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L’affascinante storia dell’erbario

Dal lavoro di un botanico alla collezione del Museo di scienze naturali di Bolzano: un viaggio che comincia nel XIX secolo, fino al cambiamento climatico.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale del partner e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
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Foto: salto.bz / Museo Scienze Naturali

Un prete botanico del XIX secolo, una collezione di piante essiccate e un carteggio con studiosi di tutta Europa. Questa è la storia di Rupert Huter, un prete del Tirolo storico che aveva fatto delle sue attività di raccolta e di catalogazione delle piante non solo una passione ma una vera e propria ricerca. Huter raccoglieva materiale e lo conservava con cura certosina, materiale che oggi è conservato in parte all’interno dell’erbario del Museo di scienze naturali di Bolzano e in parte all’Istituto Vescovile Vinzentinum di Bressanone, la diocesi a cui apparteneva. La fama di Huter accrebbe molto in giro per il continente e i suoi campioni erano richiesti dagli studiosi. Huter raccolse 75.000 campioni, di cui 6.000 raccolti da lui e il resto proveniente dallo scambio internazionale di doppioni.  Le lettere, purtroppo, non sono state trovate, anche se il dipartimento di botanica del museo ha cercato di mettersi in contatto con i discendenti di Huter per scoprire una pagina di questa storia che ancora non si conosce.

Ma cos’è un erbario, a cosa serve collezionare campioni di piante? “Io mi occupo di una piccola sezione della botanica. Mi occupo della flora dell'Alto Adige, del suo censimento e della catalogazione. Il mio campo riguarda il riconoscimento delle diverse specie, vedere quali specie sono presenti in provincia, dove sono presenti e dove mancano, vedere come la loro presenza cambia nel corso di decenni e secoli e valutare se sono minacciate o meno. Per questo siamo in contatto con la Ripartizione Natura, paesaggio e sviluppo del territorio della Provincia autonoma di Bolzano dice Thomas Wilhalm, specializzato nello studio di graminacee e conservatore dell’erbario del museo, che – ad oggi – contiene 150.000 campioni di piante essiccate. Ai tempi di Huter, la raccolta di campioni non era affidata a chi aveva una formazione prettamente floristica o a conservatori specializzati ma era affidata a esperti come farmacisti o medici, i quali soggiornavano nei luoghi di interesse turistico (ad esempio le Dolomiti) e intanto si dedicavano alla passione per la raccolta del materiale floristico, approfittando dei luoghi interessanti da poter esplorare. Alcuni dei luoghi in cui ci sono stati più ritrovamenti sulle montagne altoatesine sono proprio i luoghi termali e quelli in prossimità del percorso dello Stelvio, già presente dalla prima metà dell’800. L’area del Tirolo storico - in particolare quella di montagna – è stata una delle aree più perlustrate del continente europeo nel corso dei decenni.

Oggi sono in pochi a fare questo tipo di ricerca: io mi occupo di mappare tutto l’Alto Adige.

Oggi sono ovviamente gli esperti ad occuparsi di tutto il processo. Come lavora un conservatore di professione? “Dipende dalle stagioni. In inverno lavoro in ufficio, ci sono molte cosa da sbrigare. Ci sono tanti esperti che richiedono di comparare dei campioni e poi c’è il lavoro di catalogazione. Nella bella stagione vado in escursione, per la raccolta del materiale. Oggi sono in pochi a fare questo tipo di ricerca: io mi occupo di mappare tutto l’Alto Adige”, dice Wilhalm. La mappatura dei territori avviene attraverso la ‘cartografia a reticolo’, un sistema che divide in quadranti le aree interessate, successivamente assegnati agli esperti per condurre le ricerche nelle zone poco esplorate. Questo sistema di mappatura risale solo agli anni ’60 del secolo scorso, realizzata per avere una visione completa dei territori, sistematicamente mappati con la stessa intensità e meticolosità.

 

 

“Come curatore allestisco le collezioni del museo sin dalla fondazione, negli anni ’90, e come attività di curatore devo – inoltre – cercare se ci sono altri erbari privati da poter acquistare o ricevere. Oltre alle collezioni recenti, ci sono anche quelle storiche: come quella di Huter”, continua Wilhalm. Il conservatore dell’erbario spiega che il censimento delle piante e la catalogazione servono innanzitutto come documenti. Attraverso documentazione si possono avviare diverse analisi: si può constatare se una certa specie non è più presente in Alto Adige, si possono descrivere nuove specie e la collezione di campioni può diventare anche una raccolta di materiale genetico importante.  

I veicoli (qualsiasi essi siano) trasportano spore, semi e tanto altro. Si trovano, così, specie inaspettate.

Una volta raccolti i campioni si procede con l’essicazione, successivamente si ripongono in una scatola per la conservazione e si mettono in un freezer a -40 gradi; una volta preparati si allega una scheda scientifica. In questo modo la collezione dell’erbario del museo si arricchisce di esemplari. “Bisogna sapere anche che ci sono alcuni gruppi di specie molto critici, molto difficili da riconoscere e classificare, perché a volte sembra che si sovrappongano. Ad esempio ci sono almeno 200 tipi diversi di tarassaco”, prosegue il curatore della collezione.

Dallo studio della floristica si possono trarre anche utili informazioni per quanto riguarda la biodiversità, il cambiamento climatico e la globalizzazione. “Per quanto riguarda il cambiamento climatico si possono osservare molte cose: ad esempio la nascita di piante – anche in Alto Adige – che di solito crescerebbero in zone dove c’è un clima più caldo. Per quanto riguarda la biodiversità, invece, basta osservare come lungo le zone di transito (come ferrovie e autostrade) è possibile che nascano nuove specie di piante, non autoctone. Come è possibile? I veicoli (qualsiasi essi siano) trasportano spore, semi e tanto altro. Si trovano, così, specie inaspettate”, dice il curatore. Un altro fenomeno comune riguarda quello delle specie non autoctone piantante nei giardini pubblici, dove è possibile che alcune piante ‘sfuggano’ e si naturalizzino sul territorio solo in un secondo momento. “Questo è un esempio concreto di globalizzazione”, conclude Wilhalm.