Società | Il progetto

"Così cambieremo il nostro turismo"

Oskar Messner, cuoco di San Pietro di Funes, illustra il progetto che prevede di fare dell'intera valle un'area Slow food travel sul modello della Carinzia già dal 2022.
Oskar Messner Brillenschaf
Foto: Salto.bz Fabio Gobbato

La mezza giornata che ho avuto occasione di trascorrere la settimana scorsa in val di Funes per visitare gli allevamenti di pecore "con gli occhiali" era stata organizzata, di fatto, per mettere in crisi le mie convinzioni sulla corresponsabilità del mondo contadino sudtirolese nelle difficoltà di convivenza con il lupo. Non è andata esattamente così. Le mie perplessità sul "rifiuto culturale" che porta a pensare che l'unica via per risolvere il problema siano le fucilate, restano. Ciò detto, è vero che la situazione di partenza  in Alto Adige è un po' diversa rispetto ad altre zone dell'arco alpino (vallate molto più antropizzate, greggi di dimensioni ridotte, pascoli e alpeggi a quote più alte, pendii molto irti) e fa senza dubbio riflettere che nel mondo siano rimasti solo 80-100 esemplari di pecora nera della val di Funes e che questi abbiano lo stesso grado di protezione da parte dell'Ue dello sciacallo dorato. Ma dell'obiettivo orignario della visita scriverò verso la fine. Prima vorrei spostare il focus su altro, e cioè sul meraviglioso lavoro di rete che vari attori stanno facendo per fare dell’intera valle una zona Slow food travel sul modello della non lontana Carinzia.

Il viaggio comincia dal ristorante Pitzock, a San Pietro in val di Funes. Le Odle sono uno spettacolo da qualunque prospettiva e in qualunque stagione ma viste dal versante della valle dolomitica forse meno sfruttata turisticamente, invece che dal Seceda, sembrano molto meno addomesticate, più selvagge. Siamo in novembre e il paese è deserto. Nella valle vivono poco più di 2.600 anime e i posti letto sono circa 1.600, meno di un decimo rispetto alla cugina straricca, la val Gardena. Paesaggi simili, quelli delle due valli, ma anime completamente diverse. Qui non ci sono decine di “seconde case”, non ci sono nemmeno alberghi costruiti uno sopra l’altro come a Ortisei e neppure vie dello shopping di lusso e locali trendy come sui Navigli.

 

Il Pitzock nel 2011 è entrato nella rete dell’Alleanza dei cuochi italiani con i Presìdi Slow Food, dopo essere stato trasformato da bar di paese a ristorante ben curato, ma senza esagerare. Nel 2009 Oskar Messner, insieme a due amici (un ristoratore Stefan Unterkircher e un commerciante Kurt Niederstätter), ha fondato Furchetta(dal nome di una delle Odle), una società che si occupa di recuperare la tradizione della Villnösser Brillenschaf, la celebre pecora con gli occhiali della val di Funes che qualche anno fa è diventata presidio Slow Food.

In valle quando gli “einheimische” vedono transitare i pullman traboccanti di turisti asiatici che arrivano alla chiesetta di San Giovanni, scattano 2 o 300 selfie e poi risalgono sul bus per raggiungere la settima o ottava meta del giorno, sono colti da fitte al cuore

Oskar ha però la mentalità dell’oste e tiene moltissimo al rapporto con i clienti. E’ lui stesso a girare per i tavoli e a spiegare l’origine dei piatti e delle materie prime. “Nel mio piccolo orto coltivo tutte le spezie che uso e lavoro molto con i contadini locali: cucino con la loro verdura, le uova fresche, la carne… “. Oskar con i suoi clienti vuole avere un rapporto che è il contrario del principio “mordi e fuggi”.

In valle quando gli “einheimische” vedono transitare i pullman traboccanti di turisti asiatici che fanno un tour di 3 giorni-tutto-compreso, scendono dal bus, fanno quattro passi, arrivano alla chiesetta di San Giovanni a Ranui, scattano 2 o 300 selfie, mangiano un panino, e poi risalgono sul bus per raggiungere la settima o ottava meta del giorno, sono colti da fitte al cuore a ripetizione. “E’ questo il turismo che vogliamo in Alto Adige?”, si chiede Oskar. “Vogliamo ogni anno aumentare il numero di pernottamenti, avere migliaia di macchine in coda in Pusteria, lungo l’A22, fino a Verona o al Brennero? Noi qui abbiamo deciso di avviare un discorso diverso. Dal 2022 l’intera val di Funes sarà area Slow food travel. La prima in Europa è stata la Carinzia e replicare quel modello è sempre stato un po’ il mio sogno”.

La prima valle slow

Slow food travel parte dal presupposto che “dietro ad ogni territorio ci siano storie, tradizioni gastronomiche, sapori e pratiche artigianali, preservati da donne e uomini che hanno costruito nei secoli identità e culture. Ogni tradizione gastronomica può diventare un’esperienza turistica unica”. “Viene proposto – spiega il cuoco - un nuovo modello di viaggio, fatto di incontri e scambi con agricoltori, pastori, fornai, viticoltori, artigiani e cuochi che diventano le guide alla scoperta delle tradizioni locali”.

