Società | A Futura memoria

Il grande silenzio

Ad un anno dalla chiusura del Trentino, Maurizio Di Giangiacomo racconta lo shock di quel giorno e ciò che resta a 365 giorni di distanza. Oggi manifestazione a Trento.*
I giornalisti del quotidiano TRENTINO
Foto: Foto: Daniele Panato - Blog A Futura memoria

Cosa ti resta dopo un anno come questo? La sofferenza? Come si misura la sofferenza? La sofferenza non è come la febbre, non c’è un termometro per misurare la sofferenza. Le rinunce? Quelle non contano, quando si perde il lavoro l’aspetto economico, almeno a breve termine, è quello meno rilevante. La dignità, certo, quella che ti hanno tolto, quella sì che pesa, è un vuoto grande, un buco all’altezza dello stomaco che certi giorni non riesci proprio a colmare. Del resto, ti hanno calpestato come professionista, come lavoratore, come uomo. Ti manca un ruolo nella società, ti manca un posto nel mondo, ti mancano, più banalmente, il luogo nel quale lavoravi, le tue abitudini, il tragitto casa-lavoro, la fatica di sopportare tutti i giorni i tuoi colleghi, i superiori, che personaggi… Ma tu te lo immaginavi cosa potesse significare farne a meno, da un giorno all’altro? Niente ufficio, niente colleghi, niente superiori, niente tragitto casa-lavoro, niente lavoro, niente dignità. Te lo immaginavi, prima che succedesse, che succedesse proprio a te?

Ti ricorderai dov’eri seduto quando leggesti quella mail, l’effetto che ti fece, l’inverosimiglianza, l’incredibilità, lo stordimento,

Te lo ricorderai per tutta la vita a quel mezzogiorno maledetto. Ti ricorderai dov’eri seduto quando leggesti quella mail, l’effetto che ti fece, l’inverosimiglianza, l’incredibilità, lo stordimento, come facesti a finire di mangiare senza metterti a urlare? Lo shock dei giorni a seguire, la solidarietà vuota e inutile nelle parole dei politici, le frasi di circostanza, le telefonate degli amici, quella del manager per il quale fino al giorno prima eri un riferimento importante, che ti chiamò per celebrare il tuo funerale professionale, e dal giorno dopo solo silenzio. Il grande silenzio. Perché di telefonate non te ne sono arrivate più, perché le 10, 20, 100 candidature che hai avanzato non hanno avuto risposta, perché per certa gente sei troppo vecchio, ti manca il diploma di laurea, ti manca l’inglese madrelingua, non hai almeno due anni di esperienza nel settore, non sai usare i tools giusti… Detto in italiano, perché a questo mondo quelli che facevano la tua professione non servono più, perché fai parte di una razza in via di estinzione, perché la verità costa troppo, in questa post-democrazia le bugie a buon mercato possono bastare.

 

Non la riesci a misurare, ma in qualche maniera lo senti, che la sofferenza non ti ucciderà. Alle rinunce, lo hai già detto, ti ci stai abituando. E allora ti guardi indietro e quasi quasi pensi che, paradossalmente, è più quello che ti ha dato, quest’anno maledetto, di quello che ti ha tolto. Sei tornato a pensare, hai ritrovato la capacità di apprendere e ti sei anche tolto qualche bella soddisfazione pseudo-intellettuale: things can only get better? No, potrebbe andare anche peggio, ma un anno fa, a quest’ora, sapevi fare solo quello che facevi in pratica ininterrottamente da trent’anni. Te lo ricordi? Non eri nemmeno sicuro che questo blog fosse ancora “vivo”: lo avevi aperto nel 2011, l’avevi lasciato “in sonno” per dieci anni, guarda adesso quante belle cose ci hai scritto.

Ce la farai a ritrovare un posto in questo mondo d’individualisti sfrenati?

A chi ti ha fatto tutto questo è meglio non pensarci. Questa vita te l’ha già insegnato, serbare rancore ti farebbe solo male. E poi le cose brutte non accadono sempre solo per colpa degli altri. Quanti errori hai commesso per trovarti in questa situazione? Quanto tempo ti rimane per correggerli? Riuscirai a porvi rimedio? Ce la farai a ritrovare un posto in questo mondo d’individualisti sfrenati? Sono questi gli interrogativi che ti consumano, dopo un anno di grande silenzio. Saprai dar loro una risposta?

* Ad un anno dalla chiusura del quotidiano Athesia, ospitiamo su Salto.bz il pezzo scritto dal giornalista sul blog A Futura Memoria.