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“La nostra lingua ci abbraccia”

Dal Guatemala al Sudtirolo: le attiviste indigene ixhil Cristina Raymundo Rivera ed Elena Guzaro Raymundo sul femminismo, il bilinguismo – e la forza della radio.
Elena, Cristina, ASOREMI
Foto: operation daywork

Sono le vincitrici del Premio Diritti Umani” assegnato ogni anno da Operation Daywork, la giornata di volontariato e beneficienza delle studentesse e degli studenti delle superiori, che quest’anno si terrà l’8 aprile. Per una ventina di giorni in Sudtirolo, le attiviste guatemalteche Cristina Raymundo Rivera ed Elena Guzaro Raymundo della Asociación Red Organizaciones de Mujeres Ixhiles (ASOREMI) prenderanno parte a un fitto programma di appuntamenti, soprattutto nelle scuole, per raccontare la loro esperienza di prevenzione alla violenza di genere e di supporto alle donne indigene ixhil del Guatemala.

salto.bz: Lunedì eravate allo sciopero dell'otto marzo sui Prati del Talvera, a Bolzano. Quali sono le vostre impressioni sulla manifestazione, cosa vi ha colpito in ciò che avete visto e ascoltato? Notate delle differenze significative con il vostro attivismo in Guatemala?

Cristina Raymundo Rivera: Sono molte le differenze. Mi immaginavo una manifestazione con un sacco di persone e musica, che le donne ballassero, cantassero, fossero allegre come a una festa. Invece nessuna mi parlava: ti guardano e ti vedono, ma è come stare fermi in un museo, davvero, tutto molto statico. Mi è sembrato strano anche che ci fossero delle persone con i loro cartelli ferme, sole, magari in disparte, mentre m’immaginavo una comunicazione o un’inter-comunicazione tra tutte. Sembravano stanche, come se lottassero contro il lavoro, sì, ma senza prendersi un tempo specifico, come se si fossero prese una pausa dal lavoro ma mantenendo lo stesso mood. Questo è molto diverso rispetto al nostro territorio, dove c’è interconnessione tra le varie organizzazioni. Si prepara un’agenda della giornata: c'è chi mette la musica, chi porta i fiori, chi cucina, o fa pubblicità alla radio. L’evento è ben organizzato perché facciamo attenzione che nessuno molesti le donne, poi marciamo, cantiamo, facciamo un sacco di “casino”, per invitare le donne a seguirci, a cantare insieme a noi. Qui invece sembrava tutto molto sistematico, si guidano le persone più che stare in mezzo a loro.

Le scioperanti dell’8 marzo? Qui sembravano stanche, come se lottassero contro il lavoro, sì, senza però prendersi il tempo per farlo

L'impressione è che si stia molto attenti ai termini, alle parole, alle definizioni dei vari concetti del femminismo. Dai racconti del vostro lavoro emerge invece un’attenzione alle cose da fare, all’azione, alle esperienze pratiche. Potrebbe essere questa la differenza di approccio più significativa?

È possibile. Noi vogliamo che tutto sia “esperienziale”, basiamo tutto su ciò che viviamo, sul vissuto, sulla differenza e sul sentire. Non siamo dei dizionari: l’importante è sentirsi parte del tutto, che sia dell’evento o della situazione.

 

 

Cambiando argomento, ma restando sul tema delle parole. La convivenza di più lingue in uno stesso territorio può essere un’opportunità come una difficoltà. A Bolzano parliamo due lingue; pure in Guatemala il bilinguismo tra la lingua indigena e lo spagnolo è un tema centrale. Cosa significa per voi avere due lingue? Cosa rappresenta per la vostra identità?

Parlando la nostra lingua ci sentiamo abbracciate, protette e accompagnate. Avere due culture diverse, con aspetti diversi e un'identità così vasta, ci permette di esprimerci ancora meglio. Essere bilingui facilita la comunicazione con le persone, e ti fa notare anche le differenze tra le culture. Ad esempio, le parole della nostra lingua ixhil non hanno genere, non usiamo articoli determinativi. L'incontro tra culture può essere arricchente, ma può anche portare a dei cambiamenti all'interno di una cultura. Le nostre nonne legavano la mestruazione al ciclo lunare: a qualcosa di così “naturale” è subentrata quest’idea della sporcizia, della contaminazione, collegata ad un'altra cultura come quella europea. Non è stato imposto, ma ha cambiato connotazione all’incontro (a volte scontro) di culture.

Parlando la nostra lingua ci sentiamo abbracciate, protette e accompagnate. Ed essere bilingui facilita la comunicazione

Dalle vostre parole traspare un forte legame con la natura e l’ambiente. Spesso, le lotte contro la violenza di genere si mescolano alle lotte contro le forme di espropriazione (e di saccheggio) delle terre da parte del capitalismo, ad esempio per lo sfruttamento idroelettrico che sottrae spazio e risorse alle comunità locali. È anche il vostro caso?