Nella parte ovest della Carinzia, le valli Gailtal e Lesachtal sono state la prima destinazione al mondo di Slow Food Travel. Qui per i viaggiatori è possibile "scoprire antichi mulini e imparare a preparare il pane con farine di cereali antichi, capire come si produce il formaggio a latte crudo (Geiltaler Almkäse, prodotto dell’Arca), la birra, lo speck del Gailtal, scoprire il mondo dell’apicoltura di montagna, cucinare i piatti tradizionali insieme agli chef della zona".

“Questo è quello che vogliamo fare anche qui da noi – spiega Messner – i turisti di massa che arrivano con i bus per farsi i selfie non sono minimamente interessati a chi lavora in questo posto e alle tradizioni della valle. Ma noi possiamo cambiare la nostra clientela. Vogliamo un turismo diverso. I nostri produttori ci metteranno la faccia e noi porteremo i turisti a visitare questi produttori. Quando si produce secondo i canoni della tradizione e nessuno mostra interesse la tradizione va lentamente persa. Se invece vedi che le persone sono interessate resta l’energia e la voglia per andare avanti”.

Dal prossimo anno, Covid permettendo, saranno 20 i produttori che saranno oggetto delle visite. Ci sarà anche la via del vino, in quanto, cosa rara in una vallata dolomitica, a Tiso, grazie a piccoli produtori come Huber Weingort o Peter Pliger e alla cantina della val d’Isarco, si producono il Mueller Thurgau e il Kerner.  “Abbiamo frutta e verdura – spiega Messner - dalle patate ai crauti, dalle prugne ai lamponi. Una giovane coppia ha iniziato ad allevare le oche. Io posso portare i miei clienti a visitare gli allevamenti di pecore ma anche delle mucche di razza grigia alpina e delle oche. Con questi prodotti si alza di molto il livello della ristorazione".

Un ruolo importante lo avrà anche l’artigianato. “Saranno previsti anche workshop a pagamento nei quali gli ospiti lavoreranno la lana ad uncinetto con le donne del paese che negli ultimi anni hanno ripreso la tradizione di realizzare cappelli e ciabatte”. Da anni si parla di alzare il livello del turismo – in sintesi, di portare in Alto Adige turisti più ricchi e disposti a spendere per avere cose di qualità – e questo è un progetto pilota attentamente seguito da Idm e che potrebbe essere riprodotto nelle valli che sono già al riparo dal turismo di massa.

Oskar mostra una bottiglia vuota in vetro trasparente con la scritta Rumschluns Dolomites e la provenienza dalla fonte che si trova a 1.626 slm. “Se facciamo pagare anche l’acqua del rubinetto? Certo, in un progetto come questo tutto ha un costo. La qualità è certificata, tutto ha un valore, compresa l’acqua di fonte”.

La lana e il problema del lavaggio

Un discorso a parte va fatto per la lana. La pecora con gli occhiali della Val di Funes è la più antica razza autoctona dell'Alto Adige. È un incrocio tra la bergamasca e quella da seta padovana. Queste pecore vengono anche chiamate “Pötscher” e si caratterizzano per una pigmentazione scura a forma di anello intorno agli occhi, i cosiddetti occhiali, e sulle orecchie. Fino a pochi anni fa la lana tosata alla fine di ogni estate era un problema. “Si pagava per smaltirla, perché era difficile trovare un posto dove farla lavare ed avere un prodotto che potesse avere anche una resa economica. Grazie al nostro progetto Furchetta anche la lana per gli allevatori è diventata una fonte di reddito. Tutta la lana che non usiamo per i nostri progetti (cappelli, ciabatte, tappeti) viene infatti acquistata da Salewa che la usa per fare delle imbottiture di alta qualità con il marchio Tyrol Wool.

 

Oskar mi ha fatto da guida sui pendii della valle in compagnia di un’allevatrice di pecore e una commerciante biellesi (che provengono a loro volta da una zona Slow food travel) che erano venute in val di Funes per uno scambio di buone pratiche e capire se fosse possibile una cooperazione, in particolare per risolvere il “problema” del lavaggio della lana.  Quando l’allevatrice ha sentito che Salewa paga 2.50-3,00 euro al kg la lana sporca ha sgranato gli occhi. “La nostra la vendiamo a 1-1,50 al kg. E si tenga conto che poi un terzo è sempre praticamente da buttare”. Oskar e le due ospiti hanno poi parlato per un’oretta di tosatori che arrivano dalla Nuova Zelanda e “passano” una pecora in meno di due minuti, allevatori scozzesi trapiantati in Italia, e di tutte le difficoltà legate alle pratiche di allevamento. Un pianeta parallelo del tutto sconosciuto, per un “cittadino”.

