il processo di intesa sulle norme che dovranno dar vita alla nuova autonomia provinciale sia ormai arrivato alle fasi conclusive. Tutta la trattativa tra Roma, Vienna e Bolzano continua a svolgersi sotto una pesante cappa di segretezza. Il motivo è da ricercarsi solo in parte nella volontà di evitare polemiche soprattutto nel gruppo italiano che dalle nuove norme teme contraccolpi gravemente negativi, ma è dovuto anche e soprattutto alla costante minaccia del terrorismo che ha cercato in ogni modo di sabotare ogni tipo di intesa fornendo l'eco sanguinosa di agguati ed esplosioni ad ogni passaggio della trattativa internazionale. In quell'agosto del 1968 l'epoca delle operazioni di guerriglia appare ormai tramontata. Oltre Brennero si respira visibilmente un'aria diversa da quella degli anni precedenti, nei quali i signori del tritolo potevano muoversi con relativa garanzia di impunità. Il 12 agosto una piccola carica esplosiva esplode vicino a Varna. Poca cosa rispetto ai fuochi d'artificio del passato, eppure è sufficiente per indurre le autorità austriache a compiere una retata dei presunti autori e del loro leader, Georg Klotz. Un segnale preciso del fatto che, per qualche tempo almeno, non saranno più ammesse nuove spedizioni.

Le cronache altoatesine non dedicano più di tanto spazio a questi ultimi frammenti di violenza politica. Ci sono argomenti ben più pesanti cui dedicare intere colonne di piombo. Il quotidiano Alto Adige ingaggia una furibonda battaglia con la Società che sta costruendo l'autostrada del Brennero sul tema dell'attraversamento di Bolzano e su quello, ad esso collegato, della futura superstrada per Merano. Il progetto di far superare Bolzano con un viadotto viene aspramente criticato e giudicato pericoloso sotto ogni punto di vista. Nulla da fare. La necessità di terminare al più presto l'opera e di risparmiare qualche manciata di milioni impongono la scelta che i bolzanini pagheranno sulla loro pelle per tutti questi cinquant'anni. Per quanto riguarda il collegamento con Merano i progetti di una superstrada o addirittura di un collegamento autostradale a pedaggio andranno di infrangersi, poco dopo, contro l'ostilità di una Provincia dotata ormai di tutte le competenze per bloccare ogni tentativo. Ci vorranno altri vent'anni perché il vento cambi.

Per ora ci si accontenta di qualche modesta novità: dal 6 agosto gli altoatesini possono chiamare in teleselezione, cioè senza più dover ricorrere all'operatrice di centralino, i numeri di Roma e del Lazio. Finisce la schiavitù delle lunghe attese davanti al telefono. Inizia, gloriosamente, l'era del prefisso.