Economia | Ritratto

Una dressmaker a Gries

Delia Masi, giovane sarta lucana, realizza il sogno di aprire un negozio a Bolzano basato sull’arte del riciclo. Fra le difficoltà del tedesco e una volontà di ferro.
Delia Masi
Foto: Salto.bz

“O ci provo adesso o non lo farò mai più”, la sfida tutta personale di Delia Masi, 32enne originaria di Avigliano in provincia di Potenza, in Basilicata, inizia circa un anno e mezzo fa quando decide, per amore, di trasferirsi in Alto Adige e aprire una sartoria. Prova tangibile che i mestieri artigianali non sono poi del tutto scomparsi. L’avventura delle idee si plasma in tenera età raccattando abiti di parenti e amici ormai inutilizzati e cimentandosi con le prime creazioni. La passione ai tempi in cui la tecnica ancora mancava. Dna da girovaga, “i cambiamenti non mi hanno mai spaventato”, Delia studia prima scenografia all’Accademia di Belle Arti a Lecce spinta da un grande interesse per il teatro, poi torna a casa e tenta di trovare la sua strada immergendosi in diversi ambiti lavorativi, dall’animazione, alla fotografia, alla falegnameria. Ma il richiamo del battere regolare della macchina da cucire non si attenua. Frequenta allora un corso di tre anni di taglio e cucito, trova lavoro in una sartoria a Bologna e infine approda a Bolzano dove, i primi mesi, lavora come commessa.

 

“All’inizio dovevo ambientarmi - dice -, andare a caccia di fondi per realizzare la mia idea e ho cominciato dalle grandi catene dove ho imparato alcuni trucchetti, su come esporre la merce, per esempio”. Lo scorso settembre il sogno prende forma e Delia riesce ad aprire un negozio tutto suo nel cuore più tradizionale del capoluogo altoatesino, Gries. “Temevo di non riuscire a coprire le spese ma devo dire che si sta già creando un bel giro tramite il passaparola, visto che siamo sempre meno abituati a fare lavori manuali mi piace potermi dedicare a questo mestiere, ad allungare il tempo, ad avere più cura dei dettagli, a non farmi prendere dalla frenesia del mondo di oggi”. Peculiarità di Fingerhut - così si chiama l’attività di Delia - è la sua filosofia che si potrebbe riassumere con le strofe della celebre canzone del film Disney Cenerentola: Ho trovato, ho trovato, il vestito è un po' antiquato, ma se noi ci diam da fare, si può rimodernare. Riciclare, insomma, abiti in disuso reinventandoli. “Le clienti mi portano magari una gonna da trasformare in camicia, oppure mi chiedono di cambiare modello a quella stessa gonna o di recuperare vecchi cappotti. Questo lavoro mi dà la possibilità di stabilire un contatto quasi intimo con le persone che scavano nei loro ricordi condividendoli con me, magari portando un vecchio cappotto del marito o della mamma, o i pantaloni indossati in gioventù. Non si tratta più solo di stoffa ma di una storia, di emozioni. Prima di cominciare a comprare cose nuove è bene guardare cosa si ha nell’armadio perché a volte basta un piccolo cambiamento e tutto si può sfruttare di nuovo”.

 

L’ispirazione arriva in parte dalla moda, ma senza studiarla troppo - spiega - per non entrare nei suoi schemi, prediligendo più che le grandi firme - ad eccezione di Armani e Valentino - gli stilisti emergenti, “quando escono le nuove sfilate le guardo tutte di seguito in modo che si confondano nella mente e mi diano lo spunto per qualcosa di diverso, devo in ogni caso essere al passo coi tempi perché molte clienti mi chiedono cosa va di moda, o consigli sui vari abbinamenti”. Altra fonte di ispirazione per Delia è l’architettura e le sue forme, tanto che una volta, durante un viaggio sulla Strada Romantica in Germania, la fisionomia e le decorazioni di alcuni tetti sono stati la base per un’idea di una borsa. Il prossimo passo sarà quello di aprire un sito per proporre una mini collezione. Il tutto utilizzando sempre materiali rigorosamente naturali, dalla seta, alla lana, al cotone. “Sono più le persone sulla cinquantina che tendono a recuperare i vecchi capi - chiosa Delia -, perché sono molto legati ai buoni tessuti di una volta, le ragazze dai 30 ai 35 anni invece vengono maggiormente per farsi fare abiti più particolari, molti mi dicono che si sono stancati delle grandi catene, dove comunque l’afflusso - e lo so per esperienza - continua a essere copioso; credo che a quell’età si voglia trovare qualcosa di più personale e unico. Come se si volesse costruire una nuova identità”.

Nel grazioso salottino ricavato nel negozio la giovane sarta ci racconta che trovare finanziamenti per la sua attività non è stato semplice, “all’epoca i fondi della Provincia, come quelli riservati alle donne o ai giovani, erano bloccati ma avendo sempre avuto l’obiettivo di aprire un laboratorio nel tempo ho messo da parte dei soldi e poi ho potuto contare sull’aiuto dei miei genitori, che hanno creduto molto in questo progetto”. E con il locale di piazza Gries è amore a prima vista (gli affitti astronomici del centro storico, del resto, non potevano competere). Le cose cominciano a ingranare. I clienti non chiedono solo piccole riparazioni o semplici vestiti ma anche abiti per la prima comunione o da sposa, “questo mi ha molto colpito, perché di atelier ce ne sono molti come tanta è la scelta, ma anche in questo caso entra in gioco il fattore personale, magari la ricerca della semplicità, o di un taglio diverso del bustino rispetto alla gonna oppure ancora la qualità del tessuto, l’idea di creare qualcosa che faccia sentire bene una persona nel suo giorno più importante è una grande responsabilità ma anche una forte emozione”.

Una sensazione amplificata notevolmente quando Delia confeziona il vestito da sposa per una ragazza del suo paese natale, “abbiamo fatto tutto a distanza, lei mi ha mandato le misure e io sono scesa con i pezzi grezzi, dopo la prova ci ho lavorato da sola a casa, con l’aiuto di alcune foto. Poi ci siamo incontrate un’altra volta, a metà strada, a Roma, e a quel punto, mi sono detta, o la va o la spacca perché con me non avevo macchina da cucire ma solo ago e filo, per fortuna però è andato tutto bene”. Come bene sembra andare il rapporto con la clientela nonostante Delia non parli ancora fluentemente il tedesco. “Molti mi avevano sconsigliato di aprire il negozio a Gries, vista la grande maggioranza di residenti di lingua tedesca, mi mettevano in guardia sulla chiusura mentale delle persone ma io questo non l’ho notato, certo c’è chi continua a parlarmi in tedesco pur sapendo anche l’italiano ma ci si viene incontro, spiegare un lavoro tecnico in un’altra lingua per me è ancora complicato ma sto studiando”, ammette la giovane sarta che scherzando aggiunge: “Ricordarmi di mettere il verbo alla fine della frase è un’impresa”.

Appena arrivata a Bolzano tutto per Delia aveva l’aspetto di un posto straniero, perché al sud, racconta, un caffè non è solo un caffè ma un’occasione per raccontarsi a tempo indeterminato. “Credo che fra Settentrione e Meridione ci siano molti preconcetti, le città vanno vissute e bisogna partire con l’idea di conoscere ed esplorare per trovare connessioni, Bolzano in questo senso è stata molto accogliente e poi - afferma Delia puntando il dito fuori dalla finestra - questi sono paesaggi che ti tolgono il fiato ogni mattina e io non voglio certo rinunciarci”.