Il nodo del lupo

Ad un certo punto arriva al pettine il nodo del lupo. E’ solamente un caso che l’ultimo esemplare prima del ripopolamento spontaneo dell’ultimo decennio sia stato ucciso proprio in val di Funes nel 1896. Come è un caso che proprio nella zona gli esperti ipotizzano si sia verificato nell’ultimo anno un caso di bracconaggio, con la sparizione “dai radar” di una coppia di lupi con due cuccioli, Una storia, questa, che, però, senza prove, allo stato attuale non è null’altro che la parte tragica di una favola ancora in via di stesura. Non accade praticamente mai, ma può essere che il branco si sia spostato più a nord.

Ad ogni modo il volto intenso e disteso di Oskar quando si tocca l’argomento lupo si rabbuia parecchio. Va considerato che il suo piatto forte è l’agnello di Brillenschaf e che questo particolare tipo di pecora è molto raro. In tutta la Val di Funes se ne contano 500-600 capi circa. E sono circa una ottantina le pecore nere. In tutto il mondo, si intende.

 

È grazie ad Oskar che questa razza è tornata a pascolare e prosperare sulle Dolomiti. “Quando abbiamo cominciato c’erano circa 250 capi nella valle. Oggi ci sono 50 contadini che allevano la pecora con gli occhiali e negli ultimi anni decine di animali sono stati sbranati. In parte dal lupo e in parte dallo sciacallo dorato. Io amo la natura selvatica e sostengo la biodiversità ma non ci può essere tutto dappertutto. I predatori, essendo protetti, non hanno nemici. Se non cambiano le regole tra 10 anni chissà cosa ci sarà nelle nostre valli. Noi non abbiamo i grandi spazi che hanno nel resto d’Italia e i pendii sono molto difficili, è molto complicato proteggere il bestiame dai lupi e dagli sciacalli”.

Quando ad un certo punto guarda le pecore nere nell’ovile del Drocker Hof, rarissime, Oskar fatica a trattenere lacrime di rabbia. “Vi rendete conto che queste pecore sono le uniche di questo tipo nel mondo? Sono meno numerose di lupi e sciacalli e sono realmente in via di estinzione ma se arriva un lupo nessuno lo può toccare. Questo non è possibile”. Secondo il cuoco gli allevatori fanno il possibile per proteggere i loro animali; “Hanno eretto una recinzione elettrica lunga più di 7 km e alta più di 1 m per garantire il pascolo estivo. Purtroppo, ci sono stati più di 30 uccisioni confermate di lupi sull'alpeggio durante i mesi estivi dell'anno scorso. Nella valle, ci sono stati più di 50 attacchi, la maggior parte dei quali sono stati causati dallo sciacallo dorato. L'anno scorso ci sono stati quasi 100 attacchi di lupi solo nella val di Funes. Quest'anno c'è stato anche un tentativo di lavorare con un border collie sull'alpeggio per condurre le pecore in un recinto ogni notte, il che ha comportato una quantità enorme lavoro ma non ci sono state uccisioni”.

 

“Anche in Piemonte - dice Oskar - hanno enormi problemi con il lupo, abbiamo parlato con una sola allevatrice che evidentemente ha svolto un grosso lavoro di prevenzione. Lei ha 500 pecore abituate le une alle altre e a far parte dello stesso gregge. Ha anche 4-5 cani maremmani più altri 3 cani da pastore. Da noi una cosa del genere non può funzionare, non perché non lo vogliamo, ma perché in una zona turisticamente molto sviluppata come la nostra non è possibile lavorare con questi cani, dato che proteggono le pecore anche da altre creature, come gli umani. L'allevatrice ha raccontato che il suo cane ha recentemente morso un turista. Da noi inoltre le greggi si formano con piccoli greggi riuniti solo per il pascolo estivo. La mia opinione è che se gli allevatori rispettano tutti i programmi di protezione e un grosso predatore invade comunque un pascolo recintato, anche l'allevatore dovrebbe essere autorizzato a difendere i suoi animali”.  Così Oskar Messner.

Per quanto mi riguarda dopo una mezza giornata in giro per la valle posso dire di avere molto più chiare le idee sulle reali difficoltà che incontra chi possiede piccole greggi in media-alta montagna e può essere che la val di Funes sia tra i pochissimi posti della Provincia nei quali gli allevatori proteggono adeguatamente i loro animali (non ho potuto visitare i pascoli d'estate, ovviamente, ma mi fido di quanto ha riferito Oskar, ndr). Se è proprio così, sarebbe forse ora che la totalità del mondo rurale sudtirolese, invece di rifiutare in modo aprioristico ogni intervento, si adegui a quanto, a piccoli passi, stanno facendo in Trentino e, da tempo, in altre zone dell’arco alpino. Se ancora non basterà, allora, poi avrà senso chiedere un cambio di normativa all'Unione europea.

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Margot Wittig Sab, 12/04/2021 - 09:02

Grazie per questo prezioso articolo! È necessario che i cittadini vengano informati in modo equilibrato sui vari argomenti, in base a indagini approfondite fatte sul luogo. Altrimenti si rischia di andare avanti con degli slogan che non ci portano avanti!

Sab, 12/04/2021 - 09:02 Collegamento permanente