È un tema forte. La questione delle centrali idroelettriche non la tocchiamo direttamente: siamo già vulnerabili perché difendiamo le donne vittime di violenza, le accompagniamo e sosteniamo, e ci sono già uomini, compagni, fratelli, figli e padri che ci colpiscono o minacciano. Subiamo tutti i giorni il furto delle terre o la contaminazione delle acque, però le questioni ambientali di “Madre Terra” preferiamo lasciarle ad altre organizzazioni che se ne occupano, come il “Sindaco indigeno”. Siamo presenti a tutte le riunioni, ma stando un passo indietro ed evitando troppa visibilità, perché la nostra priorità è stare al fianco delle donne.

 

 

Con i cantieri per l’idroelettrico, poi, è aumentata la tratta di donne, molte delle quali minorenni. Sono aumentate le “cantinas” (locali dove si prostituiscono le vittime di tratta, ndr) frequentate da uomini che arrivano dalle città per lavoro e cercano una ragazza da tenere a fianco. Poi si aggiunge l’alcolismo: fuori dalle cantinas è pieno di uomini ubriachi, e ciò si ripercuote sui problemi di violenza intra-familiare. Lottiamo molto per un regolamento delle “cantinas”, per limitare e sradicare tali fenomeni: eravamo riuscite a realizzarlo, grazie all'appoggio del sindaco precedente, ma il sindaco attuale ha bloccato tutto. La tratta avviene su reti transnazionali, se entri non sai dove esci: perciò stiamo attente a non mettere in pericolo la nostra incolumità, parlandone. Hanno già cercato di distruggerci, hanno arrestato molte donne. Anche sulle terre ci sono grandi conflitti e proteste: il sindaco in carica ha promesso terre in cambio di voti, “vota per me e io ti darò la terra”. Ha rubato le terre e le ha regalate a persone che le occupano. Si sta ripetendo quanto accadde durante la guerra civile.

Date molta importanza alla radio, come strumento creativo e profondamente comunicativo. Quale ruolo ha nel vostro lavoro? È un mezzo di lotta efficace?

La radio ha un’importanza fondamentale nel nostro lavoro. Ci aiuta molto, perché consente di raggiungere molte persone e le comunità più remote. Di ciò abbiamo trovato riscontro tra le donne: alla domanda “come ci avete conosciuto?” molte rispondono “grazie alla radio”. La maggioranza di esse possiede una radio in casa, con le pile. Al momento siamo presenti su una radio cattolica, che avendo le sue regole e principi non voleva trattare determinati temi, sebbene rappresentino la realtà. Non so se li abbiamo convinti, o conquistati, ma ora siamo libere di dire ciò che vogliamo, mettendo la musica (femminista) che preferiamo. Parliamo nella lingua indigena ixhil, così tutte possono capirci, ma con la traduzione raggiungiamo anche chi parla spagnolo e soffre in silenzio: spesso sono professioniste, ma ciò non significa che non possano essere vittime di violenza. Parliamo della violenza di genere, o di nuove mascolinità, ma non tocchiamo il tema dell’idroelettrico, che ci metterebbe in pericolo.

Con la radio raggiungiamo anche chi parla spagnolo: se sono professioniste non significa non possano essere vittime di violenza.

Il nostro programma “Pelando Papas”, “pelando patate”, ha un nome buffo, però dà l'idea dello spazio di dialogo e di confronto che si crea quando le donne si ritrovano in cucina pelando le patate. Quando le donne s’incontrano per cucinare insieme, infatti, si fidano di parlare, di condividere sogni e pensieri. Questo ci piace, non certo perché vogliamo che le donne si fermino in cucina, anzi, ma perché sappiamo che ci avviciniamo di più alle donne.

Perché è così importante il lavoro educativo nelle scuole?

Il lavoro con gli studenti, per spiegare loro come le donne possono recuperare le loro vite, è un buon inizio. Serve ad apprendere come la vita possa svilupparsi in altri modi, come le donne lottino in modi differenti a seconda dei contesti – e la vita non sia facile in ogni momento e in ogni luogo. L’Italia è sicuramente molto diversa dal Guatemala: la vita delle donne sopravvissute, che hanno studiato e raggiunto obiettivi nelle loro esistenze, è perciò una prospettiva nuova e può essere di esempio. Anche loro possono fare lo stesso, non devono adattarsi a ciò che è più facile. E così possiamo costruire insieme la pace.

Si ringraziano Anael Piana, per il supporto linguistico, ed Erica Barbieri